Trassi un respiro profondo sperando che mi aiutasse a schiarirmi le idee. Gli avevo parlato, avevo risposto alle sue domande. E avevo cominciato a conoscerlo.
Quello però era stato un fuori programma, non era nelle mie intenzioni farlo. Eppure non ero riuscita a fare a meno di prestare attenzione ai piccoli dettagli, ai suoi modi di fare, alla sua voce, ai suoi occhi tempestosi... Avevo ammesso, in una piccola parta della mia mente, che sì, Adam era un bel ragazzo e che sì, un pochino mi piaceva in quel senso. Solo che non potevo permettermi di andare oltre, proprio no. Dovevamo finirla lì, non parlarci più, prendere ognuno la propria strada e fine.
"Posso farcela", mi dissi, "in fondo so così poco di lui, non posso mica esserne attratta fino a quel punto... Sarà solo una cosa passeggerà, me ne dimenticherò presto." Purtroppo però, saltare fuori con quella frase che non ammetteva repliche, non sembrava una grande idea. Anzi, era una pessima idea, una delle peggiori che potessero venirmi in mente.
I suoi occhi blu si spalancarono e le sue labbra si schiusero appena rivelando la sua più che comprensibile sorpresa. «Mi dispiace deluderti, ma io non ho niente di soprannaturale.» La sua voce era quasi esitante.
"Non è quello che mi interessa di te", disse una vocina nella mia mente. «Sì, lo... lo so. È solo che non ti comporti come dovresti fare. Adesso dovresti scappare, avere paura di me, invece sei ancora qui.»
Annuì appena, come se avesse realizzato qualcosa. «Già, mi sorprendo di me stesso anch'io. Non so, forse la mia è solo una reazione ritardata alla paura.»
Una minuscola parte di me non poté fare a meno di sentirsi ferita: lui non doveva avere paura di me, non poteva; avevo vissuto per anni col terrore che qualcuno scoprisse cos'ero e mi allontanasse, mi trattasse come un mostro. Quando avevo visto che lui non lo faceva, ma che era come affascinato da me, avevo pensato che magari c'era una speranza, seppur piccola e flebile, che potessi vivere normalmente.
«Tu... hai paura di me?» Domandai.
In effetti, avrei dovuto pensarci prima, prima di mostrare gli artigli da così vicino, prima di raccontare dei sensi più sviluppati, prima di rivelare che potevo capire se mentiva.
Nei suoi occhi tempestosi passò un lampo. «No.» Lo disse con decisione, senza tentennare.
«No?» Ripetei incredula. «Voglio dire, se dovessi trasformarmi qui, davanti a te, non scapperesti?» "Non tirare troppo la corda", mi ammonì la stessa vocina di prima.
Si passò una mano tra i capelli distogliendo lo sguardo. «Beh... dipende. Sì, insomma, se tu ti trasformassi e basta credo di no. Se provassi a balzarmi alla gola o qualcosa del genere allora... Ad essere sinceri non so cosa farei.»
Senza che fossi io a volerlo, i miei occhi si posarono sulla sua gola, appena sotto la mascella. Mi bastò un attimo di concentrazione per cogliere il battito del suo cuore in mezzo ai rumori della città. Era regolare, magari giusto un po' più veloce del solito. Non aveva paura.
Osservai la curva del suo collo, la lieve sporgenza delle clavicole che si intravedeva dal colletto della maglietta, la forma delle labbra... Poi mi costrinsi a distogliere lo sguardo. «Uhm... Non è una reazione normale.»
Un angolo della sua bocca si sollevò appena in un sorriso sghembo. «Te l'ho detto, mi sorprendo di me stesso. Il fatto è che non riesco a sentirmi intimorito da te.» Prima che potessi replicare, aggiunse: «Non fraintendermi: con questo non voglio dire che sei debole o comunque fragile. Voglio dire che la curiosità supera la paura.»
Fu il mio turno di guardarlo incredula: curiosità? Io lo incuriosivo? In che senso però? In quanto licantropo? O come ragazza che cerca disperatamente di mantenere insieme i pezzi della sua vita?
«Oh... Credo che questo spieghi qualcosa...» Mormorai.
«Per esempio la mia voglia di saperne di più su di te? Sì, direi di sì.» Replicò.
Dovevo ammettere che il suo comportamento mi confondeva, e non poco: com'era possibile che trovasse interessante la licantropia? C'erano leggende su leggende che ritraevano i licantropi come mostri assetati di sangue, assassini spietati e senza cuore e ora lui mi veniva a dire che lo incuriosivo. Una parte di me si chiese se fosse sbagliato il suo atteggiamento, o se fossi io quella che si sorprendeva per nulla. In fondo, era il primo che mettevo a conoscenza del mio segreto quindi forse la sua reazione non era poi troppo strana.
«Se... se vuoi continuare a parlare potremmo andare in un posto più tranquillo...» Il suo fu un mormorio leggero che quasi si perse nel rumore del traffico. «So che devi andare, ma... credo bastino pochi minuti. Giusto il tempo per te di farmi le domande che vuoi e per me di risponderti. Se non puoi, o non vuoi, va bene lo stesso, ti ho stressata anche troppo.»
In realtà era tutto il contrario: aver parlato con qualcuno di un segreto che mi portavo dietro da così tanti anni era liberatorio, in un certo senso. Dopo averlo fatto mi sentivo più leggera, più sicura di me, per puro paradosso. «Credo che si possa fare.» Dichiarai.
Sollevò lo sguardo su di me, sorpreso. «Sul serio?»
«Sì. Se devo essere sincera qualunque cosa è meglio che fare i compiti di biologia...» Ammisi lasciandomi sfuggire un sorriso incerto.
Sembrò sul punto di dire qualcosa, ma ci rinunciò e tornò ad abbassare gli occhi. Alla fine di decise ad annuire. «Okay.» Trasse un respiro profondo. «Che ne dici se andiamo da qualche altra parte? Parlare in mezzo ad un marciapiede non è una grande idea.»
«Va bene.» Concordai stringendo le labbra.
Mi rivolse un'occhiata fugace e quasi incredula prima di fare un cenno verso l'auto. Il suo nervosismo mi sorprese: fino a quel momento era riuscito a gestirlo bene, ma adesso sembrava essere diventato insicuro. Forse era la prospettiva di stare da solo con me che lo metteva così in soggezione. Beh, era una reazione più che normale, mi sembrava strano che non l'avesse fatto prima.
Aprii lo sportello del lato passeggero e presi posto accanto a lui. Dalla sua postura rigida e dalla tensione dei suoi muscoli intuii subito che era agitato. Avrei voluto calmarlo, rassicurarlo, ma non avevo idea di come fare: cosa dici ad una persona che ha appena scoperto i poteri dei licantropi e a cui hai appena imposto un'altra chiacchierata non proprio piacevole?
Mentre io cercavo un modo per tranquillizzarlo, anche se non ero sicura che servisse, lui guidava in silenzio, lo sguardo fisso sulla strada, l'espressione assorta.
«Cosa vuoi sapere?» Mi ci volle un attimo per realizzare che stava parlando con me.
Mi voltai verso di lui e per una frazione di secondo incrociai i suoi occhi blu tempesta che mi studiavano. «Uhm... Di preciso non lo so, però... Ecco, il modo in cui ti comporti con me è strano, non sembri mai impaurito o anche solo consapevole del pericolo che corri. Credo solo di volerti capire un po' di più.» Solo dopo che ebbi pronunciato l'ultima frase mi resi conto che poteva essere fraintesa e non di poco.
«Non c'è molto da capire. Voglio dire, il soprannaturale ha sempre affascinato le persone, no?» Replicò riportando lo sguardo dalla strada quasi sulla difensiva.
«Tu non mi sembri il tipo che crede alle leggende.» Commentai.
«Vero.» Ammise. «In effetti non le ho mai sopportate. Ma credo che ritrovarmi un licantropo davanti possa avermi fatto cambiare idea almeno per quanto riguarda i lupi mannari.»
«Uhm... Non potevi trovarti una creatura meno pericolosa? Che so, magari un folletto? O il Coniglio Pasquale?» Tentai.
Sorrise e vidi i suoi muscoli che si rilassavano un po'. «Sai come si dice? Se vuoi fare qualcosa devi farla per bene.»
«Appunto, non mi sembra che "morire di morte lenta e dolorosa" sia implicato nel fare bene qualcosa.» Risposi incrociando le braccia al petto.
«Se tu dovessi mai decidere di uccidermi credo che sarebbe piuttosto veloce ed indolore.» Ribatté senza scomporsi minimamente.
Feci per rispondergli, ma mi bloccai: che potevo dire a uno che non aveva la minima paura di morire per mano mia e che anzi ci scherzava sopra? Distolsi lo sguardo cercando di trovare le parole giuste. Alla fine, però, fu la curiosità a vincere: «Come fai a prenderla così alla leggera? Insomma, se mi andasse potrei saltarti alla gola anche adesso.»
«Mmh... C'è sempre questa possibilità. Ma dopo chi risponderebbe alle tue domande?» Mi fece notare lanciandomi un'occhiata di sottecchi.
«Non sono così importanti.» Dichiarai alzando il mento.
«Allora posso portarti a casa.» Il suo tono voleva essere innocente, ma colsi comunque una nota di ironia.
Aggrottai la fronte scoccandogli un'occhiataccia. «Ti diverti?»
Si mordicchiò il labbro. «Forse.»
Sospirai chiudendo gli occhi: come avevo fatto a cacciarmi in quella situazione? Mi ero ripromessa di stare con lui per il minor tempo possibile ed ora eravamo nella sua macchina, insieme... Eppure c'era una minuscola parte di me che trovava tutto quello quasi piacevole in qualche modo.
«Comunque, tanto per sapere, dov'è che stiamo andando?» Domandai mettendo fino a quello scambio di provocazioni.
«A casa mia.» Rispose semplicemente.
Devo ammettere che quelle tre parole mi allarmarono un po'. «Casa tua? Non ricordavo abitassi in mezzo al bosco...» Commentai lanciando un'occhiata fuori dal finestrino: la città aveva lasciato il posto alla foresta, verde e rigogliosa, che in quel momento stava costeggiando la strada.
«In effetti, andiamo nell'altra casa.» Si corresse.
Sollevai le sopracciglia, sorpresa. «Vuoi dire che hai due case?»
Le sue labbra si incresparono appena. «Non proprio.»
Alzai gli occhi al cielo, un po' troppo vicina all'esasperazione per i miei gusti. «Non puoi essere più comprensibile? E poi, una casa nel bosco? Potresti essere un maniaco che vuole uccidermi. In modo anche poco discreto... Dovresti affinare la tecnica.»
Si mise a ridere e vidi tutta la sua tensione sciogliersi. «Un maniaco che ti offre una cioccolata calda? Devo essere proprio sadico, eh?»
«Hai mai sentito parlare di tecniche di adescamento?» Chiesi osservandolo di sottecchi.
«Sei informata, mmh?» Domandò senza smettere di sorridere.
«Mi piacciono i telefilm polizieschi.» Ammisi. «A parte questo, ti dispiacerebbe spiegarmi questa cosa delle due case?»
«Quella dove stiamo andando ora è dei genitori di mia madre. Ce l'hanno lasciata perché preferiscono l'aria di mare e quindi si sono trasferiti sulla costa.» Spiegò.
«Oh... E non ci abita nessuno?» Domandai.
«A mia madre non piace il bosco, preferisce la città, quindi no.» Rispose. «Comunque, siamo arrivati.» Aggiunse fermando l'auto.
Ci trovavamo in una piccola radura in mezzo al bosco; la luce del sole che filtrava attraverso i rami degli alberi creava chiazze chiare sul terreno. Davanti a noi c'era una di quelle case che si vedono nei film: un piccolo cottage con il portico di legno e il comignolo di pietra. Sembrava appena uscito da una qualche favola.
