Capitolo 49 - Uscire

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Isabelle's pov
D'ora in poi, quando non scriverò nulla all'inizio del capitolo, il pov sarà sempre quello di Izzy. Detto questo, buona lettura.

Tutto è tornato alla normalità. Sia con Simon che con James (con il quale non ho più parlato del bacio di qualche tempo fa) e pure con Beth, Zoe, Miriam e William. Ormai il nostro gruppo di amici è tornato più unito che mai.

"Scusate, ragazzi, ma io devo andare. Mia madre mi ha scritto un messaggio, ha bisogno di me a casa" Beth saluta me e Simon, alzandosi in piedi dal tavolino del bar a cui ci siamo seduti per bere una limonata. Si china verso di me per stamparmi un bacio sulla guancia e si allontana sorridendo. Un secondo prima di chiudersi la porta alle spalle, mi fa l'occhiolino ridendo e premendosi la punta del naso con l'indice. Era un nostro gesto di qualche anno fa, quando usavamo come primo criterio di giudizio di un ragazzo, per capire se era più o meno adatto a noi, il suo profumo: se aveva un buon profumo, andava bene; altrimenti, era da scartare. Dopo quel breve periodo (totalmente assurdo, come d'altronde siamo io e Beth insieme), il gesto di premersi un dito sulla punta del naso si era esteso per tutti i bravi ragazzi, quelli belli e simpatici.

È tornata la mia migliore amica di sempre, meravigliosa e esuberante, fantastica sotto ogni aspetto. James, durante i lunghi pomeriggi che abbiamo trascorso insieme a casa sua, seduti a gambe incrociate sul suo letto, mi ha raccontato tutto quello che è successo nel periodo della mia assenza, del coma.

Non sono mai stati veri appuntamenti i nostri; semplicemente, ho iniziato a recarmi sempre più frequentemente a casa di James. In principio, quegli incontri avevano come unico scopo quello di scoprire quanto era accaduto in quei mesi. In seguito, però, il vero obiettivo è sfumato e sono diventati dei semplici pomeriggi all'insegna del divertimento.

Ora, seduta comodamente sulla seggiola del bar, posso ricordare nitidamente ogni nostro momento insieme: a partire dai film guardato insieme, io con la tesa sulla sua spalla e lui con un braccio a cingermi la vita; fino al giorno in cui abbiamo cucinato insieme una torta e siamo finiti per lanciarci addosso la farina facendo un caos infernale nella sua cucina. Per non dimenticare la volta in cui mi ha portato a una fiera in un paesino di campagna e ho ballato in una piazza con bambini e vecchi al suono della fisarmonica e del tamburo. E poi la nostra uscita più bella...

*Flashback*
"Dove andiamo?" gli chiesi senza capire bene. Stavamo passeggiando in una stradina anonima di Boston, costeggiata di parcheggi e grigi condomini. Una zona residenziale silenziosa e deserta.

Lui non mi rispose e continuò a camminare con un sorrisetto enigmatico e strafottente in volto. Mi faceva impazzire, sul serio! Ma era anche adorabile, questo era poco ma sicuro, affondato nella sua enorme felpa nera.

A un tratto si fermò davanti a un garage. "Aspetta un secondo" mi disse, aprendone la porta e correndo giù oltre il cancello, per una breve discesa, finché non lo vidi più. Sbuffai e mi rassegnai ad aspettarlo, appoggiata a un muro.

Dopo un minuto o due di attesa, si sentì un rombo. Un veicolo schizzò al mio fianco, per poi fermarsi nella strada con una sgommata. Era una moto, piuttosto potente, potevo dedurre. Il ragazzo a cavallo della moto si tolse il casco e si passò una mano fra i capelli scuri. Si posò il casco sulle ginocchia e si voltò. Due occhi blu intenso pieni di eccitazione si puntarono su di me.

"Allora, vieni?" sorrise James. Il suo sorriso era contagioso e non riuscii a evitare di ridacchiare.

"Guarda che se non ti sbrighi parto senza di te" aggiunse, e per dimostrare la veridicità della sua affermazione fece rombare di nuovo il motore, avanzando di un paio di metri.

"Vengo, vengo" esclamai, correndo fino alla moto e arrampicandomi a cavalcioni di essa. Ero già salita su una moto, in precedenza, con mio padre, qualche anno prima.

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