Prologo

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ATTENZIONE: PRIMA DI IMMERGERVI NELLA LETTURA VORREI INFORMARE I LETTORI DEL FATTO CHE IO E SOLO IO SONO LA DETENTRICE DI QUESTA STORIA. LE UNICHE VOLTE IN CUI E' STATA PUBBLICATA E' STATA INSERITA SU UN SITO DI FANFICTION CHIAMATO "EFP" SOTTO IL NOME DI "I AM DAMON SALVATORE" E POI SUL SITO DI WATTPAD SOTTO IL NOME DI JEYCOOPER. CHIUNQUE LA RITROVI SOTTO ALTRI NOMI, PROFILI, SITI WEB ED ALTRO E' PREGATO DI SEGNALARE. GRAZIE DELLA COLLABORAZIONE! 


«Il Signore ha voluto punirmi», sussurrò mia madre. La guardai per l'ultima volta, consapevole del fatto che non sarei più tornata indietro. Una lacrima solcò impertinente il mio viso; sebbene avessi dato al mio organismo precise indicazioni sul come evitare di far trapelare il mio dolore, puntualmente questo mi aveva ignorato. Abbassai lo sguardo sui miei piedi, osservando la pila di vestiti sparsi che lei aveva appena riversato sul pavimento, rompendo il gancio della valigia che avevo accuratamente sistemato.

«Avrei preferito che fossi un drogato, un assassino... Qualsiasi cosa, ma non questo. Non ti fai schifo neanche un po', Ally?», si abbassò alla mia altezza; io raccoglievo le calze che avevo piegato con cura qualche ora prima e le rigettavo, adesso, sul fondo della valigia alla bell'e meglio. Si mise quasi in ginocchio di fronte a me, sentivo il suo alito sulle tempie mentre mi stava incollata addosso e cercava il mio sguardo. Imperterrita, lanciai una camicia in un angolo del bagaglio. «Non importa, non è mai tardi per redimerti. Il Signore ti aprirà di nuovo le porte di casa sua. Egli ama tutti i suoi figli, anche i più deviati, e un giorno, quando sarai pronta a dichiararti come una pentita figlia di Satana, Egli ti abbraccerà di nuovo», si fece il segno della croce alla svelta, poggiò una mano contro il portone d'entrata e assunse nuovamente la posizione eretta, spiegazzandosi la gonna un po' gualcita. Richiusi la valigia, un'espressione indifferente sul volto: non avevo più neanche la forza per sconvolgermi.

Tenni i due lembi del mio bagaglio con le mani, procurandomi del dolore alle dita: introiettare la sofferenza mi serviva per indirizzare i miei pensieri verso altro che non fossero le urla con cui avrei voluto far tremare la casa.

Mi sollevai, ancora fiera, la maschera sul volto che minacciava di cedere, ma il coraggio nel cuore di chi non vuole arrendersi.

«Ciao, mamma».

Scoprì i denti come un animale pronto ad attaccare. O meglio, scoprì i denti come un animale che sa di star per perdere la sua battaglia e che, consapevole della sua imminente sconfitta, ringhia per l'ultima volta.

Afferrò il pomello d'oro del portone, lo spalancò facendo urtare la serratura contro il muro bianco del corridoio di casa, poi cominciò a piantarmi dei pugni sulle spalle, mi spinse fuori dall'appartamento, mi scosse, sputò ai miei piedi, urlò l'ultimo po' di energia che aveva nel bel mezzo della scala e alla fine mi sbatté la porta in faccia, lasciandomi sul pianerottolo di marmo bianco con una valigia in mano e del dolore prossimo ad ematoma sulle spalle.

Ero libera.

Finalmente, dopo tanto tempo... Ero libera.




Give me your hands and save meDove le storie prendono vita. Scoprilo ora