Luke

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Giorno 4, ore 13:12

Ho portato Fable a pranzo per ringraziarla della sua pazienza. Quello che le ho fatto ieri sera è stato ingiustificabile, ma in qualche modo ha trovato la voglia di perdonarmi. È cosi buona con me, non so cos'ho fatto per meritarmela.
Invitarla a pranzo è un tentativo troppo debole per dimostrarle quanto l'apprezzo, ma è il massimo che posso fare. Quello che vorrei davvero fare per dimostrarle la mia gratitudine è... lasciamo stare, non credo che lei sarebbe molto disponibile. Il bacio dolce che mi ha dato sulla guancia ieri sera e l'abbraccio rassicurante che mi ha offerto prima di andare a dormire erano più da sorella che da potenziale ragazza pronta a gettarsi fra le mie braccia.
Peccato, perché mi sta facendo impazzire e fatico a concentrarmi. Preferirei portarla a letto, strapparle i vestiti di dosso e immergermi in lei per dimenticare, almeno per qualche momento. Voglio tracciare la mappa della sua pelle con la bocca, centimetro dopo centimetro. Voglio sedermi tenendola fra le braccia e baciarla per ore, finché le nostre labbra non si gonfieranno e non saremo esausti. Voglio vedere il suo viso quando viene. E voglio essere io quello che la fa venire mentre pronuncia il mio nome.
Non mi sono mai sentito così prima. Mai. Sembro una femminuccia, ma Fable mi travolge in modo positivo. E non la conosco neanche da una settimana.
Forse a volte è sufficiente.
«Adoro questo ristorante». Si guarda in giro dopo che la cameriera ci porta i piatti, con un sorriso felice che non le avevo ancora visto da quando siamo arrivati qui. «È avvero bello. E il cibo ha un profumo fantastico».
Tutto nel centro di Carmel è bello. Sembra un posto per le bambole, ci sono un sacco di cottage dappertutto e ogni cosa è minuscola, dalle viuzze strette ai nascondigli segreti. È come in una favola.
«Buttati», la incoraggio perché ho una fame da lupi e sono pronto a fare altrettanto. Io ho ordinato un panino al pollo mentre Fable ha preso una specie di insalata asiatica. Do un paio di morsi, e sono cosi preso dal cibo che sto per perdermi lo sguardo di pura felicità sulla faccia di Fable che mangia.
Folgorato, poso il panino sul piatto. Mi sto comportando in maniera ridicola con Fable. Sono completamente arrapato, e ogni cosa che fa sembra eccitarmi.
Quell'insalata deve proprio piacerle. Ha gli occhi socchiusi e un'espressione sognante. Si lecca le labbra, e la vista della sua lingua rosa mi ammazza. Deglutisco, l'appetito improvvisamente scomparso.
L'appetito per Fable invece ruggisce.
«È incredibile. È il condimento più buono che abbia mai assaggiato». Mi guarda perplessa. «Tutto bene? Credevo avessi fame».
«Uh...». Colto in flagrante.
«Non stai mangiando. Non ti piace?». È dolce a preoccuparsi, ma la mia inappetenza non ha niente a che fare con un dannato panino, ha a che fare con lei.
Con quanto la desidero.
E la desidero davvero tanto.
Per una volta sono pronto a lasciarmi andare senza pensare alle conseguenze. Siamo attratti l'uno dall'altra. Lei non ha aspettative, e nemmeno io. Il mio passato turbolento può essere scacciato via e rimpiazzato almeno per il momento da nuovi ricordi che posso costruirmi insieme a Fable.
«Il panino è buono». Do un altro morso per dimostrarglielo, e lei sorride prima di riprendere a divorare la sua insalata. Ed è in questo momento che mi rendo conto che il nostro è un appuntamento di giorno, all'ora di pranzo. Sono il ragazzo più patetico della terra. Gioco a football, prendo buoni voti, all'università, ho una fila di ragazze che mi vengono dietro, e non ne ho mai portata fuori una. Non so cosa significhi avere una relazione. Il mio passato mi ha spento, e io gli ho permesso di controllare la mia vita per troppo tempo.
«Domani è il Ringraziamento», dice Fable dopo aver preso un sorso di tè.
«La tua famiglia si riunisce per l'occasione?»
«Non proprio». Be', non lo facciamo da quando mia sorella Vanessa è morta, ma non glielo dirò. Oggi non è il caso di tirare fuori un argomento cosi pesante. «Negli ultimi anni siamo sempre andati in vacanza durante il Ringraziamento»
«Divertente». Sorride, anche se non sembra convinta. Lo dice solo per essere gentile. In realtà ha capito benissimo quanto siamo incasinati.
È la prima persona a essersene resa conto.
«Inoltre, la maggior parte dei parenti di mio padre non vive qui. Lui è dell'Australia», spiego.
«Davvero?». Si pulisce la bocca con un tovagliolo bianco pulito e poi se lo lascia cadere in grembo. Mi incanto a guardarle le labbra. Sono turgide, di una sensuale sfumatura di rosa, e muoio dalla voglia di sentirne ancora il sapore.
È come se stamattina mi fossi svegliato con in testa solo il sesso. Per forza, data l'erezione che avevo. L'ho sognata, le nostre immagini erano sfocate e nebulose e noi eravamo aggrovigliati fra le lenzuola. Il pensiero di lei mi sta consumando, e io permetto che accada. Ci godo anche.
«Gia. Anche mia madre veniva da lì». Mi intristisco. Non m va di pensare neanche a questo.
«Ci sei mai tornato?»
«Non ci vado da anni. I miei nonni vivono in un appartamento a Melbourne. Là lo stile di vita completamente diverso». Mi piacerebbe tornare. I miei nonni sono vecchi e potrebbero non durare molto. Ma a loro Adele non piace, per questo non siamo andati spesso a trovarli.
«Mi piacerebbe andarci, prima o poi». Sospira, malinconica. «Ho sempre voluto vedere Sydney».
«È un'esperienza, questo è certo». Mi piacerebbe portarla. Presuntuoso da parte mia, ma sono spinto dal bisogno di renderla felice. Di mostrarle posti che so che da sola non potrebbe mai vedere.
«Spiegami una cosa», le dico quando abbiamo finito di mangiare e aspettiamo che la cameriera ci porti il conto.
«Cosa vuoi sapere?». Nei suoi occhi vedo un guizzo di diffidenza. Siamo più simili di quel che pensavo e questo mi rassicura.
«Da dove viene il tuo nome?». È perplessa. «Devi ammetterlo, è abbastanza insolito».
«Oh». Diventa rossa dall'imbarazzo e abbassa gli occhi. «Mia madre. Lei è... diversa. Quando sono nata, mi ha guardata e ha deciso che ero un'anima saggia. A quanto sembra ha capito subito che avevo tante storie da raccontare. O cosi mi ha detto quando avevo cinque anni. Anche mia nonna me l'ha confermato».
«Un'anima saggia eh?». La scruto, e i suoi occhi verdi insondabili tornano a guardarmi. In effetti sembra più matura di altre ragazze della sua età. Deve aver fatto i conti con situazioni molto più difficili. Sembra prendersi cura di tutti. E allora chi si prende cura di lei?
«E hai molte storie a raccontare?».
Scuote piano la testa, le guance ancora piu infuocate. «La mia vita è infinitamente noiosa».
«Ne dubito». La trovo misteriosa. Indossa una maschera, fa la dura, ma ho la sensazione che dentro di lei ci sia qualcosa di vulnerabile.
«Se ti riferisci alle mie presunte avventure sessuali, sul serio, è una storia noiosa. Non c'e niente da dire. La maggior parte dei pettegolezzi che girano la fuori non sono comunque veri». Stringe le labbra in una linea sottile che diventa quasi invisibile.
Per un attimo resto sorpreso dalle sue parole. Sto cercando di conoscerla, non di ficcare il naso nei suoi affari privati e nel suo passato sessuale. Di certo non sono ancora pronto a conoscere quei dettagli. Non so se lo saro mai. «Non mi interessano quelle cose».
«Eppure è esattamente per quelle che mi hai scelto per essere la tua ragazza di copertura». Il dispiacere nella sua voce e inconfondibile. Scegliendola, l'ho ferita ancora di più, e ora mi sento in colpa.
«Non mentirò. Hai ragione». Allungo una mano e intreccio le dita alle sue. Sono sottili, fredde. Le stringo nella speranza di scaldarle. «Ma ora sono davvero felice di avere scelto te».
Mi guarda con occhi severi e grandi, e mi sento come se mi fossi messo a nudo l'anima. «Anch'io sono felice che tu mi abbia scelta», ammette in un sussurro.
Un'ondata di emozioni mi brucia dentro e mi sforzo di mantenere l'atmosfera leggera, ma in realtà mi gira la testa. Chiacchieriamo ancora un po', poi pago il conto, anche se non riesco a non pensare a lei. A quanto la desidero. A come si sia intrufolata facilmente nella mia vita e ora non possa immaginarla altrove.
È folle. In più, qualunque cosa sia successa ieri sera, ha alleggerito la tensione fra noi, e oggi pomeriggio siamo molto piu aperti l'uno con l'altra. Così aperti che quando lasciamo il locale per camminare lungo il marciapiede verso il parcheggio le prendo la mano e lei non si oppone.
Come se fossimo una coppia.
«C'e odore di pioggia», mormora Fable. Alzo gli occhi al cielo e noto le nuvole scure e gonfie, basse su di noi.
«Già». La prima goccia cade appena pronuncio quella parola e lei ride, il suono che strilla verso di me, scaldandomi. Adoro quella risata, la voglio sentire ancora.
Grosse gocce iniziano a cadere e per un attimo ci fermiamo a guardarci. Poi stringo la presa e iniziamo a camminare più in fretta, come se cosi potessimo sfuggire alla pioggia, che intanto ha preso a cadere ancora più forte. Finchè non ci ritoviamo nel mezzo di un acquazzone torrenziale, inzuppati fino alle ossa.
«Quant'è lontana la macchina?» chiede. La pioggia è cosi rumorosa che a malapena riesco a sentirla.
«Lontanissima». L'ho messa in un parcheggio pubblico per non dovermi preoccupare del tempo che passa, e ora me ne pento. Sui marciapiedi non c'è nessuno, la pioggia è intensa e ci mancano ancora una serie di isolati da percorrere.
«Forse possiamo infilarci in qualche negozio e aspetetare che passi», suggerisce.
Potrebbe funzionare, ma io ho una soluzione migliore. Tenendola per mano mi infilo in un vicolo stretto che so che porta allo studio e alla galleria di un artista. Il vicolo è al coperto, una fitta edera cresce sui muri e sul pergolato. È buio, al sicuro dalla pioggia, e piccole lucine bianche illuminano l'edera per la stagione delle feste ormai vicina.
È magico e mi accorgo che Fable alza la testa meravigliata, labbra socchiuse, occhi spalancati. Mi guarda, i capelli zuppi di acqua, il viso spruzzato di gocce. Senza pensarci, allungo la mano e con il pollice le rimuovo prima da una guancia, poi dall'altra. Trema leggermente e stringe le labbra, abbassando lo sguardo a terra.
«Freddo?», sussurro. Sono sopraffatto dal desiderio di toccarla. In qualche modo Fable diventata la mia ancora di salvezza.
Scuote piano la testa e mi guarda. «Questo posto. È cosi carino. Sei sicuro che possiamo nasconderci qui per un po'?»
«Si, certo». La stringo a me perché non riesco a resistere e lei si avvicina di buon grado, fissandomi le labbra. Pensiamo la stessa cosa e mi sento sollevato.
Mi vuole quanto io voglio lei.
Ci guardiamo attorno e sulla destra vediamo una panchina di legno. L'afferro per la vita e la metto in piedi sulla panchina, cosi ora è lei quella più alta.
«Cosa stai facendo?». Mi mette le mani sulle spalle, le dita che stringono il tessuto della maglietta.
«Lascio che sia tu a comandare», dico, sperando che prenda l'iniziativa. Dannazione quanto lo desidero. Così tanto che mi sento morire. Le appoggio le mani sui fianchi, immaginandomi che non indossi i jeans. Immaginando che non indossi niente e che insieme fossimo da un'altra parte, alla casa degli ospiti, il suo corpo intrappolato sotto il mio mentre ci esploriamo con le mani e con la bocca.
Stare con lei è liberatorio – magari me ne fossi reso conto prima.

Namelesshaley:
Buon pomeriggio! Volevo solo dirvi di passare dal mio profilo per leggere la nuova storia che sto iniziando. Ho postato solo il prologo, ma presto aggiornerò con il capitolo. Detto questo, buona giornata a tutti!

One Week Girlfriend - Luke HemmingsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora