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Alaska

Butto le buste con le compere sul letto e mi levo le scarpe lanciandole in qualche angolo remoto della camera. Nathan si sdraia, con le mani incrociate dietro la nuca, sul mio letto e io gli crollo accanto.
«Non farò mai più una cosa del genere in vita mia» sbuffo esauste mentre Nathan si tira su appoggiando la sua testa sopra alla mano sorretta dal gomito. Mi scruta attentamente con quei suoi occhi dorati che mi fanno venire i brividi e poi sorride.
«Cosa non farai mai più, una cosa che fanno tutte le ragazze?».
«Tutte tranne me» gli faccio la linguaccia e lui scoppia a ridere, poi mi bacia i capelli e basta quel semplice gesto di affaetto per farmi sentire a casa più di quanto mi faccia sentire così la mia casa stessa.
Lo stringo forte a me e inalo il suo profumo che sa di buono. Detesto i profumi, infatti non li uso mai se non le creme da corpo e i bagno schiuma, ma il suo di profumo è il massimo, lo riconoscere tra un milione di profumi differenti. Quando ero bambina ricordo che mamma usava un sacco di profumo e io ogni volta che si spruzzava addosso un essenza diversa facevo finta di svenire per l'odore troppo forte e lei mi faceva il solletico. Erano pochi i momenti che potevamo passare assieme, ma quando ero con lei mi sentivo sicura e in pace col mondo. Dopo la sua morte la sensazione di appartenere a qualcuno di essere a casa era svanita fino a quando non ho incontrato Nathan. Anche quando si comportava da stronzo mi faceva star bene, non abbastanza ma mi faceva sentire considerata.
«Che pensi, dovremmo dirlo ai 'nostri' genitori?» mi chiede dubbioso anche se dalla sua espressione percepisco che questa idea non gli va a genio.
«Non ci avevo mai pensato a questo» affermo sovrappensiero. Cosa ne penserebbe mio padre?

Che sei una stupida, Cristo Alaska!

«Mia 'madre' potrebbe anche esserene felice, ma tuo padre?» il suo scetticismo nella voce mi fa pensare che anche lui non sa come la prenderebbe mio padre.
«Non ne ho la più pallida idea, e poi lui non è nelle condizioni giuste per giudicare» dico in silenzio più a me stessa che a lui. E solo dopo un po' mi accorgo di ciò che ho detto e inizia a martellarmi il cuore nel petto come se fosse un cavallo in corsa. Spero che Nathan non mi chieda spiegazioni, perché dovrei dargliele dopo tutto il sermone che gli ho fatto sul dirci le cose.
«Perché?» chiede.
«Perché no?»
«Non puoi rispondere a una domanda con un'altra domanda» sorride divertito e vedere le sue fossette aiuta a calmarmi e a farmi sentire meglio.
«È una storia lunga» affermo senza guardarlo negli occhi, ma sento il suo sguardo puntato addosso. Non dice niente e non so se sia un bene o un male, tuttavia ho bisogno di raccontargli tutto.
«Mia madre è morta» inizio sentendo le lacrime salirmi agli occhi «Non sono divorziati, per lo più lo erano» sto per continuare, ma Nathan mi interrompe.
«Al, se non ti senti pronta possiamo anche non parlarne» dice in tono solenne accarezzandomi una guancia e sfiorandomi le labbra con un pollice facendo perdere un battito al mio cuore.

Dio quanto amo questo ragazzo!

«Io ne ho bisogno» sibilo sotto voce e tutt'un tratto sento il cuore pesante come non mai.
«Okay» dice comprensivo per poi farmi proseguire.
«Mio padre e mia madre si sono sposati quando avevano venti e ventidue anni, erano giovani e pieni di vita e felici come non mai. Poi qualche anno dopo sono arrivata io, mio padre era un degli uomini più nobili del paese e mia madre non lavorava. Quando avevo sei anni, mio padre e mia madre hanno divorziato, non so il perché non l'ho mai chiesto a mia madre, mi sembravo scortese e mio padre... Be' lui non ama parlare con me». Prendo un gran respiro e cerco di trattenere le lacrime «Mio padre andò via e per un paio di anni diede il mio mantenimento a mia madre, poi dopo un po' di tempo non ha più telefonato per sapere di me. Io ero arrabbiata, ma sopratutto distrutta gli volevo così bene e lui mi ha tagliato fuori come se non avesse mai provato nulla. Mia madre continuava a lavorare per arrivare a fine mese e io ero a casa sempre sola, mi dovevo cucinare da sola e non potevo parlare con nessuno» le lacrime iniziano a cadermi lente sul viso e io cerco di guardare altrove per non incontrare lo sguardo di Nathan puntato su di me.
«Qualche mese dopo mamma si ammalò, lo avevo notato subito, quando iniziò a tornare prima da lavoro e quando mi prendeva in braccio per dirmi che qualora lei non ci fosse stata non dovevo piangere perché ero forte. Iniziò a perdere i capelli e a diventare sempre più debole. La chemio non aveva alcune effetto su la leucemia che la dominava. Speravo di essere forte dopo la sua morte, quando avevo quindici anni fui costretta ad andare a vivere con la sorella di mia madre, perché lei era morta. La trovai io nel letto lo sai? Mi svegliai, era la festa della mamma e le stavo portando la colazione a letto, l'ho chiamata diverse volte, strattonata, ma lei era lì ferma come una statua senza battito» la voce mi si spezza e le lacrime cambiano il loro ritmo cadendo più velocemente e impetuose.
«Al vieni qui» dice Nathan abbracciandomi delicatamente e baciandomi i capelli. Scoppio sul suo petto e mi sento meglio perché qualcuno mi capisce, qualcuno sa cosa ho dovuto affrontare.
«Mia zia era abbastanza dolce e con lei stavo bene, poi a sedici anni appena compiuti mio padre piombò a casa di mia zia chiedendogli di lasciarmi andare da lui, ma i nostri rapporti erano cambiati io non posso perdonarlo, capisci?» chiedo piangendo istericamente e lui mi stringe più forte nel suo abbraccio. Si stende sul mio letto e io su di lui mentre mi tiene stretta al suo petto.
«Sssh, ora ci sono io».

MI PIACI COSÌDove le storie prendono vita. Scoprilo ora