«Cavolo...» Mormorai. «Pagherei per vivere qui.» "L'ho davvero detto ad alta voce?", pensai.
Accanto a me, Adam sorrise appena. «Mia nonna ha sempre avuto gusto. E una grande passione per le cose costose.»
«Uhm... Mia madre impazzirebbe se la vedesse: ha sempre voluto una casa così.» Faticai io stessa a sentire la mia voce. Mi riscossi dai miei pensieri e gli lanciai un'occhiata. «Quindi... che si fa ora?»
«Hai detto di volermi fare qualche domanda, giusto?» Chiese ricambiando lo sguardo.
«Sì. Se... se vuoi.» Risposi.
Annuì e fece un cenno verso la casa. «Vieni.»
Scese, fece il girò dell'auto e mi aprì lo sportello. Per un attimo rimasi a guardarlo, sorpresa e interdetta: nessuno era mai stato così... gentile con me. O meglio, nessun ragazzo. E poi lui non aveva neanche un buon motivo per farlo, non c'era niente che ci legava, o che poteva spingerlo a fare un gesto del genere.
Mi morsi il labbro e scesi anch'io. Quando lui chiuse lo sportello me lo trovai di fronte, con solo qualche centimetro a separarci. Stranamente non mise in imbarazzo essergli così vicino, anche se sentii un brivido lungo la schiena quando ripensai alle sue dita che mi sfioravano la guancia.
Fece un minuscolo cenno verso il portico della casa. Lo seguii istintivamente e rimasi lievemente sorpresa quando lo vidi sedersi su uno dei gradini di legno. Esitai per un attimo mentre lui mi guardava in attesa che lo raggiungessi.
Sospirai chiedendomi per l'ennesima volta com'ero finita in quella situazione, e mi sedetti accanto a lui con le braccia strette al petto.
Lui appoggiò i gomiti sulle ginocchia e mi lanciò un'occhiata veloce. «Allora... da dove vuoi cominciare?»
«Oh... Beh, non lo so. In effetti, non so cosa chiederti.» Ammisi.
Si voltò verso di me, gli occhi che tradivano la sua sorpresa. «No?»
Mi strinsi nelle spalle scuotendo la testa. «No.»
«Forse dovremmo cominciare da qualcosa di più semplice.» Propose.
Aggrottai la fronte. «Che intendi?»
«Fino ad ora abbiamo parlato solo di soprannaturale e simili, magari se adesso passiamo alle cose più... comuni sarà più semplice per tutti e due.» La sua voce era calma come se avesse avuto di nuovo a che fare con un animale spaventato.
«Vuoi dire una conversazione normale?» Non riuscii a trattenere un sorriso: nel mio dizionario, "normale" era l'obbiettivo di una vita, tutto quello per cui lottavo giorno dopo giorno. Avere una vita normale, degli amici normali, un lavoro normale, un ragazzo normale. Senza che la licantropia interferisse.
«Sì, esatto.» Confermò mentre un angolo della sua bocca si sollevava appena in un accenno di sorriso.
«Mmh... Mi sembra fattibile.» Restava comunque il fatto che non avevo la minima idea di cosa chiedergli. «Uhm... Quanti anni hai?»
"Che domanda idiota", pensai subito dopo aver parlato.
«Diciassette.» Rispose tranquillamente. «Tu?»
«Diciassette anch'io. Poi... colore preferito?» "Lo sto facendo sul serio?", mi chiesi quasi faticando a credere di avergli proposto quella... cosa, perché non me la sentivo di chiamarla conversazione.
Il suo sguardo tradì una certa sorpresa e vidi le sue labbra arricciarsi appena nel tentativo di trattenere un sorriso. «Blu, credo.»
«Davvero? Ma è banale.» Esclamai senza riuscire a fermarmi prima.
Distolse lo sguardo e sorrise. «E il tuo? Sono curioso di sapere quali colori non sono "banali".» E tornò a guardarmi con quei suoi occhi color tempesta.
«Porpora.» Risposi subito ricambiando l'occhiata.
«Porpora.» Ripeté come se stesse assaporando la parola. «In effetti non è banale.»
«Te l'ho detto.» Per un qualche strano motivo mi sentii compiaciuta. «Hai fratelli o sorelle?»
«Un fratello maggiore. Tu?» Rispose osservandomi.
«Sono figlia unica.» Replicai. «Allora... Che vuoi fare dopo il liceo?»
«Ancora non lo so. Mi piacerebbe studiare letteratura o magari lingue...» Spostò lo sguardo sul bosco di fronte a noi. «Tu invece?»
«Non ne ho la più pallida idea.» Ammisi mettendo i gomiti sulle ginocchia e appoggiando il mento sulle mani. «Non so neanche se voglio andare al college oppure lavorare... Vorrei viaggiare, a dirla tutta, ma mi mancano... uh, le risorse economiche per farlo.»
Mi sorprese parecchio la facilità con cui gli parlavo e gli confessavo sogni e speranze e particolari di me. E lui sembrava ricambiare, come se non fosse nulla di strano. In effetti, non lo era. O meglio, avrebbe dovuto esserlo visto che mi ero ripromessa di stargli lontano. Ma soprattutto avrebbe dovuto esserlo visto che era stata la mia licantropia a condurci a quella strana conversazione.
«E dove vorresti andare?» I suoi occhi blu mi studiavano incuriositi.
«Oh... Ehm, in Inghilterra di sicuro, poi Italia, Argentina, Spagna, Cina, India...» Spiegai.
«Sarebbe parecchio bello in effetti.» Commentò tornando a guardare l'intreccio degli alberi.
Mi strinsi le braccia al petto. «Già. Però non credo ci riuscirò mai. Comunque... libro preferito?»
«1984 di George Orwell.» Ribatté prima di fare un respiro profondo. «Il tuo?»
«Non prendermi in giro, ma... Le Cronache di Narnia.» Gli lanciai un'occhiata veloce per valutare la sua reazione.
Un sorriso leggero gli increspò le labbra. «Perché dovrei prenderti in giro? Lewis era un grande scrittore.»
«Sì, certo, è solo che... Non so, alcuni lo considerano un libro da bambini.» Spiegai.
«Non dovrebbero. E comunque è piaciuto anche a me.» Replicò.
Mi mordicchiai il labbro e distolsi lo sguardo. Era diverso da come l'avevo immaginato, era... più aperto e anche più amichevole. Ed interessante. Parlargli risultava facile e quasi piacevole.
«Posso farti una domanda io?» Chiese, di nuovo con quel tono calmo.
Annuii subito, senza neanche pensarci. «Sì.»
I suoi occhi color tempesta erano su di me, attenti e anche un po' incuriositi. «Come fai a non crollare mai? Voglio dire, come riesci a reggere la pressione del nascondere il tuo segreto?»
Trassi un respiro profondo e mi infilai una ciocca di capelli dietro l'orecchio. «Ecco, non è facile. Per niente. Ma non ho scelta. L'unica cosa è che, visto che mia madre viaggia spesso, riesco a tenerle nascosto il mio essere lupo.»
«Vorrei aiutarti... In qualche modo.» Mormorò così piano che credetti di essermelo immaginato.
Trattenni il fiato: stavamo andando troppo oltre. Decisamente troppo oltre. «No... Nel senso, non serve. Te l'ho già detto: io non ti conosco, tu non conosci me e finisce qui.»
«In realtà adesso un po' ci conosciamo...» Sussurrò fissando con aria pensierosa il terreno.
Scossi la testa. «Non abbastanza. Non voglio coinvolgerti in questo casino perché mi complicherei solamente la vita. E anche la tua diventerebbe più ingarbugliata.»
Lui si voltò verso di me e mi guardò negli occhi. «Scarlett...»
«Sul serio Adam, è meglio finirla qui. Non voglio coinvolgerti. E non lo faccio perché voglio in qualche modo proteggerti, o meglio non solo, ma anche perché lasciarti entrare nella mia vita è una pessima idea.» Insistetti.
Strinse le labbra abbassando lo sguardo. «Ne sei sicura? È vero che non so quasi nulla sulla licantropia, ma potrei aiutarti in qualche modo.»
«No, decisamente no. Non ci conosciamo, non so praticamente nulla di te a parte qualche scemenza e non so se posso fidarmi.» Dichiarai indurendo la voce. «Ti sarò eternamente grata per non aver rivelato il mio segreto e se continuerai a farlo, ma di più non posso darti. Proprio no.»
Mi morsi la lingua per evitare di aggiungere uno "scusa": non dovevo scusarmi proprio di nulla. Anzi, se comportarmi da ingrata l'avesse allontanato, allora sarei stata il più sgradevole possibile.
Si passò una mano tra i capelli sospirando. «Non hai nessun motivo per fidarti di me, è vero, però non puoi pretendere che ora io smetta di pensare a te.» Si bloccò trattenendo il fiato come se avesse appena realizzato qualcosa di sconvolgente. «Volevo dire, non puoi pretendere che io smetta di pensare a quello che mi hai detto.» Si corresse in fretta.
«Infatti non avrei dovuto dirti nulla. È solo che ho pensato che ti sarebbe bastato, che dopo non avresti voluto sapere più nulla. Ovviamente mi sbagliavo, e lo sapevo anche, ma ormai il danno è fatto.» Dovevo mantenere la mia posizione a qualunque costo, non potevo permettermi di cedere.
«Quindi secondo te adesso dovrei semplicemente dimenticare? Fare finta di nulla?» Nella sua voce colsi una nota di tensione.
«Sarebbe la cosa migliore da fare, sì.» Convenni annuendo piano.
Vidi che stava per ribattere così aggiunsi: «Lo so che è difficile farlo, praticamente impossibile, ma è l'unica soluzione.»
Aggrottò la fronte stringendo le labbra. «Probabilmente speravi in qualcun altro, mmh?»
Lo guardai, confusa. «Cosa?»
«Speravi che fosse un altro, o un'altra, la persona che ti avrebbe aiutata, che ti avrebbe dato una speranza.» Aveva abbassato il tono rendendolo poco più di un sussurro.
«In realtà non ho mai sperato in nessuno... Mi sono sempre detta che dovevo fare da sola senza contare sugli altri per evitare di metterli in pericolo, quindi non ho mai creduto che qualcuno mi avrebbe aiutata.» Ammisi ritrovandomi a parlare lentamente come aveva fatto lui più di una volta.
«Forse è il momento di cambiare le cose.» Disse, lo sguardo di nuovo puntato sulla foresta davanti a noi.
Alzai gli occhi al cielo. «Perché insisti tanto? Cosa ci guadagni ad aiutarmi? Ti complicherebbe solo la vita.»
«Perché non posso rimanerti indifferente dopo quello che mi hai detto.» Rispose.
Mi morsi il labbro inferiore. Non potevo fare a meno di sentirmi un po' innervosita dalle sue continue insistenze. Anche perché non sapevo come gestirle: che dovevo dirgli per farlo demordere? Non mi andava di minacciarlo, in fondo mi aveva aiutata non rivelando il mio segreto, ma rischiavo seriamente di cedere se continuava così.
«Stai uscendo con Elisabeth e non voglio che lei sia coinvolta, okay? Se ti dessi la possibilità di aiutarmi prima o poi finirebbe nel mezzo anche lei e questa è un cosa che non deve assolutamente succedere.» Spiegai e fui piuttosto sincera: Beth non era il motivo principale per cui non lo volevo nella mia vita, ma di sicuro anche lei giocava un ruolo importante nel mio rifiuto.
Si irrigidì appena al nome di Beth e nei suoi occhi blu passò un'ombra. «Uh... Sì, Elisabeth...»
Inarcai un sopracciglio, sospettosa. «Uscite insieme, no?»
«Beh, sì. Cioè, non proprio.» Trasse un respiro profondo evitando di proposito di guardarmi in faccia. «È complicato.»
«E cosa ci sarebbe di complicato?» Chiesi riuscendo ad incrociare il suo sguardo.
«Ecco... Lei è...» Cominciò in tono esitante.
«Ascoltami bene, non pensare neanche di far soffrire Elisabeth. Se lo farai, sarò io a far soffrire te, chiaro?» Ringhiai.
Resse il mio sguardo senza mostrarsi intimidito. O meglio, non quanto avrebbe dovuto. Poi sorrise e distolse lo sguardo, gesto che mi spiazzò completamente: che diavolo stava succedendo in quella sua mente così vivace e complessa? Sarei impazzita cercando di stargli dietro, poco ma sicuro.
«Non ho intenzione di farla star male, credimi. Solo... beh, non la conosco ancora e non voglio affrettare le cose, né forzarle.» Replicò senza perdere quel dannato sorriso. «Non so ancora se mi piace sul serio.»
«E allora perché le hai chiesto di uscire?» Mi stavo avvicinando pericolosamente al limite dell'esasperazione, lo sapevo e lo sentivo. Eppure continuavo a dargli corda, sia perché volevo proteggere Beth, sia perché quella strana luce nei suoi occhi mi spingeva a continuare quello scambio di provocazioni.
«Come facevo a sapere se mi sarebbe piaciuta o no prima di conoscerla almeno un po'?» Mi fece notare in tono ovvio.
«Uhm... Ti ricordo che siamo abbastanza vicini perché io possa capire se menti.» Ribattei osservandolo con aria critica.
«Okay, allora dimmi se mento adesso.» Il sorriso provocante di poco prima era sparito, al suo posto c'era un'espressione intensa tanto quanto il suo sguardo. «Voglio capirti di più Scarlett. Fino a dove non lo so neanche io, ma so per certo che non sarà facile farmi demordere.»
Mi ritrovai a trattenere il fiato, gli occhi incatenati ai suoi. "Ti stai cacciando in un guai enorme, persino più grosso di quando hai deciso di parlargli", commentò una vocina nella mia mente. Era vero, terribilmente vero. Non opponevo molta resistenza ai suoi tentativi di farmi cambiare idea, ma, in fondo, era quella la mia linea di difesa: allontanarlo, per il suo e per il mio bene. E allora perché era così difficile?
Non solo a livello pratico, ma anche sentimentale. Sapevo che era per il mio e per il suo bene, però non riuscivo a tradurre queste convinzioni in pratica. Era lì che mi bloccavo, al momento in cui avrei dovuto dimostrarmi coerente e fare ciò che dicevo. Però non sembravo esserne capace, perché?
Forse perché è il momento di cambiare le cose.SPAZIO AUTRICE: Ehi, eccomi di nuovo :3
Avrei voluto aggiornare domani, ma mi sono resa conto che non avrei avuto tempo di farlo per via degli impegni con la scuola, quindi eccovi l'undicesimo capitolo *-*
Il confronto tra Adam e Scarlett iniziato nel capitolo scorso continua, prima mantenendosi su temi più "normali" per poi finire, inevitabilmente direi, per toccare il famoso tasto dolente: Adam è affascinato da Scarlett e dal lupo che si nasconde dentro di lei, Scarlett vorrebbe allontanarlo, sia per se stessa che per evitare di ferire Beth, eppure si trova ed essere indecisa a riguardo.
Sono anni che si porta dietro il segreto della licantropia con tutte le bugie e le verità taciute che questo comporta, adesso che ne ha parlato con qualcuno si sente alleggerita da questo fardello, anche se è Adam che le offre questo sollievo, anche se non era programmato.
Nel prossimo capitolo sia Beth che Selena giocheranno un ruolo piuttosto importante nell'avicinamento di Adam e Scarlett. O nel loro allontanamento, chi lo sa.
Spero che la storia continui a piacervi e grazie per l'entusiasmo con cui la seguite *-*A presto,
TimeFlies
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Under a Paper Moon (Completa)
Kurt AdamScarlett, diciassette anni appena compiuti e un segreto piuttosto scomodo da nascondere, non potrebbe essere più felice di stare nella sua adorata ombra, lontana da sguardi indiscreti e da problemi presenti e passati che non vuole affrontare Adam, r...