Fable

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Lo sapevo. Non volevo affrontare la cosa, ma sapevo che la radice del problema era Adele. Durante la settimana ho colto diversi indizi e i miei sospetti sono aumentati.
E ora ne ho avuto conferma.
Sono piena di odio, ed è così forte che mi sta schiacciando. Disprezzo quella donna per ciò che ha fatto a Luke. Per le torture a cui lo sottopone anche adesso. È vomitevole. È una molestatrice di ragazzini e dovrebbe essere rinchiusa in prigione per il modo in cui ha approfittato del suo figliastro.
La odio con tutta me stessa.
«Dobbiamo andare», dico contro il suo petto con voce smorzata. Mi stacco da lui e lo guardo, e noto che il suo viso è privo di emozioni. Si è spento, e non posso rimproverarlo perchè probabilmente è il suo modo di reagire.
Appena torniamo a casa gli consiglierò di andare da un terapista, di tirare fuori quello che è successo una volta per tutte. Non che possa superare l'esperienza del tutto, ma almeno dovrebbe parlarne con un professionista, cercare aiuto per affrontare meglio la situazione.
«Luke». Lo scuoto e torna a concentrarsi su di me. «Dobbiamo andare adesso».
«Hai ragione».
Corro in camera e getto tutto nella borsa, poi chiudo la cerniera. Prendo la borsetta, la felpa, e do un'ultima occhiata alla stanza per assicurarmi di non aver dimenticato niente.
Ma se così fosse non importerebbe. Ho troppa voglia di levare i tacchi.
Aspetto Luke in salotto tenendo d'occhio le finestre, lo sguardo focalizzato sulla casa principale. Non sono ancora usciti per qualunque cosa avessero in programma per l'anniversario della morte di Vanessa. Vedo la Range Rover parcheggiata nel vialetto d'ingresso, come se suo padre l'avesse già portata fuori. Almeno non blocca la macchina di Luke.
Grazie a dio.
«Vuoi salutare tuo padre?», chiedo quando mi raggiunge, la borsa in spalla, l'espressione ancora vuota.
Scuote la testa. «Gli manderò un messaggio. Sono già andati via?»
«No». Il panico nella mia voce è evidente e mi schiarisco la gola, arrabbiata con me stessa. «Luke, non penso che sia una buona idea andare là...».
«Neanch'io», mi interrompe.
All'improvviso mi sento sollevata. Raggiungiamo la sua auto a passo svelto, e lancio in fretta la borsa sui sedili posteriori. Saliamo e chiudiamo le portiere contemporaneamente, e Luke infila la chiave nell'accensione. Manca poco e saremo partiti. Non sono mai stata più felice di lasciare un posto in vita mia.
«Lucas!».
Volto di scatto la testa a sinistra e vedo Adele che corre verso di noi, fermandosi accanto alla portiera di Luke. Picchia un pugno sul finestrino e gli indica di abbassarlo, e lui ha la mano sul cambio pronto a inserire la retromarcia.
«Non farlo», sussurro. «Non aprire. Non merita più la tua attenzione, Luke».
«E se lo dice a mio padre?», chiede a voce bassa. Sembra un bambino e ho il cuore a pezzi per lui. Il suo dolore è diventato il mio.
«Chi se ne importa? Non sei tu a sbagliare, è lei».
Ma lui allunga una mano e preme il pulsante del finestrino. «Cosa vuoi?», le chiede, freddo.
«Solo... per favore vieni con noi. Ti vorrei lì, Lucas». Per un istante mi raggela con lo sguardo e io faccio altrettanto.
Voglio distruggerla.
«Sono già stato ieri alla sua tomba. Ho pregato per mia sorella. Cos'altro vuoi da me?». La sua voce è come il ghiaccio e anche i suoi occhi, ma Adele è in differente.
«Ci sono così tante cose che non sai, e... devo dirtele. In privato. È importante. Lucas, per favore».
«La smetta di chiamarlo così». È più forte di me, devo fermarla. Non sopporto il modo in cui pronuncia il suo nome intero.
«È cosi che si chiama», ribatte lei con tono piatto. «E come ti permetti di dirmi quello che devo fare?».
«Non parlarle in quel modo». La voce di Lucas è minacciosa, Adele però non sembra accorgersene.
«Lei non è nulla, Lucas. Non vale niente. Perchè butti via il tempo con lei? È brava a letto? Apre le gambe appena glielo chiedi? Per questo la frequenti?». Sembra riposseduta. Mi rifiuto di farmi condizionare dai suoi insulti.
È talmente inferiore a me che si merita di marcire all'inferno.
«Almeno non sono una molestatrice di ragazzini», mormoro a bassa voce.
Il rantolo che proviene da Adele indica chiaramente che la mia voce non era abbastanza bassa. «Cos'hai detto, piccola puttanella?».
Merda, adesso sono coinvolta anch'io!
«Lo sa, Adele», interviene Luke. «Sa tutto».
Il silenzio pesante che ci avvolge è quasi insopportabile. Non riesco a guardarla. Mi concentro sulle mie ginocchia tremanti e faccio del mio meglio per controllare il respiro. Con la coda dell'occhio vedo che Luke stringe i denti, e afferra il volante così forte da avere le nocche bianche.
«Be'», squittisce schiarendosi la voce. «Allora le hai raccontato tutto, eh? Sa della nostra storia?»
«Molestare un ragazzo di quindici anni non significa avere una storia». Serro le labbra e chiudo gli occhi. Mia mamma mi ha sempre detto che la mia bocca larga mi avrebbe portato solo problemi.
Forse ha ragione.
«Bene, vuoi che sappia tutto, allora ti dirò quello che volevo dirti in privato davanti alla tua puttana sfacciata», dice con un'aria leggera che mi dà sui nervi.
Non mi piace quello che vedo. C'è un bagliore assassino nei suoi occhi, e gli angoli della bocca sono incurvati in un sorriso da pazza. Sta chiaramente per perdere la testa.
«Andiamo», sussurro a Luke, e lui accende il motore.
«Non vuoi sapere quello che ho da dire?», chiede con la sua cantilena spaventosa.
«Non proprio», risponde, con le mani strette attorno al volante.
«Peccato, perchè riguarda Vanessa».
Si volta verso di lei, e anch'io. «Cioè?»
«È da una vita che cerco di dirtelo, ma non ho mai trovato il momento giusto. Ora devi saperlo. Ho sempre pensato che fosse la verità, però non ne ero sicura... ora invece lo so, senza alcun dubbio».
«Spara, Adele».
Lo stomaco mi si contorce nell'attesa. I palmi delle mani mi si inumidiscono per la paura e tengo le ginocchia strette, terrorizzata da quello che sta per dire.
«Vanessa non era tua sorella, Lucas». Adele fa una pausa, e il sorriso che mi rivolge è devastante.
«Era tua figlia».

One Week Girlfriend - Luke HemmingsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora