9. Sof: Odiata

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Mi stavo allenando con uno dei tanti macchinari sofisticati della palestra, in particolare mi stavo rafforzando le braccia, spingendo i due cuscinetti ai lati della mia testa verso il centro. Avevo la fronte imperlata di sudore e i capelli sfuggiti alla coda mi rimanevano appiccicati sul collo e la fronte, lo sforzo sottoposto mi indeboliva le braccia che tremavano visibilmente mentre spingevo. Percepivo gli sguardi altrui e sentivo i loro bisbigli, ma non persi tempo con loro, concentrata com'ero. «Riposati» mi suggerì Philip «Scansati» gli replicai. Lui scosse la testa e si mise a posto gli occhiali «preferirei dire a tuo nonno che sei intera e non ridotta a pezzettini di Sophie» «puoi riferire a mio "nonno" che saranno i miei sfidanti ad essere ridotti a pezzi» replicai facendo un ultimo sforzo. Il ragazzo mi passò un asciugamano e una bottiglietta d'acqua frizzante da vero assistente «non bevo roba gassosa» gli dissi solo per complicargli la vita. L'avrei cacciato per esasperazione, l'avrei trattato come un elfo domestico e prima o poi sarebbe fuggito a gambe levate come un Velocista da un Dolente. Da quanto tempo non pensavo a citazioni dei libri? Quei pensieri mi ricordarono quanto mi mancasse Jo, le sue battute fredde, il suo sorriso sincero, persino i suoi scoppi d'ira e i capricci da viziata. «stai sorridendo» constatò Philip. Il sorriso scoparve immediatamente «non per te» dissi afferrando la bottiglietta d'acqua naturale.

«Cosa ti fa pensare che sfidarmi di nuovo ti permetta di vincere signorina?» chiese Nicole Hamilton. Non risposi e attaccai non appena suonò il fischio. Faccia, colpisci la faccia. Il mio pensiero fisso. Facile a dirsi che a farsi, si proteggeva bene con quelle braccia di metallo. Schivai ogni suo attacco d'acqua, spostandomi agilmente da un piede all'altro come una danzatrice. Ero quasi orgogliosa della mia agilità. Quasi, perché ho pagato la mia infanzia per essere così, anche se non lo ricordo. Non vidi arrivare il pugno allo stomaco, distratta com'ero dalle correnti d'acqua. Mi tolse il fiato e mi piegai in due dal dolore, se solo avessi avuto qualcosa nello stomaco l'avrei vomitato, in compenso l'acido mi risalì per la gola e iniziai a lacrimare per il bruciore. Boccheggiai alla ricerca di aria indietreggiando fino al bordo del campo, un passo dall'acqua. Dalla sua arma. Ma poteva essere anche la mia. Io potevo farcela. Non mi sarei arresa. Mi concentrai sul liquido dietro di me, cercando di immaginarmelo come un mio prolungamento, rievocai nella mente i momenti in cui avevo visto qualche Imperium dell'acqua utilizzare l'elemento, in particolare Aiden, perché la mia mente sapeva che la zona James era pericolosa. Decisi che l'avrebbe colpita dritta in faccia, come un proiettile, vidi l'immagine chiara di lei che barcollava indietro e la forza con cui l'avrei colpita. Feci per tirare un pugno e come previsto lei alzò le braccia per difendersi, mi bloccai a metà strada e siccome la mia avversaria non sentì il colpo abbassò le braccia per capirne il motivo, permettendo ad un onda anomala di colpirla violentemente. Non mi ero resa conto della forza con cui l'avevo colpita, perché lei volò oltre il perimetro d'acqua andando a finire tra gli spettatori. Si rialzò immediatamente con lo sguardo omicida, ma riuscii a rimanere fredda e impassibile. Controllare l'acqua richiede una grande concentrazione, quindi mi sforzai di ignorare il resto e dedicare tutta la mia attenzione verso la massa di liquido alle mie spalle. Continuai ad usarla come una frusta mortale contro quella donna enorme, impedendola di reagire, la colpii in pieno volto facendola barcollare, sfruttando la sua instabilità evocai una zolla di terra e la spedii nella piscina. Non riemerse, così le guardie si tuffarono per soccorrerla. Mi voltai e uscii dalla sala a grandi passi, ignorando i mormorii e non sentendomi per nulla soddisfatta o orgogliosa.
Uscendo una ragazza piuttosto minuta andò a sbattere contro di me, facendo volare entrambe a terra «Brutto deficente che non sei altro! Mi hai fatto malissimo, bastardo! E mi stai facendo arrivare tardi all'incontro di...» iniziò a imprecare, quando si accorse di chi aveva davanti «Porca vacca!» esclamò. Alzai un sopracciglio mentre mi rialzavo «Sophie Hunter!» strillò «Hai finito di gridare?» chiesi freddamente pronta ad andarmene, liquidando il suo attacco di entusiasmo «IosonoCoralCaineetiamotantissimoseiilmioidolo!» esclamò tutto ad un fiato ignorando il mio commento «cosa?» lei scosse violentemente la testa tanto che temetti che si staccasse da quell'esile collo «Sono Coral Caine» ripeté più calma «una tua ammiratrice» arrossii di botto e rimasi in silenzio non sapendo cosa rispondere «hai vinto?» chiese lei con sincera curiosità, fissandomi per nulla intimidita con quei grandi occhi da cerbiatto di colore nero. Era una ragazza di qualche anno più giovane di me, probabilmente quindici anni o meno, con dei capelli dello stesso colore degli occhi, tagliati molto corti, più di quelli di Jo, ma i vestiti colorati che aveva addosso illuminavano molto il suo viso giovane, anche se segnato da impegno e fatica, ed olivastro. Mi ricordava vagamente un ispanica e gli spagnoli mi ricordano quello schifoso insetto di Santos. Nonostante quella ragazzina sprizzasse di pura gioia e ammirazione, quasi come Ary, mi stette subito antipatica. Sapevo che era sbagliato nei suoi confronti ma non ci potevo far nulla, il veleno nato dal rancore e dall'odio si stava propagando dentro di me, lo percepivo quasi fosse reale, ma nonostante ciò non mi sforzai di liberarmene. «Puoi constatarlo da sola» e con questo me ne andai.
Appena voltai l'angolo, sbirciai nella sua direzione e vidi che ci era rimasta palesemente male. Probabilmente aveva già cambiato idea nei miei confronti, sicuramente mi ero fatta odiare. Mi ritirai in camera mia, attendendo la chiamata che mi annunciava che sarei dovuta partire per San Francisco, verso la mia ultima tappa e verso l'unica vera casa che ricordo. Non ero psicologicamente pronta ad affrontare tutto ciò.
Bussarono alla porta e io andai ad aprire sapendo chi mi sarei trovata davanti «Quando vuoi partire?» chiese Philip senza tanti giri di parole «decido io?» chiesi in tono tagliente «mio nonno non ti ha dato un programma da seguire?» chiesi sarcastica. Lui scosse la testa divertito «io non ho alcun potere decisionale su di te. Sei tu il capo, decidi tu. Tuo nonno non mi ha lasciato niente, ho solo il compito di riportare i tuoi dati a lui e proteggerti in caso di pericolo» spiegò. Un sorriso involontario comparve sul mio voto all'udire la prima vera buona notizia da tempo. «Bene. Concedimi del tempo in questa base e informa Mr. Steel che arriverò fra pochi giorni...» pensai a tutte le cose che volevo fare ma che per via del programma del nonno non ero riuscita ad eseguire «Devi fare una cosa molto importante per me. Ma non devi dirla a nessuno.» sussurrai. I suoi occhi si accesero di eccitazione «ai suoi ordini Lady Sophie» disse scherzoso «qualunque cosa» sbuffai «portati due o tre persone. Devi recuperare una cosa. Appena torni puoi organizzare la partenza per San Francisco» poi gli spiegai dove si trovava.

Ogni giorno che passava mi faceva odiare sempre di più me stessa, ma ancora di più Susan Blackwood perché era per colpa sua se io ero stata costretta a diventare così fredda e distaccata. In mensa ignoravo tutti e rispondevo male a tutti quelli che cercavano di conversare con me. In primo piano quella Coral che si era dimostrata particolarmente tenace nel voler parlare con me. «Ma chi si crede di essere quella? Le ho solo chiesto se si trovava bene qua!» sentii mormorare una tipa mentre raggiungevo una palestra. Lo dice come se mi piacesse essere così...
Philip ci stava mettendo troppo per recuperare quello che gli avevo chiesto, sapevo che essendo stato mandato in incognito non avrebbe potuto utilizzare mezzi più comodi forniti dalla B.L.C., ma erano quasi due giorni che era via. Non gli avevo mica chiesto di andarci a piedi!
Certo che era strano che il nonno non avesse lasciato un programma a Smith, conoscendo la sua rigidità. Ma meglio così, non avevo voglia di spremere le meningi per quell'uomo.
Dopo gli allenamenti in palestra mi diressi in camera e mi godetti qualche minuto sotto il getto bollente della doccia. Quando ne uscii sentii qualcuno bussare alla porta spazientito. Doveva essere lì da un po'. Quando aprii la porta mi ritrovai davanti a Philip leggermente seccato 《alla buon ora》disse. Sorrisi felice di riconoscere  i due borsoni che hanno accompagnato me e James per gran parte del viaggio, in mano. 《non le hai aperte vero?》chiesi ignorando la sua espressione arrabbiata 《Prego. Non ti preoccupare, ho attraversato il Messico con un furgoncino e utilizzando mezzi di trasporto scomodi e non addatti al mio stato da figlio di un ricco imprenditore volentieri. Solo per te》disse sarcastico 《non fare storie. Ti sei offerto tu volontario come mio assistente》 replicai. 《Comunque no. Non ho sbirciato, la tua minaccia ha funzionato, ci tengo ai miei gioielli di famiglia, e so che te ne accorgeresti se l'avessi fatto》dichiarò. Presi i due pesanti borsoni dalle sue mani e le appoggia al centro della stanza 《Erano proprio dove mi avevi detto che erano, nel SUV parcheggiato nei pressi della foresta Amazzonica. Posso chiederti cosa contengono di tanto prezioso?》《viveri》minimizzai 《puoi andare Philip. Ho bisogno di un po' di tempo da sola》dichiarai inginocchiandomi accanto ai borsoni  《Tu sei sempre sola》lo sentii mormorare con un tono deluso prima di sentire il tonfo della porta che si richiudeva. Sì, mi sentivo un po' sola. Scossi la testa e aprii la cerniera del borsone che apparteneva a me. Non mancava niente, emanava  solo un forte odore di roba chiusa da troppo tempo. Frugai nella tasca interna del mio e le mie dita si chiusero attorno il metallo freddo del Flash. Era ancora lì dopo tutto questo tempo e ora era tornato da me. L'avevo lasciato lì per non perderlo al Rifugio in cui non sono mai stata. Susan sapeva che ce l'avevo io, ma il nonno pensava fosse ancora nelle mani dei Ribelli. Lo nascosi dietro il mobiletto accanto al letto e tornai ai borsoni. Le mie mani raggiunsero il tessuto di alcuni dei vestiti di James, finché non mi ritrovai tra le mani il suo cappellino verde. I ricordi si fecero largo prepotentemente attraverso la mia mente, rievocando i nostri momenti insieme, i suoi gesti distratti, i suoi mezzi sorrisi, le sue parole, la sua voce, il suo profumo rassicurante e prima che me ne rendessi conto mi ero messa a piangere silenzionamente con il cappellino verde stretto al petto «Jay...» sussurrai. «Chi è ?» sobbalzai voltandomi verso il suono di quella voce 《quando sei rientrato?》esclamai con la voce stridula 《non sono mai uscito. Sei tu che non ti sei accorta di me》 disse Philip senza muoversi, in piedi appoggiato alla porta. 《Pensavo che il Flash fosse nelle mani di Susan Blackwood》commentò 《sei stata molto fortunata che nessuno delle due fazioni abbia trovato quel SUV》 continuò 《esci da qui!》esclamai infuriata. Lui alzò le mani in segno di resa e questa volta lo osservai uscire dalla camera 《brutto spione》borbottai《ah! Hai un ora per prepararti. Si parte per San Francisco》disse spalancano di nuovo la porta per una frazione di secondo. Rimasi a fissare la porta in uno stato di trance. San Francisco... Sto tornando.
«oh! Ma che mi dai in cambio del segreto sul Flash?» chiese Philip sbucando di nuovo da dietro la porta. Presi la prima cosa che avevo a portata di mano e glielo lanciai, ma il pacchetto di cioccolatini scaduti andò ad infrangersi contro la porta chiusa.

Angolo autrice

Ehi! Vi siete preoccupati? Scusate ma non avevo molto tempo... Ragazzi anche io mi sto stufando, quando arriva l'azione? Però finalmente tornerà a San Francisco dove tornerà Jo! Chissà com'è la sua situazione con Seth? Ed Aiden? Avrà messo una pietra sopra il suo sentimento per Sophie? Come si comporterà la nostra protagonista con loro? Quando arriveranno i Geminus? Quando tornerà Jase? Mah, spero di arrivare presto a darvi una risposta! Domanda. Alzi la mano chi ha preferito Aiden a James all'inizio della storia!

Elements: Perdita (in revisione) Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora