20. Adam

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 «Sul serio! È così carino! Io ero tremendamente impacciato, sì, insomma, era la mia prima uscita con un ragazzo quindi... Ma Caleb è stato davvero gentile...» Mentre parlava, Michael gesticolava animatamente e sembrava al settimo cielo.
Non faceva altro che sorridere e guardava il vuoto con un'espressione quasi da ebete.
«Mm-mm.» Mormorai distrattamente.
Un po' mi dispiaceva, ma avevo smesso di ascoltarlo da un bel pezzo. Ero felice per lui, questo sì, però stava andando avanti da quella che mi sembrava un'eternità e io cominciavo a non poterne più.
Subito dopo le lezioni eravamo andati alla caffetteria dietro la scuola perché lui aveva delle "novità importanti" che non vedeva l'ora di raccontare. Dopo la rottura con Julia aveva deciso di buttarsi e provare com'era uscire con un ragazzo. Il prescelto era un certo Caleb che faceva chimica con noi. Lui e Michael erano usciti il giorno prima e sembrava fosse andata bene.
Il mio migliore amico mi diede un colpetto al braccio. «E non ti ho detto la parte migliore!»
Sbattei le palpebre, riscuotendomi dai miei pensieri, e lo guardai. «E cioè?» 

Un sorriso gli illuminò il viso. «Ci siamo baciati.»

«Davvero? Al primo appuntamento?» Chiesi. «Sono felice per te, ma... non state correndo un po' troppo? È la tua prima storia con un ragazzo.»
Lui fece un gesto vago con la mano. «Ehi, non è questo il punto. Il punto è che mi è piaciuto, okay? Mi è piaciuto sul serio.»
Sentii un sorriso incerto farsi strada sul mio viso. «È un'ottima notizia, davvero. Mi fa piacere che tu ti sia chiarito le idee.»
«Già... Io credo di essere un pochino innamorato, sai?» Scosse la testa, come per tornare serio. «E lui si è anche offerto di aiutarmi con chimica, non è fantastico? Così tu puoi concentrarti solo su... com'è che si chiama? Sasha? Sheila? Samantha?»
Distolsi lo sguardo serrando la mascella. «Scarlett.»
«Ah sì, giusto. Come vanno le cose con lei? È una brava allieva?» Domandò.
Scrollai le spalle sperando che capisse che non volevo parlarne. «Abbastanza.»
Allargò le braccia. «Abbastanza? Tutto qui? Portare avanti una conversazione con te è un'impresa! La metà del tempo non mi ascolti, l'altra metà rispondi a monosillabi: non hai idea di quanto sia frustrante.»
Sospirai passandomi una mano tra i capelli. «Scusa, è solo che... Non mi va di parlare di lei.»
«Perché no? Cioè... sono solo ripetizioni. O c'è dell'altro?» Chiese socchiudendo gli occhi.
«No, niente di importante, è solo che... Non è una persona con cui mi trovo bene.» Risposi prendendo con entrambe le mani il mio bicchiere di caffè.
«Allora smettila di darle ripetizioni, no?» Mi fece notare lui stringendosi nelle spalle. «Se devi starci male...»
«Non ci sto male.» Lo interruppi. «Non mi piace e basta.»
Alzò le mani in segno di resa. «Okay, okay. Diciamo che è un argomento tabù.»
Mi lasciai sfuggire un sorriso. «Più o meno, sì. Grazie per averlo capito.»
«Figurati. Insomma, siamo migliori amici, no?» Replicò lui con un sorrisetto ammiccante. «Con Elisabeth invece? Il fuoco della passione brucia ancora?»
«In realtà credo che stia cominciando a spengersi.» Ammisi.
Fece una smorfia. «Uh, mi dispiace. Ma come mai?»
Mi mordicchiai il labbro. «Lei è bella, esuberante, piena di risorse, però...»
«Non fa per te, dico bene?» Indovinò lui.
«Non lo so neanche io, Michael, so solo che abbiamo esaurito gli argomenti in comune in un certo senso. Siamo usciti l'altra sera e... è stato tutto un silenzio imbarazzante in pratica.» Replicai.
Mi mise una mano sul braccio. «Ehi, evidentemente era destino che non durasse. Non disperare perché è finita, gioisci perché c'è stata.»
Aggrottai la fronte. «Cosa?»
«È una frase che ho sentito da qualche parte.» Scrollò le spalle. «Mi sembrava adatta alla situazione.»
«Senti, non è ancora finita. Elisabeth è davvero fantastica, magari è solo una cosa temporanea.» Ribattei anche se sapevo benissimo che non aveva senso attaccarsi a quella relazione tutt'altro che sincera, almeno da parte mia.
Sembrava scettico, ed aveva ottimi motivi per esserlo. «Uhm. Stai cercando di convincere me o te stesso?»
«Non devo convincere nessuno.» Dichiarai.
Inarcò un sopracciglio. «No, certo. Devi solo capire se ne vale la pena.»
Mio malgrado, esitai. Il mio lato orgoglioso voleva dire che sì, ne valeva eccome la pena, perché Elisabeth era bella, attraente e che no, non avevo preso un abbaglio mettendomi con lei. Ma la parte razionale sosteneva tutto il contrario: non c'era niente che mi legasse davvero ad Elisabeth.
«Senti, lo so che è difficile ammettere di aver sbagliato, ma se non va non va. È inutile forzare la mano.» Aggiunse Michael in tono cauto. «Insomma, vuoi davvero fingere con lei?»
«No. Ma non voglio neanche farle male.» Ammisi.
Lui annuì. «Già, immagino... Senti, vedila come se avessi a che fare con un cerotto, okay? Se lo togli piano piano e temporeggi farà male più a lungo, ma se dai uno strappo deciso, il dolore sarà molto più breve.»
Mi morsi il labbro, colpito dalla verità delle sue parole. «Sai, dovresti tirare fuori questi consigli esistenziali più spesso.»
Michael sorrise, divertito e compiaciuto. «Lo so, sono un filosofo mancato. E comunque, tu dovresti ascoltarmi più spesso.»
«D'accordo, cercherò di ricordarmelo.» Scherzai.
Lui sollevò il mento. «Bada a come parli, Meyers.»
Alzai gli occhi al cielo sorridendo appena, ma fu una calma molto breve. Mio malgrado, Elisabeth occupava buona parte dei miei pensieri.
Odiavo anche solo l'idea di farla star male, però continuare a trascinare una relazione che ormai aveva perso ogni significato mi sembrava ancora più meschino. Avrei dovuto seguire il consiglio di Michael, uno strappo deciso e via, tutto si sarebbe risolto. O almeno era quello che mi auguravo.

Il suo sorriso entusiasta mi rendeva tremendamente codardo. Ed era una cosa che non sopportavo. Era solo una ragazza, giusto? Una bella ragazza molto determinata nonché ultimo collegamento che mi era rimasto con Scarlett, ma pur sempre una ragazza.
Avevo temporeggiato per tutto l'appuntamento anche se il piano iniziale era quello di farla finita subito. Invece avevamo camminato per ore sul molo, avevamo parlato e scherzato insieme come se niente fosse. Ed io stavo cominciando ad odiarmi per quella mancanza di coraggio.
Sospirai e la guardai di sottecchi: era impegnata ad osservare la vetrina di un negozio, i lunghi capelli scuri lasciati sciolti sulle spalle, il cappotto rosso scuro che le calzava a pennello sul corpo slanciato.
Quando tornò a voltarsi verso di me, non feci in tempo a cancellare l'espressione combattuta dal mio viso. Elisabeth corrugò la fronte inclinando la testa di lato.
«Va tutto bene?» Chiese con voce gentile.
Distolsi lo sguardo e mi ritrovai a guardare le nostre mani intrecciate. «Ecco, in realtà c'è una cosa che dovrei dirti. Solo che... non è molto piacevole.»
Scrollò delicatamente le spalle. «Okay, dimmi pure.»
Mi morsi il labbro con forza. «Ci ho pensato molto in questi giorni e... Quello che voglio dire è che ho riflettuto su di noi e penso che, arrivati a questo punto...»
«Dovremmo lasciarci?» Indovinò lei, l'espressione di colpo dura e impassibile. Le sue labbra, colorate di un rosso sfumato di viola, si arricciarono appena in una smorfia.
Buttai fuori l'aria lentamente. «Sì. Non voglio mentirti, quindi sì, penso che sia la cosa migliore ora come ora.»
Elisabeth sfilò la mano dalla mia annuendo appena, la postura rigida e lo sguardo sfuggevole. «Capisco.» Si schiarì la gola. «Apprezzo la tua sincerità, comunque.»
«Mi dispiace che sia andata così, davvero. Tu... non lo meritavi.» Mormorai sentendomi tremendamente in colpa, come se le avessi mentito. E, in un certo senso, l'avevo fatto: tutti i miei trascorsi con Scarlett, tutte le nostre discussioni e quella notte di luna piena passata insieme... Elisabeth non ne sapeva assolutamente niente.
«No, va bene. Voglio dire, non va bene, perché stiamo rompendo, ho avuto relazioni che sono terminate in modi molto peggiori quindi...» Replicò lei lasciando la frase in sospeso.
Per un secondo riuscì ad incrociare il suo sguardo. E a notare che aveva gli occhi lucidi. Maledissi mentalmente me stesso e la mia codardia, ma soprattutto quella malsana idea che mi era presa di conoscere Scarlett.
Perché era stato quello a spingermi ad iniziare quella relazione basata solo ed esclusivamente su un mio interesse personale e su un po' d'attrazione fisica. Non c'era stato niente di più, ma solo adesso mi rendevo conto dell'errore che avevo commesso.

La mattina dopo convincermi che dovevo andare a scuola fu una vera impresa. Soprattutto perché sapevo che avrei sicuramente incrociato Elisabeth dal momento che faceva lezione nella classe accanto alla mia.
Era stato giusto, almeno in parte, essere sincero con lei e lasciarla, però questo non toglieva il fatto che l'avevo fatta soffrire e l'avevo illusa. Di solito non ero così, non usavo le persone, ma questa volta c'era stato qualcosa di diverso. Questa volta c'era stata Scarlett.
Mi bloccai di colpo ritrovandomi a trattenere il fiato quando incrociai lo sguardo di Elisabeth. Era in corridoio a pochi metri da me, ma, non appena si accorse della mia presenza, si affrettò a voltarsi e ad andarsene nella direzione opposta.
Mi passai una mano tra i capelli sospirando pesantemente. Essere onesto era servito fino ad un certo punto: anche se adesso avevo smesso di fingere con Elisabeth, l'avevo fatta stare male comunque, e non riuscivo a perdonarmelo.
«Che è successo?» Chiese una voce familiare.
Mi voltai di scatto e mi trovai accanto Scarlett che mi guardava con i suoi occhi da cerbiatto, quegli stessi occhi che si erano infiammati d'oro solo qualche giorno prima. Indossava un maglione rosso scuro un po' troppo grande per lei, dei jeans con uno strappo sulle ginocchia e degli anfibi neri consumati. I capelli le ricadevano morbidi sulle spalle e sulla schiena e le incorniciavano il viso. Dovetti resistere all'impulso di spostare una ciocca che le ricadeva sugli occhi.
«Dovresti chiederlo a lei.» Risposi indurendo la voce.
Sembrò sorpresa. «Ma stava guardando te... Insomma, lo sai cos'è successo, no?»
«Sì.» Confermai. «Però, da quello che mi risulta, io e te non dovremmo parlarci.»
Schiuse le labbra, incredula. «È per quello che è successo l'altro giorno? Non intendevo dire che non possiamo parlarci, ho solo detto che non volevo che tu fossi coinvolto in... tu-sai-cosa.»
«In realtà sono abbastanza sicuro che tu me l'abbia imposto.» Ribattei. «Volevi farmi giurare che non mi sarei più messo in mezzo.»
«L'ho fatto per te: è pericolo e non volevo che ti facessi male.» Insistette.
«O forse l'hai fatto per Elisabeth.» Replicai.
Fece per dire qualcosa, ma poi serrò le labbra in una linea sottile e chinò la testa: a quanto pareva, avevo indovinato.
«Già.» Mormorai. «Come pensavo. Beh, io adesso devo andare quindi...»
Sollevò lo sguardo su di me e per un secondo mi sembrò un cucciolo bisognoso d'aiuto. «Io non... Non era così che...»
«Non era così che doveva andare? Sì, me l'hai già detto e io ho già espresso la mia opinione a riguardo.» Risposi.
