39. Scarlett

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 Dopo un'intensa mattinata a scuola passata a cercare di convincere la professoressa di matematica del fatto che mi stessi impegnando per migliorare e a improvvisare parole in francese per sopperire al mio scarso vocabolario, tutto quello che volevo era andarmene a casa e mangiare qualche schifezza fin troppo dolce comodamente sdraiata sul divano.
Qualcosa però mi diceva che Sean e Adam, appostati davanti all'ingresso della scuola, la pensavano diversamente.
Mi avvicinai, cauta, tendendo l'orecchio per captare qualche frammento della loro conversazione. Non appena mi vide - e mi notò quasi subito - Sean si interruppe portando anche Adam a voltarsi. Formavano una strana accoppiata: uno biondo e l'altro quasi moro, uno in giacca di pelle e l'altro con una semplice felpa, uno sempre in allerta e l'altro perso nei propri ragionamenti. Eppure in qualche modo funzionavano, perché la tensione tra loro era diminuita di molto e anzi, adesso sembravano a proprio agio insieme.
Li raggiunsi ritrovandomi a sorridere. «Ehi. Cos'è, un'altra riunione del branco?»
«È più una missione in realtà.» Commentò Sean incrociando le braccia al petto.
Mi voltai in automatico verso Adam sperando che lui fosse meno criptico. Ma lui si limitò ad alzare le mani. «Ne so quanto te, Scar.»
«Quindi niente.» Borbottai scocciata prima di scoccare un'occhiataccia a Sean. «Non credi sia il caso di essere un pochino meno misterioso visto che abbiamo sei giorni per trovare un accordo con i cacciatori?»
La sua unica reazione fu un movimento del sopracciglio. «Oh sì, hai ragione, dovrei andarmene in giro a dire a tutti che Seattle è sull'orlo di una guerra tra creature soprannaturali e cacciatori.»
Rimasi spiazzata da quella che doveva essere solo una battuta. Quanta verità c'era in quelle parole? Rischiavamo davvero uno scontro o aveva solo ingigantito la cosa? «Potrebbe succedere davvero? Potrebbe esserci una guerra?» Chiesi sentendo il tremore nella mia stessa voce.
Adam abbassò lo sguardo stringendo le labbra e colsi Sean lanciargli un'occhiata che non riuscii ad interpretare. Avevo la netta impressione che mi stessero nascondendo qualcosa, magari senza cattive intenzioni, forse volevano solo proteggermi. Eppure non potevo fare a meno di sentirmi tradita, almeno un po'. Volevo essere coinvolta all'interno del branco e nella ricerca di una soluzione, avevo il diritto e il dovere di esserlo.
«Sì.» La voce del mio Alfa era chiara, limpida. «Potrebbe succedere. Anzi, sono abbastanza sicuro che sarà così se non interveniamo. Per questo oggi andremo da delle mie vecchie conoscenze: se giochiamo bene le nostre carte abbiamo una possibilità.»
«Dobbiamo almeno tentare.» Aggiunse Adam, quasi a dargli manforte.
Annuii con forza. «Okay, facciamolo. Ma prima, devo mangiare qualcosa.»
Due sguardi, uno azzurro e l'altro verde, si spostarono su di me, perplessi. Da parte mia, io sollevai il mento mettendo in chiaro che quello era un punto su cui non volevo cedere: potevo affrontare tutto, o quasi, per proteggere la mia città e le persone a cui tenevo, però sarei stata in grado di farlo solo a stomaco pieno.
«Io ho una mela, se ti va.» Tentò Adam.
Mi lasciai sfuggire una smorfia. «Uhm, senza offesa, ma avevo in mente qualcosa di più dolce e calorico.»
Sean sbuffò. «Va bene, ti compreremo del gelato mentre andiamo. Contenta?»
Sorrisi compiaciuta. «Sì, decisamente.» 



L'auto di Sean - come disse lui stesso - era una Chevrolet Camaro del 2009 nera e lucida. Da come la guardava, sembrava esserne molto fiero e anche un po' geloso. Sfiorò la carrozzeria senza pensarci, quasi la stesse accarezzando, e rivolse a me e Adam uno sguardo d'avvertimento che racchiudeva un avviso implicito: rovinatela e vi uccido.
Dovevo ammettere che era una bella macchina, aveva le linee sinuose ma non troppo eleganti che le davano un tocco più aggressivo che si addiceva al proprietario. O almeno, era quello che riuscivo ad interpretare data la mia scarsa conoscenza di auto.
Sean prese posto al volante con movimenti spontanei e sicuri, quasi non avesse fatto altro in tutta la vita. Adam si sedette accanto a lui sotto il suo sguardo vigile e gli passò la mela che l'Alfa aveva deciso di reclamare mentre camminavamo verso la macchina.
Io mi appostai sui sedili posteriori e scivolai al centro per avere una visuale pulita della strada. «Niente Matthew?»
Adam scosse la testa incrociando il mio sguardo nello specchietto retrovisore. «Il suo gatto si è sentito male, è dal veterinario adesso.»
«Oh...» Mormorai prima di stringere le labbra. «Mi dispiace. Spero si... rimetta presto.»
Sean diede un morso alla mela prima di mettere in moto l'auto. Il motore prese vita con un ruggito soffuso. «Se la caverà, quel gatto ha letteralmente nove vite.»
«Comunque, puoi almeno dirci in che zona di Seattle andiamo o deve rimanere un mistero anche quello?» Domandò Adam con una punta di irritazione. Non sapere qualcosa doveva essere piuttosto frustrante per lui, abituato com'era ad avere sempre tutti gli elementi in mano per poter riflettere e farsi una sua idea. Essere tenuto all'oscuro era una tortura per lui.
Sean ingranò la marcia. «Andiamo ad incontrare delle mie vecchie conoscenze, lupi che ho conosciuto quando arrivai a Seattle.»
Quelle parole catturarono la mia attenzione facendomi dimenticare persino del gelato che mi era stato promesso. «Incontreremo altri licantropi?»
Sean mi lanciò un'occhiata mentre usciva dal parcheggio della scuola. «Mm-mm. Loro possono aiutarci a mettere insieme un unico branco che comprenda tutta la città.»
Al suo fianco, Adam si irrigidì e sentii il suo battito cardiaco accelerare. Doveva averlo notato anche Sean, perché lo scrutò per un attimo senza darlo a vedere.
«Sono brave persone.» Disse con voce più dolce. «Aiutano chi è in fuga dai cacciatori, chi ha bisogno di un posto dove riprendere fiato. Fino a cinque anni fa gestivano un locale che era un po' un punto di riferimento per i lupi di Seattle.»
«Quindi tu non li vedi da cinque anni?» Chiese Adam tenendo gli occhi fissi sulla strada.
Un angolo della bocca dell'Alfa si contrasse appena. «Beh... sì. In realtà qualche volta ho avuto occasione di vederli e scambiarci due parole, ma niente di che.»
«E adesso stiamo andando da loro per creare un branco di settanta lupi.» Mormorò il ragazzo prima di espirare.
Sean strinse appena di più il volante. «Funzionerà. A meno che non siano privi di intelligenza capiranno quanto è importante unirci per battere i cacciatori.» Staccò un altro morso alla mela. «E poi, il piano è tuo, ragazzino, dovresti essere il primo a crederci.»
Adam si mordicchiò il labbro. «Lo so, lo so. Solo che non mi aspettavo che succedesse così... in fretta. Pensavo che avremmo avuto più tempo per organizzarci.»
«Magari questo è l'impulso che ci serve, ci aiuterà a risolvere la questione una volta per tutte.» Intervenni cercando di riportare un po' di ottimismo.
Sean annuì, sorprendendomi. «Sì, ha ragione. Adesso non abbiamo scelta, se non farlo funzionare. Ed è esattamente quello che faremo.»
Il resto del viaggio fu più piacevole del previsto. Sean sapeva gestire con grande naturalezza una macchina grande e potente come la Camaro, anche nelle manovre più azzardate che gli facevano guadagnare occhiatacce da parte di Adam.
Quest'ultimo aveva tentato in tutti i modi di scucire più informazioni riguardo gli altri lupi che avremmo incontrato al nostro Alfa, senza tanto successo però. Mentre loro due battibeccavano sui limiti di velocità e la mancanza di dettagli riguardo la nostra missione, io passai il tempo a fantasticare su come sarebbe stato incontrare altri licantropi, entrare in contatto con l'altra parte di me e scoprirne di più.
Avevo avuto a che fare solo con Sean fino a quel momento che, pur essendo un ottimo insegnate, era piuttosto taciturno e restio a parlare della sua licantropia. E io morivo dalla voglia di sentire altri racconti ed esperienze, di confrontarmi con persone che erano come me. Prima di allora non ci avevo mai pensato, ma adesso mi rendevo conto di quanto avrebbe potuto essermi utile.
Dopo una ventina di minuti, Sean parcheggiò l'auto davanti ad un edificio di mattoni rossi ad un solo piano che si ergeva in uno dei quartieri nord di Seattle, vicino alla costa. C'erano altri palazzi lì intorno, condomini e qualche attività commerciale più un parco dall'aria un po' trascurata.
Sean lanciò un'occhiata ad Adam e scese dall'auto. Noi due lo seguimmo subito, ansiosi di scoprire cosa ci attendeva. Sopra la porta dell'edificio c'era un'insegna bianca sbiadita che recitava "Luna di carta" in un corsivo tutto riccioli. Sentii un brivido di eccitazione sfiorarmi la schiena e contagiare anche il mio lupo: quel posto poteva essere la chiave per capire meglio chi ero e accettarlo fino in fondo, diventarne più consapevole. Poteva darmi tutte le risposte che cercavo.
Sean ci fece cenno di seguirlo prima di avviarsi verso l'ingresso affondando le mani nelle tasche della giacca. Adam, il battito del cuore ancora in subbuglio, mi affiancò mentre camminavamo dietro all'Alfa. Raggiunse per primo la porta e ci aspettò prima di aprirla per farci entrare.
La prima cosa che mi colpì fu l'odore che riempiva l'aria, un mix di legno e spezie con una nota dolciastra che si sentiva appena. Subito dopo il rumore mi riempì le orecchie: una moltitudine di voci, alcune più basse e pacate, altre alte e rimbombanti, risuonava nell'ampia sala davanti a noi insieme al tintinnio dei bicchieri, allo strusciare delle sedie sul pavimento, alle risate secche o prolungate.
La stanza era piena di tavoli di legno di varie forme e dimensioni che, nonostante le differenze, si abbinavano bene tra loro, un connubio eclettico come quello delle persone che li occupavano: c'erano ragazzi e uomini di mezz'età, giovani donne e signore, gente solitaria e gruppi numerosi, accenti del nord, del sud e di altri paesi. Avevano tutti un'unica cosa in comune: erano licantropi, dal primo all'ultimo.
Rimasi disorientata per un attimo, la mente in tumulto che straripava di informazioni. Percepivo così tanti lupi intorno a me da faticare a respirare, li sentivo prima uno ad uno, poi tutti insieme, muoversi, fremere, agitarsi e vivere sotto la pelle di quelle persone all'apparenza così normali.
Mi sembrava di essere un cucciolo eccitato adesso, ma non riuscivo a frenare l'entusiasmo. Per anni avevo creduto di essere una specie di scherzo della natura, un mostro a volte, e ora... ora ero circondata da altri come me, uomini e donne, ragazzi e ragazze che potevano capirmi e che condividevano i miei stessi problemi e poteri.
«Rimanetemi vicino.» La voce bassa ma autoritaria di Sean interruppe il flusso frenetico dei miei pensieri riportandomi alla realtà.
Mi accorsi solo in quel momento che le voci si erano ridotte ad un brusio dai toni concitati e che molti ci fissavano con sospetto. Deglutii ricambiando qualche occhiata, il calore fin troppo familiare dell'imbarazzo che mi saliva alle guance. E tanti saluti al proposito di fare una buona impressione.
«Andiamo.» Aggiunse Sean, questa volta con una punta di urgenza. Lo seguimmo attraverso la stanza, scansando tavoli e sedie e cercando di ignorare le occhiate diffidenti che sentivamo sulla schiena. Passammo accanto ad un bancone di legno lucido davanti al quale erano allineati degli sgabelli in metallo; dall'altra parte, un ragazzo giovane dai capelli neri tagliati corti stava passando uno straccio sulla superficie lignea, ma la sua mano si fermò quando gli fummo vicini. Indossava una camicia bianca con le maniche arrotolate e un gilet nero gessato. I suoi occhi scuri ci studiavano cauti, anche se meno guardinghi degli altri.
Distolsi lo sguardo da lui giusto in tempo per vedere una donna alta e longilinea che ci veniva incontro. La sua pelle era olivastra, di una calda sfumatura dorata che faceva risaltare le iridi castane. Una massa di riccioli scuri le sfiorava le spalle sottili coperte da una camicia larga lasciata aperta su una canottiera. Una piccola cicatrice bianca le attraversava il sopracciglio rendendo più interessanti i lineamenti eleganti del suo viso.
Le labbra carnose si schiusero in un sorriso radioso. «Sean Leblanc. Bentornato.» Esordì aprendo le braccia. «Non pensavamo di vederti di nuovo da queste parti.»
Contro ogni mia aspettativa, Sean ricambiò il sorriso. Ovviamente a modo suo, ovvero sollevando solo un angolo della bocca. «Dawn Johnson. Non è cambiato niente qui, mmh?»
«Perché dovremmo cambiare qualcosa che funziona così bene?» Replicò lei, un lampo che le attraversava lo sguardo. Come tutti gli altri, era una lupa. Dalla sicurezza che trasmetteva pareva che quel locale fosse il suo regno e lei l'unica ed indiscussa regina. «Come mai qui, Leblanc?» Chiese osservandoci con discreta curiosità.
«Devo parlarti.» Disse secco lui perdendo ogni traccia di sorriso.
Dawn inarcò un sopracciglio. «Dritto al punto, come sempre. Non mi presenti i tuoi accompagnatori prima?» Aggiunse poi rivolgendo un sorriso gentile a me e Adam.
Sean le comunicò i nostri nomi con fare sbrigativo. «Possiamo parlare adesso? È piuttosto importante.»
«Naturalmente, andiamo nel mio ufficio. Loro vengono?» Volle sapere lei in tono gentile.
«Sì.» La risposta di Sean fu immediata, non lasciava spazio a dubbi.
La donna annuì e ci fece cenno di seguirla fino ad una porta che si apriva sul muro opposto rispetto all'ingresso. La spalancò e si infilò dentro, attese che fossimo entrati tutti prima di richiuderla e riprendere il comando del gruppo. Ci guidò attraverso un corridoio in penombra con le pareti ricoperte fino a metà di pannelli di legno. Aprì una seconda porta alla nostra destra e ci invitò con un cenno del capo ad entrare. Quando le passai accanto, l'odore agrumato della sua pelle mi riempì le narici per un attimo, il mio lupo fremette nel ritrovarsi così vicino al suo, sconosciuto e misterioso.
Ci ritrovammo in un piccolo ufficio illuminato da una grande finestra incorniciata da tende azzurre. Davanti a questa c'era una vecchia scrivania di legno scuro segnato da graffi e ammaccature e la cui superfice ospitava un quaderno, qualche penna, un raccoglitore da cui spuntavano dei fogli e una cornice che racchiudeva una foto di qualche anno prima di Dawn in compagnia di un uomo alto e massiccio con i capelli castani e un braccio ricoperto di tatuaggi; i due sorridevano e dietro di loro campeggiava l'insegna, allora nuova e candida, del Luna di Carta. Accanto alla porta c'era un divano verde bottiglia con i cuscini schiacciati e la stoffa sui braccioli lisa dall'usura.
Era una stanza piena di vita e ricordi, avevo l'impressione di essermi affacciata nella memoria di Dawn e aver carpito qualche immagine fugace del suo passato.
«Accomodatevi.» Ci invitò mentre girava intorno alla scrivania per sedersi sulla sedia di pelle dietro di essa.
I suoi movimenti avevano la stessa grazia misurata e precisa che avevo visto anche in Sean, era attenta a tutto e a tutti, come se fosse in grado di percepire l'esatta posizione di qualunque essere vivente intorno a sé. Ero piuttosto sicura di non avere altrettanta eleganza, di solito inciampavo dappertutto e sbattevo contro ogni mobile o spigolo, mentre lei... pareva che il mondo si muovesse per farle spazio.
Sean spostò una sedia che non avevo notato perché era dietro di noi e la posizionò davanti a me, accanto alle altre due che già c'erano. Incrociai il suo per un secondo e lui mi rivolse un breve cenno d'incoraggiamento. Prendemmo posto tutti e tre davanti alla scrivania su cui Dawn aveva posato i gomiti. Le maniche della camicia le erano scese lungo le braccia svelando un intreccio di bracciali di pelle e stoffa colorata che le coprivano i polsi.
«Allora Leblanc, dritti al punto come piace a te: cosa stai cercando? Cosa ti ha spinto qui?» Domandò guardando l'Alfa davanti a sé con interesse.
Sean si appoggiò meglio allo schienale della sedia. «Voglio mettere su un branco.»
Dawn sollevò entrambe le sopracciglia. «Devo essere sincera, mi aspettavo che prima o poi avresti deciso di farlo. Ma hai scelto un momento molto particolare.»
«Che intendi?» Chiese lui, cauto.
La donna sospirò congiungendo le mani e intrecciando le dita. Mi presi un attimo per osservarla, cogliere la profonda serietà del suo sguardo in contrasto con la freschezza del viso ancora giovane. Doveva essere poco più grande di Sean, probabilmente aveva intorno ai trent'anni. «Non so quanto tu sia aggiornato, ma negli ultimi due, tre anni l'attività dei cacciatori è stata molto intensa. Hanno catturato e probabilmente ucciso, anche se non ne abbiamo le conferme, almeno quindici lupi, se non di più.» Cominciò, la voce più tesa. «Un branco di cinque lupi invece ha lasciato Seattle il mese scorso, sono scesi giù lungo la costa in cerca di un posto sicuro dove stabilirsi.»
Adam si fece subito più attento a quelle parole. Sean invece strinse le labbra in una smorfia. Un brivido gelido mi scivolò lungo la schiena nel sentire quante vittime il gruppo di Colin era stato in grado di fare. Io stessa sarei potuta rientrare tra quelle quindici, o portare il numero ad aumentare. Mi strinsi le braccia al petto affondando le dita nelle maniche del maglione cercando di scacciare il gelo che sentivo addosso.
«Sì, ho... abbiamo avuto a che fare con i cacciatori anche noi non molto tempo fa.» Fece Sean. «Non pensavo che i numeri fossero tanto alti però.»
Dawn sospirò. «Sono stati parecchio attivi nell'ultimo periodo, ci hanno reso la vita piuttosto complicata. Ma siamo ancora qui, resistiamo. Non sanno ancora di questo posto, per fortuna, quando le cose si mettono male possiamo sempre venire qui.»
«Aspetta.» Mi intromisi sporgendomi in avanti. «Non reagite? Non... combattete?»
Lei mi guardò piegando appena la testa di lato, perplessa. Nel suo sguardo color cioccolato colsi un accenno di quella che assomigliava fin troppo alla pietà. «Combattere? E come? Loro sono armati fino ai denti, preparati e determinati. Tutto quello che possiamo fare è cercare di sopravvivere e non attirare l'attenzione.» Spostò gli occhi su Sean per un attimo. «Pensavo che te lo avesse insegnato.»
«Non insegno cose in cui non credo.» Replicò il diretto interessato, la voce neutra, quasi distante.
Dawn strinse le labbra riducendole ad una linea. «Lo sai che è questa la nostra politica, sono stata chiara fin da subito a riguardo.»
«Sì, anche io sono stato chiaro riguardo a cosa ne pensavo.» Disse Sean guardandola dritta in viso. «Ma non siamo qui per appianare vecchie divergenze di opinione. Abbiamo un problema in comune, i cacciatori.»
«Pensavo tu fossi venuto qui per reclutare lupi per il tuo branco.» Rispose lei aggrottando le sopracciglia sottili.
Sean annuì una volta sola. «È tutto connesso, il mio branco, i cacciatori... è una cosa più grande di quello che pensi.»
Dawn tirò indietro le spalle, di colpo sospettosa. «Cosa hai fatto?»
«Ho... abbiamo cominciato qualcosa che potrebbe risolvere tutti i nostri problemi con il gruppo di Colin Young.» La voce di Sean era pacata, eppure riusciva comunque a monopolizzare l'attenzione. «Ti sembrerà folle e pericoloso, ma è un rischio che dobbiamo correre.»
Lei si portò una mano al viso e si massaggiò la radice del naso sospirando. «Okay, Leblanc, mi hai tenuta abbastanza sulle spine, sputa il rospo.»
L'Alfa spostò per una frazione di secondo lo sguardo su Adam prima di parlare: «Siamo in contatto con i cacciatori, stiamo cercando di condurre una trattativa con loro.»
Fui quasi in grado di vedere il lupo di Dawn che si ritraeva mostrando le zanne di fronte a quelle parole. Lei spalancò gli occhi trattenendo il respiro, le dita che stringevano il bordo della scrivania. «Voi cosa? Sei fuori di testa, Sean? Trattare con i cacciatori? Questo è... è pazzo, un suicidio bello e buono. Cosa stai cercando di dimostrare così, eh?»
«Sto solo facendo quello che posso per proteggere il mio branco e questa città.» Tuonò Sean, gli occhi verdi che brillavano. «Colin riaprirà la caccia tra sei giorni se non troviamo un accordo, ecco perché sono qui. So che avete scelto di nascondervi e vivere nell'ombra pur di non attirarli, però questa strategia non funziona più. Dobbiamo muoverci adesso e dobbiamo farlo insieme se vogliamo riprenderci questa città e le nostre vite.»
Dawn scosse la testa portandosi le dita lunghe e affusolate alla tempia. «Questa è pura follia... Non lascerò che tu vada a morire così, neanche per sogno. Cinque anni fa ti ho accolto e ti ho aiutato a rimetterti in piedi, mi rifiuto di stare a guardare mentre ti fai ammazzare. Un accordo con i cacciatori... Come se fossero persone con cui si può ragionare. No, tu non avrai altri contatti con loro, dimenticatelo.»
«Stai cercando di fermarmi?» Chiese Sean, il tono venato di disprezzo rabbioso. «Pensi davvero di poterlo fare, Dawn? Porterò a termine questa trattativa, che tu lo voglia o no. Quello che ne pensi tu è l'ultimo dei miei problemi.»
Lei sbatté il pugno sul tavolo facendo sussultare me e il mio lupo. «Sto cercando di proteggerti! E di proteggere loro. Voglio evitarvi una morte orribile e dolorosa. Fino ad ora hai avuto fortuna, ma la prossima volta che ti avvicini ai cacciatori potrebbero piantarti una pallottola in testa senza che tu abbia il tempo di reagire.»
Lui sollevò il mento. «So gestire quella banda di fanatici dal grilletto facile.»
«E vuoi mettere in mezzo anche loro?» Sbottò Dawn guardando prima me e poi Adam. «Un conto è rischiare la tua vita, un altro coinvolgere il tuo branco in un pericolo del tutto inutile. Se davvero tieni a loro, se vuoi essere un buon Alfa...»
Un lampo dorato attraversò lo sguardo di Sean. «Non dirmi come fare l'Alfa, Dawn. Quello che stiamo correndo è un rischio ponderato, ci abbiamo pensato su a lungo. E in ogni caso, ancora neanche sai di cosa si tratta.»
Lei buttò fuori l'aria in un sospiro tremante. Di colpo apparve stanca, provata. Appoggiò un gomito alla scrivania scrollando le spalle. «D'accordo allora, parla, dimmi qual è questo grande piano.»
«Vogliamo riunire tutti i lupi di Seattle in un unico branco guidato da un unico Alfa. Prima di dirmi che sono fuori di testa, ascolta. Pensi davvero che i cacciatori si metterebbero contro cinquanta lupi ben organizzati? Siamo più forti di loro, siamo più numerosi e abbiamo un obbiettivo molto più importante: vivere.» La voce di Sean era leggermente roca e appassionata come non l'avevo mai sentita. «Quello che fai qui è davvero importante, accogliere lupi feriti e spaventati, aiutarli a tornare in piedi... è ammirevole, davvero. Io stesso ti sarò sempre grato per ciò che hai fatto per me. Ma se potessimo eliminare la causa di tutto questo? Se ci fosse la possibilità di vivere senza doversi preoccupare ogni dannato giorno di ritrovarsi i cacciatori davanti? Non sarebbe meglio?»
Gli occhi di Dawn erano velati adesso, pareva che fosse lontana anni luce in quel momento. Le labbra erano schiuse in un'espressione speranzosa e sofferente al tempo stesso, come se anche la sola idea di una città senza l'ombra dei cacciatori fosse allettante eppure troppo assurda per essere davvero presa in considerazione. Si riscosse quasi subito però, cancellò quel momento di insicurezza passandosi una mano sul viso. Quando la riabbassò, era tornata composta e determinata.
Il rumore della porta che si apriva interruppe la sua risposta prima ancora che potesse cominciare. Ci voltammo tutti verso quel suono, di nuovo all'erta. Sulla soglia era comparso l'uomo della fotografia che Dawn teneva sulla scrivania, riconobbi i folti capelli scuri, il taglio squadrato della mascella e l'intricato intreccio di tatuaggi che gli riempiva il braccio lasciato scoperto dalla maglietta a maniche corte. Aveva le spalle tanto ampie da occupare quasi tutto il vano della porta. Il suo lupo lo rispecchiava, era guardingo ma non nervoso, sicuro in quel luogo tanto familiare.
«Scusa D. Non pensavo avessi ospiti.» Disse con un sorriso imbarazzato il nuovo arrivato riempiendo la stanza con la sua voce profonda. Le sue sopracciglia si sollevarono nel posare gli occhi su Sean. «Il lupo canadese... Era da un po' che non tornavi da queste parti, mmh?»
Lui si limitò a ricambiare l'occhiata. «Non ne ho avuto l'occasione.»
Dawn si era appoggiata allo schienale della sedia con fare stanco. Fece un gesto vago nella mia direzione. «Toby, questi sono Scarlett e Adam, sono con Sean. Ragazzi, lui è Toby, il mio socio e comproprietario del Luna di Carta
L'uomo ci rivolse un sorriso allegro. «È un piacere avervi qui. Come mai hai deciso di tornare, Sean? Sentivi la nostra mancanza?»
Dawn non gli diede il tempo di rispondere: «Sono venuti per discutere di una questione, ma abbiamo finito.» Fece guardando l'Alfa con una certa insistenza, quasi sfidandolo a contraddirla.
E fu proprio quello che successe, anche se non fu Sean a parlare. «No.» Sbottò Adam, la voce carica d'urgenza, il cuore di nuovo in subbuglio. «Non abbiamo finito niente.»
A quel punto fu Sean a lanciare un'occhiata di sfida a Dawn, ma non per provocarla: il suo sembrava più un avvertimento, un modo silenzioso e discreto per dirle di ponderare bene le proprie mosse future.
Toby studiò quello scambio di taglienti segnali non verbali con le sopracciglia inarcate in un'espressione cauta e perplessa. «Okay, sembra ci siano dei disaccordi qui. Se posso, di che stavate parlando?»
Sean si appoggiò allo schienale della sedia incrociando le braccia al petto con aria volutamente strafottente. «Dawn, vuoi dirglielo tu?»
Lei lo fulminò con un'occhiataccia prima di rivolgersi all'uomo in piedi dietro di noi. «A quanto pare, Sean e i suoi sono in contatto diretto con i cacciatori di Young. E hanno un piano per fermarli.» I muscoli del suo viso erano contratti, le labbra arricciate, come se anche solo pronunciare quelle parole le provocasse un senso di ribrezzo.
Il mio Alfa alzò gli occhi al cielo. «Puoi dirlo anche con una faccia meno schifata.»
Toby era rimasto letteralmente a bocca aperta di fronte a quella rivelazione. Ed era quasi comico vedere un uomo della sua stazza fissare qualcuno come se gli fossero spuntate le ali. «Tu sei... in contatto con i cacciatori? Com'è che non ti hanno ancora ucciso?»
«Me lo sto chiedendo anche io.» Borbottò Dawn con un sospiro.
«Noi canadesi abbiamo qualche asso nella manica.» Replicò Sean ed era la prima volta che lo sentivo parlare con orgoglio del suo Paese natale.
Toby si spostò dietro alla scrivania per sedersi sul bracciolo della sedia della sua socia. «Voglio saperne di più, sembra interessante. Folle, ma interessante.»
Come se parlare di accordi con i cacciatori e branchi che comprendevano un'intera città non fosse abbastanza sconvolgente, Sean si voltò verso Adam per chiedergli, con tutta la naturalezza del mondo: «Perché non ne parli tu? In fondo, l'idea è tua.»
Lui spalancò gli occhi schiudendo le labbra. «Vuoi davvero che sia io a farlo?»
L'Alfa annuì. «Magari sentirlo da te li convincerà.»
Lo sguardo di Adam, ancora del tutto spiazzato, incontrò il mio. Gli feci un piccolo sorriso d'incoraggiamento che sembrò dargli un po' di sicurezza in più. Si voltò verso Dawn e Toby, verso lo scetticismo di lei e la curiosità di lui, verso dei possibili alleati o dei futuri nemici. E cominciò a raccontare di come lui, Sean e Matthew avevano lavorato insieme per salvarmi, di come all'inizio quel branco improvvisato fosse strano e nessuno si sentisse a proprio agio, delle tensioni che si erano create e dei litigi, dei momenti in cui avevamo fatto squadra e tutte le differenze erano passate in secondo piano.
Di come, a poco a poco, ci eravamo avvicinati, tutti e quattro. Parlò dei primi incontri con Colin e Brian, della diffidenza e della paura, della determinazione e voglia di concludere quella faccenda in modo definitivo. Descrisse la propria strategia facendola passare per una cosa che avevamo ideato tutti insieme, qualcosa in cui tutti credevamo fino in fondo.
Quando terminò di parlare, sia Dawn che Toby rimasero nel più completo silenzio. Entrambi erano rimasti affascinati e incuriositi dalle parole di Adam, precise ed efficaci come durante le nostre ripetizioni. Avevano il potere di catturare l'attenzione e non lasciarla andare fino all'ultimo secondo. Persino l'aspro scetticismo di Dawn pareva essere scemato di fronte all'emozione che traspariva dalla voce di Adam.
Toby si passò una mano tra i folti capelli scuri scuotendo piano la testa. «Molti vi direbbero che siete pazzi...»
«L'hanno già fatto.» Commentò Sean con un'occhiata esplicita in direzione di Dawn.
«Ho l'impressione che potrebbe funzionare però.» Riprese l'uomo come se nessuno avesse parlato. «Siamo tutti stanchi di nasconderci e vivere costantemente nella paura, sono sicuro che molti ti seguirebbero volentieri. Anche se probabilmente qualcuno metterebbe in discussione il tuo ruolo...»
Scorsi un'ombra negli occhi di Sean, ma il suo tono era comunque deciso. «Me ne occuperò a tempo debito.»
Dawn sospirò piano. «È una cosa davvero grande, Sean, sei sicuro di volerlo fare? Si tratta di una città intera.»
«Non voglio che nessun'altro muoia per mano dei cacciatori.» Fu la risposta di Sean e dal suo tono si capiva che non avrebbe ammesso altri dubbi sulla propria determinazione.
«Dovresti parlarne con gli altri allora, presentare la strategia e vedere come la prendono.» Commentò Toby grattandosi la tempia. «In fondo, sono loro la chiave di tutto.»
L'Alfa annuì tamburellando con le dita sul proprio ginocchio. «Possiamo farlo ora?»
«Credo di sì.» Dawn appoggiò un gomito sulla scrivania. «A quest'ora dovrebbero esserci quasi tutti e ho l'impressione che una notizia del genere si spargerà in fretta.»
«Bene, allora facciamolo.» Dichiarò Sean sollevando il mento con aria risoluta. 

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