Giorno del viaggio
Il suo pick-up non è male. È il veicolo più nuovo su cui abbia mai avuto il privilegio di salire. Lui ci sta bene, lì dentro, per quanto odi ammetterlo persino a me stessa. Ma la Toyota blu scuro gli calza a pennello.
Ogni cosa è perfetta, in Luke. Come si veste - quei jeans gli fanno un sedere fantastico, per non parlare della maglietta dallo scollo largo che lascia intravedere l'inizio del suo petto. Come si comporta - sempre gentile. Quando parla, mi guarda sempre negli occhi e non fa nessun commento scortese sulle mie tette o sul mio sedere. E il suono della sua voce.. profondo e sexy, il tipo di voce che non mi stancherei mai di ascoltare. È perfetto.
Mi ha chiamata ieri prima che andassi a lavoro, per dirmi a che ora sarebbe passato a prendermi e che avremmo discusso i dettagli della storia lungo il tragitto verso la casa dei suoi.
E poi l'ho buttata lì. I soldi. Come mi avrebbe pagata? Mi sono sentita un po' stronza, a tirare l'argomento di punto in bianco in quel modo, però ho dovuto farlo. Volevo quell'assegno prima di lasciare la città, per dare qualche soldo a Owen in caso di emergenza.
Perciò io e Luke ci siamo incontrati in centro presso la mia banca, a quindici minuti dalla chiusura e prima del mio turno al bar. Abbiamo parlato qualche minuto, niente di che, e poi mi ha dato l'assegno. Si è comportato con nonchalance, come se consegnasse assegni da tremila dollari a ragazze ogni dannato giorno della sua vita.
L'assegno era intestato al suo conto personale, firmato da lui. Ha una grafia disordinata, non sono riuscita a leggere la firma. Il suo nome completo è Lucas R. Hemmings.
Mentre camminavo verso la banca da sola e mi avvicinavo al cassiere, mi sono chiesta cosa rappresentasse la R.
Ora sono qui seduta sul pick-up di Lucas R. Hemmings, il motore che ronza a ritmo regolare, e non sbuffa e va in palla come la merdosa Honda del '91 di mamma, che sembra debba fermarsi da un momento all'altro. Ho raccontato anche a lei la stessa storia che ho detto a Owen, e anche al mio capo al La Salle's.
Dato che vado via in un momento in cui c'è poco da fare, lui non ha creato problemi. Conosce la nostra situazione economica ed è felice che abbia trovato un lavoro che mi paghi così tanto profumatamente per così pochi giorni.
Mamma si è resa a malapena conto che me ne sarei andata.
Non so perchè mi odia tanto. Be', odiare è una parola forte. Significherebbe che per me sente qualcosa. Lei invece è indifferente, per lei non conto nulla. Zero.
«Quattro ore, eh?». La mia voce rompe il silenzio, spaventandolo. L'ho capito da come è saltato sul sedile. Un giocatore di football grande e grosso che si spaventa di me?
Strano.
«Già, quattro ore». Picchietta le dita sul volante, attirando la mia attenzione. Sono lunghe, le unghia arrotondate, pulite. Mani forti dagli ampi palmi. Mani che sembrano gentili.
Mi acciglio e scuoto la testa. Ho pensieri da stupida, quando invece dovrei rimanere all'erta.
«Non sono mai stata a Caramel, prima». Cerco di fare conversazione perchè il pensiero di fare un viaggio così lungo in totale silenzio mi dà i brividi.
«È carina. Un posto costoso». Alza le spalle, e io l'osservo. Sopra una maglietta nera, porta una camicia aperta a quadri rossi. Sta benissimo.
Mi volto, tengo gli occhi incollati al finestrino mentre il paesaggio mi scorre davanti. Devo smetterla di fissarlo. Mi distrae.
«Allora, forse dobbiamo inventarci una specie di storia, giusto?». Lo guardo con la coda dell'occhio, non resisto. Con la fortuna che ho, questa corsa di quattro ore volerà in un baleno, e poi mi ritroverò faccia a faccia con i suoi raffinati genitori e non saprò cosa dire.
In altre parole, abbiamo bisogno di tempo per articolare un piano dettagliato e sembrare una coppia vera.
«Già, forse dovremmo». Annuisce senza distogliere gli occhi dalla strada.
Il che è una buona cosa, mi dico. È prudente, consapevole di tutto ciò che lo circonda.
Ma in realtà vorrei che guardasse me, che mi offrisse un sorriso rassicurante. Dannazione, anche un semplice "andrà tutto bene" mi farebbe contenta, adesso.
Ma niente. Neppure un grazie.
Che noia.
«Be'». Mi schiarisco la voce, perchè sto per tuffarmi in acque gelide nonostante lui voglia trattenerci al sicuro sulla spiaggia. «Da quanto tempo ci frequentiamo?»
«Da quando è iniziata la scuola potrebbe funzionare».
La sua disinvoltura mi fa venire voglia di strozzarlo. «Sei mesi, allora?», butto lì per provocarlo. E funziona.
Mi lancia un'occhiata incredula. «Tre».
«Oh», annuisco. «Già, in effetti non lo so, dato che no vado più a scuola». La risposta più stupida che potessi dare. Tutti sanno quando inizia la scuola.
«Perchè no?».
Non mi aspettavo questa domanda. Davo per scontato che non gliene importasse nulla. «Non posso permettermelo, e non sono abbastanza intelligente da essermi aggiudicata una borsa di studio». Come se potessi gettare via il tempo con la scuola, in ogni caso; non faccio che lavorare. Avevo un lavoro a tempo pieno, ma non ce l'ho più da quasi un anno. Sto facendo più ore che posso come cameriera sia al La Salle's sia in un piccolo ristorante americano non troppo lontano dal nostro appartamento, anche se quella è una cosa temporanea. Mi chiamano solo quando sono a corto di personale.
I soldi che ho adesso nel conto corrente grazie a Luke mi solleveranno dal peso almeno per un po'. Non li ho messi sul conto in comune con mia madre, perchè se se ne accorgesse li farebbe fuori subito.
Non posso rischiare che accada.
«Come ci siamo incontrati, quindi?». La voce profonda di Luke interrompe i miei pensieri. Come vorrei che fosse lui a prendere l'iniziativa e a farsi venire in mente qualcosa!
«Al bar». Lo suggerisco perchè lo fa sembrare un incontro squallido, e mi immagino che l'unica ragione per cui si porta me sia per sconvolgere la sua famiglia spocchiosa. «Sei venuto in compagnia di alcuni amici, e appena ci siamo incontrati è stato amore a prima vista».
Mi guarda come se avessi appena detto una scemenza e io gli sorrido. Se tocca a me inventare questa storia, allora sarà la più sdolcinata e romantica che ci sia.
Nella mia vita non c'è spazio per il romanticismo. È una cosa stupida, ma permetto ai ragazzi di usarmi perchè per qualche fuggevole istante, quando uno focalizza tutte le sue attenzioni su di me, mi fa sentire bene. Mi aiuta a dimenticare che in realtà di me non importa niente a nessuno.
Quando tutto finisce, è come uno schiaffo che mi risveglia dalla mia nebbia mentale e mi sento squallida. Sporca. Tutti quegli stereotipi che si leggono nei libri o si vedono in TV o in un film, io li rappresento. Sono un cliché ambulante.
Sono anche la puttanella della città che in realtà non lo è come tutti pensano - di nuovo, altro cliché. E di certo non sono la ragazza per fare buona impressione su tua madre. In me non c'è niente di speciale.
Eppure eccolo qui, Luke, che mi porta a casa per impressionare mammina. Più che altro per spaventarla a morte. Sono sicura che sono l'incubo vivente di quella ricca stronza (ora parlo come Owen: "stronza squattrinata", "ricca stronza"...) . Schiatterà appena mi metterà gli occhi addosso.
«Deduco che mi presenti a tua mamma per farla arrabbiare, giusto?». Mi serve una conferma. Finora ho fatto solo delle ipotesi e ho accettato senza fare domande. Ora però ho bisogno dei fatti - e poi mi preoccuperò delle ripercussioni. Per esempio di come tutto questo potrà incasinarmi la vita, nonostante abbia un bisogno disperato di quei soldi.
Luke serra la mascella, le labbra si riducono a una sottile linea severa. «Mia mamma è morta».
Oh. «Mi dispiace». Mi sento una stronza.