Si morse il labbro tornando a guardare il pavimento. «Mi dispiace... So di aver sbagliato e tutto il resto...»
«È tardi per le scuse, non credi?» Domandai. «La mattina dopo il plenilunio mi hai ringraziato per averti aiutato, ma poi non ti sei fatta problemi a dirmi che stavo complicando tutto.»
Si passò una mano tra i capelli e notai che stava tremando. «È una situazione nuova per me, okay? Non ho mai dovuto gestire i rapporti con qualcuno che sapeva veramente cosa sono quindi non so come comportarmi. Vorrei tenerti fuori da tutto questo, ma so anche che non mi darai retta.»
«Credo di sì, invece. Non voglio più avere niente a che fare con il soprannaturale.» Dichiarai dandomi mentalmente del bugiardo.
Spalancò gli occhi, più sorpresa di prima. «Cosa? Come mai hai cambiato idea così in fretta?»
«Non importa. E poi a te non va meglio così? Adesso hai una preoccupazione in meno.» Commentai.
«Sì, ma...» Le si incrinò la voce e fu la prima volta che la vidi veramente in difficoltà. «Tu hai sempre voluto...»
Lo squillo del suo cellulare la interruppe. Lo prese dalla tasca dei jeans e se lo portò all'orecchio. «Pronto?» Ascoltò la risposta e annuì. «Sì, arrivo.» Chiuse la chiamata e rimise il telefono al suo posto prima di alzare gli occhi su di me. «Domani... Le ripetizioni...»
«Passo a prenderti io.» Tagliai corto.
«Okay.» Il suo fu un sussurro appena udibile.
Si voltò e si allontanò velocemente. Rimasi a guardarla per qualche secondo mentre cercavo di dare un nome all'emozione che avevo provato rivedendola lì accanto a me, così piccola eppure forte. Così vicina dopo tanto tempo che aveva passato lontana.

«...a questo punto devi moltiplicare l'indice del radicale per l'indice dell'altro e poi razionalizzi il denominatore...» Spiegai indicando i passaggi sul suo quaderno.
Scarlett lo guardava con la solita espressione imbronciata che riservava alla matematica. Non sembrava particolarmente entusiasta di imparare come risolvere le equazioni di secondo grado con i radicali. E non potevo biasimarla.
Erano passate tre settimane dalla luna piena e i rapporti tra me e lei erano ancora tesi. Buona parte era per colpa mia: ero scattato subito sulla difensiva senza darle il tempo di spiegarsi e così facendo avevo compromesso anche quel minuscolo barlume di equilibrio che sembrava essersi creato tra noi.
C'era da dire che anche lei aveva fatto la sua parte chiudendosi dietro un muro di rabbia testarda e a rispondendo usando solo monosillabi, cosa che mi fece capire come si sentiva Michael quando ero io a farlo.
Mi ero comunque imposto di non farci caso e di continuare a spiegarle gli argomenti di matematica via via che la sua professoressa li introduceva. Era riuscita a rimettersi in pari col programma anche se c'erano ancora alcune cose da sistemare, ma eravamo già ad un buon punto.
Finii di spiegare l'ultimo passaggio dell'equazione prima di aprire il libro per cercare qualche esercizio da farle fare. Sussultai quando me lo sfilò da sotto gli occhi e lo chiuse con un tonfo: fino a quel momento se n'era stata seduta a braccia incrociate e con aria corrucciata, non mi aspettavo un movimento così veloce ed improvviso.
La guardai in cerca di spiegazioni e lei mi restituì lo sguardo alzando il mento in segno di sfida.
«Questa situazione mi ha stancata.» Dichiarò.
«Beh, abbiamo cominciato solo da venti minuti e dobbiamo ancora ripassare le proprietà...» Cominciai facendo un cenno verso il quaderno.
«Non intendevo quello!» Mi interruppe. «Mi riferivo a tutto questo silenzio e al fatto che a scuola neanche ci salutiamo e a questo essere arrabbiati l'uno con l'altra come se io ti avessi ammazzato il gatto.»
«Non ho un gatto.» Risposi senza pensare a quello che dicevo.
«Non importa! Era un modo di dire.» Esclamò.
Mi passai una mano tra i capelli. «D'accordo, allora che proponi di fare? Io uccido il tuo, di gatto?»
Trasse un respiro profondo. «Facciamo pace.»
Rimasi senza parole per un attimo, stupito. Voleva fare pace? Sollevai lo sguardo su di lei e incrociai i suoi occhi da cerbiatto che mi studiavano. Sembravano sinceri ed esprimevano una certa impazienza.
«Sul serio?» Chiesi.
Si strinse le braccia al petto. «Sì. Non mi piace tutta questa tensione. Mi mette a disagio. E forse non avrei dovuto prendermela con te dopo il plenilunio.»
«Neanche a me piace questo non parlarsi: è infantile.» Concordai.
Lei annuì prima di guardarmi con aria critica. «Comunque, me ne sono accorta che hai smesso di chiedermi i soldi. Per le lezioni, intendo. Non sei bravo a tenere il muso alla gente.»
Sentii un sorriso spontaneo farsi strada sul mio viso. «È perché non ci stavo provando seriamente.»
«Oh, sì, certo. Come no.» Scosse la testa. «Lo sai che non ti credo.» E sorrise.
«Fai bene.» Convenni prima di tenderle la mano. «Pace?»
«Mi sento come una bambina di cinque anni, ma sì, pace.» Replicò prima di stringerla.
La sua pelle era calda e morbida. All'indice aveva un piccolo anello argentato con un minuscolo cristallo incastonato. Lo osservai prima di sfiorarlo, sovrappensiero.
«E questo? Non te l'avevo mai visto prima...» Mormorai.
«È di mia madre. L'avevo perso qualche mese fa, ma poi l'ho ritrovato.» Spiegò. «Me lo diede lei un anno fa, più o meno, per ricordarmi che ci sarebbe sempre stata per me, anche se è lontana.»
Sollevai lo sguardo su di lei e incrociai quei suoi occhi da cerbiatto che, per la loro dolcezza apparente, stridevano con la forza del lupo che avevo intravisto in lei.
«Ho rotto con Elisabeth.» Aggiunsi a bassa voce.
Lei annuì. «Lo so, me ne ha parlato. Non ce l'ha con te, non troppo almeno, se è questo che ti preoccupa.»
«Beh, è una buona notizia, credo.» Sussurrai prima di lasciarle la mano. «Tu stai ancora con James?»
«Per il momento sì. Mi ci trovo bene.» Rispose.
«Bene, mi fa piacere. Almeno uno di noi due ha una relazione solida.» Replicai passandomi una mano tra i capelli.
Lei rise piano. «Eh già. Ma non so quanto durerà.»
«Perché? Se state bene insieme non c'è motivo per cui non dovrebbe funzionare, no?» Domandai.
Si morse il labbro distogliendo lo sguardo. «Beh, no, hai ragione. Però lui vuole farmi conoscere i suoi amici e non è che mi vado molto. Insomma... sarà imbarazzante.»
«Forse un po' sì. Ma saprai cavartela.» La rassicurai.
Mi fece un sorriso timido. «Grazie. Per questo e perché non mi hai mollata in mezzo a questo mare di numeri strani anche se ti ho fatto arrabbiare.»
«Non lo farei mai: mi sono preso un impegno e voglio portarlo a termine.» Dichiarai. «E anch'io devo ringraziarti. Sei stata tu a proporre di fare pace: se fosse dipeso da me ci staremmo ancora odiando in silenzio.»
«Si sa che le donne sono più mature.» Commentò inclinando la testa di lato.
«Le donne, non i lupi mannari.» La stuzzicai.
Mi fece una smorfia. «Quanto sei simpatico, mi stupisco che Beth abbia rinunciato a te.»
«Forse aveva intuito che eri pazzamente innamorata di me e si è fatta indietro.» Commentai.
«Sì, certo. Credici se aiuta la tua scarsa autostima.» Mi rimbeccò con un sorrisetto divertito. «Possiamo smettere di fare questo?» Chiese indicando il libro di matematica con evidente disgusto.
«Abbiamo appena iniziato.» Le feci notare senza riuscire a trattenere un sorriso.
Si strinse nelle spalle. «E io mi sono già stancata.»
«Che vorresti fare allora?» Domandai appoggiando i gomiti sul tavolo.
«Qualcos'altro.» Rispose semplicemente. «Perché non andiamo fuori? Ho voglia di prendere un po' d'aria.»
Mi morsi il labbro mentre valutavo la sua idea: avrei dovuto insistere perché continuassimo a ripassare le regole che le riuscivano meno, ma sapevo che non si sarebbe concentrata neanche un po' se le avessi detto che dovevamo continuare a fare esercizi. Probabilmente avrebbe passato il resto dell'ora a sbuffare teatralmente e a lamentarsi di quanto fossero inutili i radicali.
«D'accordo.» Mi arresi. «Anche perché altrimenti saremmo tornati all'odio silenzioso di prima.»
Fece un gesto vago con la mano, come ad allontanare la possibilità che succedesse una cosa simile. «Macché. Io sono più matura di così.»
Scossi la testa cercando di non sorridere. «Certo...»
Lei si alzò e si voltò facendomi cenno di seguirla. «Andiamo, su.»
Senza aspettarmi, si incamminò verso la porta e uscì, perfettamente a suo agio, come se fosse stata a casa sua. La raggiunsi sul portico, dove si era seduta su uno dei gradini. Presi posto accanto a lei che mi lanciò un'occhiata di sottecchi. Non ci avevo fatto molto caso prima visto che ero troppo impegnato a tenerle il muso, ma stava bene vestita in quel modo: cardigan verde scuro, jeans neri e una camicia a quadri blu.
«Sono felice che ci siamo riappacificati.» Ammise a bassa voce. «Ci ho pensato molto in questi giorni e ho capito perché mi comportavo in modo così... duro con te. Avevo paura del fatto che mi rassicurasse avere qualcuno che sapeva cosa sono e che lo aveva accettato. Sì, lo so che sembra un paradosso, ma è... la verità.»
«Immagino che non sia facile per te. Dopo anni passati a fingere e a mentire, dev'essere stato un grosso cambiamento per te ritrovarti a dover affrontare qualcuno che conosceva il tuo segreto.» Risposi.
«Già... Ma, in fondo, sono felice che quel qualcuno sia tu. Mi sarebbe potuto capitare uno fissato col soprannaturale che mi avrebbe riempita di domande, o un isterico che avrebbe dato di matto.» Commentò lei stringendosi le braccia al petto.
«Beh, è bello sapere che mi preferisci a dei pazzi.» Replicai strappandole un sorriso.
Mi rifilò una gomitata nelle costole. «Guarda che sono seria. Insomma, anche se a volte mi fai impazzire, sei razionale quando serve e riesci a tenermi testa.»
«Non riesco a credere che mi stai facendo un complimento, non dopo che abbiamo litigato un sacco di volte proprio perché volevo aiutarti.» Commentai.
«Non è proprio un complimento.» Chiarì lei aggrottando la fronte. «Più che altro ti sto riconoscendo un merito.»
Alzai le mani in segno di resa. «Okay, mettiamola come vuoi tu.»
Sembrò soddisfatta della mia risposta. «Bene. E credo di doverti ringraziare per quello che hai fatto la notte di plenilunio: se non ci fossi stato tu mi sarei dovuta togliere un sacco di schegge dalle mani.»
La guardai, confuso. «Che intendi?»
Spostò lo sguardo sugli alberi davanti a noi. «Ecco, quando c'è la luna piena io me ne vado nel bosco, così posso... sfogarmi senza fare male a nessuno. A parte gli alberi: spesso sono loro le mie malcapitate vittime. Sai, il legno è morbido e gli artigli ci affondano bene...»
«Come i gatti con i tira-graffi.» Mormorai.
«La smetti di paragonarmi ad un gatto?» Esclamò lei voltandosi verso di me.
Mi morsi il labbro per nascondere un sorriso. «Scusa, è la prima cosa che mi è venuta in mente.»
Scosse la testa alzando gli occhi al cielo. «Forse ti ho giudicato troppo in fretta, forse anche tu sei un po' fuori di testa.»
«Beh, ho passato la notte di luna piena con te quindi un po' di pazzia devo averla.» Convenni.
«E io te l'ho lasciato fare. Questo ci porta alla conclusione che siamo pazzi tutti e due.» Aggiunse lei giocherellando con il bordo del cardigan.
Mi lasciai sfuggire una risata. «Poteva andarci molto peggio, sai? In tutti i sensi.»
Annuì sorridendo quasi timidamente. «Eh già. In fondo, forse mi fa davvero piacere che ci sia tu a darmi ripetizioni, a scherzare sulla licantropia, a incasinarmi la vita.»
La guardai, sorpreso da quella rivelazione. Lei sembrò in imbarazzo e distolse subito lo sguardo: forse pensava di aver detto troppo, di essersi esposta e di non poter tornare indietro. Strinsi le labbra cercando qualcosa da dire, qualcosa che la rassicurasse.
«Ehi.» Mormorai. «Apprezzo quello che hai detto. Non so quanto possa importare, ma anche a me fa piacere che tu sia... ehm... il primo lupo mannaro che conosco.»
Rise piano appoggiando i gomiti sulle ginocchia. «Oddio... Lo sai che non ha senso, vero?»
Mi passai una mano tra i capelli. «Sì. Ma spero tu abbia capito cosa intendevo.»
Si voltò verso di me e i suoi ardenti occhi da cerbiatto incontrarono i miei. «Ho capito, credo. E ho realizzato che ora che non stai più con Beth non ti vedo più come una minaccia, non ti considero più qualcuno da evitare.» Mi tese la mano, per metà coperta dalla manica del cardigan. «Ti va di dimenticare tutte le minacce, il mio essere acida e ipocrita, e provare a ricominciare da capo?»
Sorrisi senza neanche rendermene conto e le strinsi la mano per la seconda volta quel giorno. «Sì, direi che è una buon'idea. E spero che tu voglia perdonarmi per tutte le volte che sono stato troppo duro con te. Mi dispiace sul serio per essermi comportato da idiota.»
«Sei perdonato.» Decise prima di mordersi il labbro nel tentativo di nascondere un sorriso.
Forse quel punto di incontro che solo qualche settimana prima sembra lontanissimo, irraggiungibile, adesso era proprio lì, a portata di mano. E forse potevamo raggiungerlo e darci una seconda possibilità.




SPAZIO AUTRICE: Ehilà :3

Sì, non sono morta, non ancora almeno. Questo periodo però è molto, molto incasinato per me: la scuola mi porta via molto tempo e sto dedicando molte attenzioni ad un'altra storia (che ho riscritto per tre volte nel corso di due anni) che probabilmente pubblicherò più avanti. Ma Under a Paper Moon è comunque una priorità <3
Detto questo, passiamo al capitolo. Adam ed Elisabeth hanno rotto e lui si sente in colpa. Ecco, questa è una caratteristica fondamentale di Adam, che condivide anche Scarlett: odiano far star male le persone. Se fanno soffrire qualcuno, loro ci stanno male il doppio.
In più gli Adamett litigano perché Adam si sente ferito nell'orgoglio da ciò che Scarlett gli ha detto dopo la notte di plenilunio e un po' ce l'ha con lei anche perché l'ha portato ad illudere e quindi ferire Elisabeth. Scarlett, invece, non sembra disposta a rinunciare a quel qualcosa che hanno. Perché? Bella domanda.
E anche se lui, almeno nella prima parte, è sembrato un po' troppo duro, vi prometto che si rifarà e che ci sarà un bel po' di Adamett più avanti.
E finalmente sappiamo cosa ha scelto Michael *-* oltre ad essersi improvvisato mentore, in questo capitolo vi ha anche presentato il motivo dell'avvisoslash nelle note: i Michaleb (?). Spero vi piacciano, sono la prima coppia slash di cui scrivo quindi sono un po' inesperta, ma proverò a fare del mio meglio :3
Un'altra cosa: Under a Paper Moon sarà divisa in due parti, ma sarà una cosa molto astratta. In pratica, dal capitolo 23 cambierò il banner -un altro mio esprimento- perché entreremo nella seconda metà della storia. Ci saranno nuovi personaggi, alcuni simpatici altri meno, e scoprirete qualcosa in più sulla licantropia di Scarlett.
Ora mi dileguo perché sennò non la finisco più. Quindi niente, spero che il capitolo vi sia piaciuto <3

TimeFlies

Under a Paper Moon (Completa)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora