Buttai giù l'aspirina -più per precauzione che per bisogno- con un sorso d'acqua e feci una smorfia: stavo cominciando a capire perché mia mamma mi diceva sempre di non bere troppo. I postumi della sbronza erano stati tremendi. Soprattutto se ci aggiungevo il fatto che mi ero ubriacata mentre ero con Adam.
Il mal di testa e la voglia immensa di dormire avrei anche potuto sopportarli, ma quello no. Non ero neanche tanto sicura di ricordare cosa avevo combinato; speravo solo di non aver fatto niente di troppo compromettente come baciare il ragazzo della mia migliore amica o qualcun altro.
Erano passati due giorni da quella stupida festa, ma ancora non mi andava giù non sapere cosa avevo fatto. E non potevo neanche chiederlo al diretto interessato: insomma, cosa si può pensare di una che viene da te e ti dice "ehi, sapresti dirmi se mi sono messa a ballare su un tavolo sabato notte?". Assolutamente niente di buono, poco ma sicuro.
Mi passai una mano tra i capelli sospirando: andare a scuola era l'ultima cosa che mi andava di fare, ma non potevo mancare. In effetti, dovevo presentarmi, anche solo per sapere quanto male era andato il compito di matematica. Proprio quello che ci voleva per riprendersi da una brutta serata.
Mi alzai dal tavolo della cucina, mi infilai il giubbotto svogliatamente, presi lo zaino e uscii di casa. Fuori soffiava un vento leggero ma pungente che mi fece rabbrividire e chiedere, per l'ennesima volta, cosa avesse mia madre contro le auto. Lei usava i mezzi pubblici per andare a lavoro e, almeno in teoria avrei dovuto farlo anch'io, solo che avevo perso l'abbonamento dell'autobus e non mi andava di dirlo a mamma quindi... dovevo camminare.La prof Smith camminava su e giù tra i banchi come era sua abitudine fare ogni volta che doveva riportarci una verifica. Metà della classe era stravaccata sulle sedie con aria assente e annoiata, l'altra metà mordicchiava penne con fare nervoso o fissava il banco come se potesse bastare quello a risparmiare loro un brutto voto.
Se devo essere sincera non so dire a quale categoria appartenevo; probabilmente ad una tutta mia visto che mi stavo semplicemente rigirando una matita tra le dita sperando che quella tortura finisse presto.
La professoressa Smith si fermò dietro la cattedra e raccolse i compiti. Ci lanciò un'occhiataccia ammonitrice prima di cominciare a distribuirli. Ogni volta che uno degli studenti riceveva la sua verifica si sentivano sospiri di sollievo o gemiti di delusione. In questo caso ero piuttosto sicura che sarei appartenuta alla seconda categoria quando il mio compito mi sarebbe arrivato.
«Signorina Dawson.» Gracchiò la prof quando raggiunse il mio banco.
Sollevai lo sguardo su di lei pregando mentalmente che fosse accaduto un miracolo alla mia verifica, che, all'improvviso, fossi diventata un genio in matematica. «Sì?»
Lei strinse le labbra in una linea severa. «Non pensavo che si potesse fare un compito peggiore di quello che lei ha avuto il coraggio di consegnarmi la scorsa volta.» Quasi sbatté un foglio sul mio banco. «Ma, come si dice, non c'è mai fine al peggio.» E si allontanò tutta impettita nel suo abito color cartone.
Evidentemente le entità superiori non erano dalla mia parte quel giorno. Diedi un'occhiata cauta al compito e mi stupii meno del previsto quando vidi l'ennesima F di un rosso brillante. Mi morsi il labbro inferiore e imprecai mentalmente: come potevo anche solo sperare di recuperare una cosa del genere?
Se fosse stato il primo voto tanto basso avrei anche potuto avere una speranza, ma in quel caso ero spacciata. A meno che... No, era fuori discussione. Ero già caduta abbastanza in basso ubriacandomi con lui, ci mancava solo che gli chiedessi di aiutarmi con la matematica.
"E che altro vorresti fare allora? Sperare in un miracolo?", mi stuzzicò una vocina nella mia mente. Beh, no, non potevo fare affidamento sulle entità superiori: sembrava che si fossero dimenticate di me da un bel pezzo. L'unica cosa che mi rimaneva da fare era chiedere a lui sperando di non sembrare troppo patetica.Spostai il peso da un piede all'altro, a disagio: perché Beth non rispondeva? Mezzogiorno era passato da un pezzo, avrebbe dovuto essere sveglia. O forse era dal medico... Strinsi così forte il telefono da sentire un lieve scricchiolio: forse ero davvero un po' troppo nervosa. In fondo, però, si trattava di una cosa da poco visto che lei aveva già detto di fidarsi di me e che aveva un debito nei miei confronti dopo quella dannata festa. Quindi perché stavo attentando alla vita del mio cellulare?
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Under a Paper Moon (Completa)
VârcolaciScarlett, diciassette anni appena compiuti e un segreto piuttosto scomodo da nascondere, non potrebbe essere più felice di stare nella sua adorata ombra, lontana da sguardi indiscreti e da problemi presenti e passati che non vuole affrontare Adam, r...