«Non potevi saperlo. È morta quando avevo due anni». Fa spallucce. «So che mio padre ti adorerà».
Il modo in cui lo dice mi spaventa. Come se quell'uomo fosse un essere spaventoso e mi dovesse adorare per questo.
«Siete solo tu e tuo padre, allora?»
«No, c'è Adele». Le labbra preticamente spariscono quando pronuncia quel nome. «È la mia matrigna».
«Allora vuoi spaventare la tua matrigna».
«Non me ne frega niente di quello che pensa lei».
La tensione si irradia da Luke in onde quasi visibili.
Fra lui e la sua matrigna c'è qualcosa che non va.
Ignoro il commento riguardo alla strega Adele e vado avanti imperterrita. «Hai fratelli o sorelle?».
Scuote la testa. «No».
«Oh». La sua incapacità di comunicare potrebbe essere un problema, dato che dipendo completamente da questo ragazzo per la prossima dannata settimana. «Io ho un fratello».
«Quanti anni ha?»
«Tredici». Sospiro. «Owen frequenta la terza media. Si caccia sempre nei casini».
«È un'età difficile. Le medie fanno schifo».
«Eri un ribelle quando avevi tredici anni?»
Non riuscirei proprio a immaginarlo.
Ride, confermando in un lampo i miei sospetti. «Non me lo avrebbero permesso».
«Che vuoi dire?». Sono perplessa, la sua risposta non ha senso.
«Mio padre mi avrebbe dato un calcio nel sedere se avessi fatto qualcosa che non andava». Fa spallucce di nuovo, e mi piace perchè mi ricorda le sue spalle larghe. Se ho abbastanza fortuna, riuscirò anche a toccarle durante la nostra relazione fasulla dei prossimi sette giorni. Ci appoggerò persino la testa sopra. Premerò la guancia contro il tessuto morbido della sua maglietta e annuserò segretamente il suo profumo. Sa di buono, ma io mi voglio avvicinare per sentire meglio.
La sdolcinatezza sta per avere la meglio, e per una volta nella mia cinica vita dove non c'è spazio per le favole sono contenta che succeda. Dopotutto devo essere l'attrice migliore sul pianeta, giusto?
«Non è quello che minaccia di fare ogni papà quando il figlio combina qualcosa?», chiedo.
«Già, ma mio padre era serio. E poi era più facile fare quello che dovevo fare piuttosto che distrarmi. Alla fine non dovevo pensare a nulla, capisci?»
«E cos'è che "dovevi fare"?» . Disegno virgolette nell'aria come le studentesse che frequentano il La Salle's. Odio quelle tipe, il modo in cui si raccolgono i capelli, starnazzano e blaterano sciocchezze. Sbattono le ciglia a tutti i maschi che vedono. La loro fame di attenzioni è penosa.
Cielo, suono come una stronza perfino a me stessa.
«Frequentare le lezioni, studiare, prendere buoni voti. Andare agli allenamenti di football, mantenermi in forma, giocare al meglio, e sperare di fare una buona impressione su qualche scopritore di talenti».
Spara fuori tutto come se fosse una specie di lista.
«E quali sono le distrazioni che vuoi evitare?»
«Feste, bevute, ragazze». Mi dà un'altra occhiata, e stavolta i lineamenti sono più dolci, la rabbia di prima è scomparsa. «Non mi piace perdere il controllo».
«Nemmeno a me», sussurro.
Mi sorride, e sento una stilettata nel mio cuore morbido. «Be', sembra che in fondo possiamo essere una bella coppia».Namelesshaley:
Bene, bene, eccomi qua! Questo capitolo è abbastanza lunghetto. Vi piace la nuova copertina? Ve prego, anche se vi fa schifo, ditemi che vi piace perchè ci ho messo un'ora per farla. Ma lasciando stare la copertina, che ne pensate della storia? Personalmente credo sia carina, ma siamo ancora all'inizio quindi dobbiamo un po' vedere come continuerà. Adesso mi dileguo, al prossimo capitolo .x
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One Week Girlfriend - Luke Hemmings
Fiksi Penggemar"Torneremo ciascuno alla propria vita. Dove tu mi odi e io odio te. Sarà una bugia. Forse prima di tutto questo ti odiavo, ora però credo di amarti."