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«Dai Al, sta zitta e dormi!» dice per la millesima volta in tono lamentoso mentre mi scruta ancora da capo a piedi. La sua mano è ancora sulla mia bocca e io mi sento in imbarazzo. Sono rimasta impietrita. Non riesco a muovermi. Perfetto! Ma perché mi fa sempre questo effetto? Mi toglie la mano dalla bocca e si gira completamente verso il muro. «Okay, ma mi devi un libro.» dico, mi alzo dal suo letto e torno in camera mia.
«Buongiorno.» fa Meddy raggiante con un sorriso stampato in faccia. So che in fondo ci sta ancora male per ieri. «Non ti darò mai il buongiorno.» dico con voce iperterrita e lei ridacchia. «Okay, tutto bene?» la guardo storto. «Potrebbe mai andare bene la mattina?» chiedo in tono sarcastico addentando un biscotto. «No, lo so che a te la mattina non va mai bene, ma intendevo con mio figlio.» si rattrista un po'. Per me non ci sono problemi, in fondo con me fa sempre lo stronzo, ma io non tengo a lui e con lei che fa lo scemo ferendola. «Si, ormai ci sono abituata, fa sempre lo scemo.» la guardo per vedere la sua reazione, mentre mastico il biscotto. «Già e scusalo, è un ragazzo pieno di rabbia tutto qui... Se solo sapessi il motivo...» Ricordo ancora la prima volta che siamo venuti in questa casa, quando me lo presentarono. Era un anno fa. Aveva una t-shirt nera, pantaloni strappati con la catena dello stesso colore della maglia e del cappello che gli lasciava scoperto il ciuffo castano e degli anfibi neri. Era praticamente tutto nero e io lo scrutai molte volte mentre i nostri genitori ci presentavano. Io avevo una camicia rossa a quadri sbottonata, con una maglia nera che mi arrivava fin sopra l'ombelico e un paio di shorts a vita alta e anfibi neri. Lui non mi guardò non mi salutò neanche, se ne stava con le mani nelle tasche dei jans e con lo sguardo rivolto non so dove mentre continuava a giocherellare con il piarcing sul labbro. Poi quando i nostri occhi si incontrarono vidi la sua rabbia, l'ira indomabile che lo dominava. Ricordo che rimasi a pensare al motivo della sua rabbia per molto tempo, ma non ho mai provato a chiederglielo ero troppo timida. Poi un giorno mi fece uno scherzo e dopo non finì più, iniziò a fare lo stronzo senza un motivo preciso. Non ci ho mai parlato, non veramente. Alle volte qualche insulto, ma niente di più. «Alaska vai o farai tardi.» Maddy mi riscuote dai miei pensieri. Annuisco, prendo una mela, il mio skateboard e mi precipito fuori casa. Oggi la strada sembra più isolata del solito, e ci sono delle fitte nuvole che danno segno di pioggia. Adoro la pioggia, la amo per la verità. Mi ricorda me e non so il perché, forse per alcuni ricorda la tristezza, ma a me mette serenità. Anche alla mia mamma piaceva e ogni volta ci mettavamo davanti al davanzale della finestra quando pioveva perché così potevamo ammirare al meglio quelle gocce d'acqua simili a cristalli, che venivano spesso illuminate da dei fulmini. Se quando piove tuona o si scorge qualche fulmine per me è una bellissima giornata. Arrivo a scuola in ritardo e la professoressa di storia mi sgrida. «Wilson la mattina ci vogliamo muovere?» sbuffo, mentre mi fulmina con lo sguardo. Vado al mio solito posto accanto a Grace e mi siedo. Tiro i quaderni dalla cartella nera e li poggio sul banco. La professoressa mi fissa. Mi giro e tutti mi stanno fissando tranne Nathan. «Allora?» chiedo alzando le spalle. «Non si muore dicendo 'scusa'.» mi sgrida la professoressa. «Mi scusi.» e cominciamo la lezione. Quando usciamo dall'aula Grace mi raggiunge. «Cavolo che figura!» già, lo so anche io. «Sì lo so, ma non c'era bisogno di prendersela così tanto.» raggiungo il mio armadietto e lo apro per infilarvi il libro di storia e prendere quello di  matematica. Lo sbatto sonoramente e mi dirigono in aula salutando Grace. Arrivo in aula con qualche minuto di anticipo e mi siedo in uno dei banchi davanti e con mia grande sorpresa quando Nathan entra in classe, si siede vicino a me. Il professore sembra proprio non voler farsi vedere perché dopo venti minuti non è ancora in classe. Quando entra si scusa per il ritardo e comincia subito la lezione. Inizia a spiegare e io mi getto a capofitto nella spiegazione. Ho sempre amato la matematica perché ha bisogno di essere studiata per bene, con lei non bisogna seguire sempre gli schemi, anzi devi sempre dare spiegazioni in base al tipo di ragionamento applicato. Questo mi ha insegnato a capire che ognuno ha un proprio modo di pensare che magari non è proprio errato, ma per alcuni non è giusto. Adoro usare la logica. Sembra strano, ma noi la usiamo sempre anche per dire cose che  riteniamo senza senso. Alla fine dell'ora mi alzo e mi intrufolo in corridoio e vado in un'altra aula. Veniamo sbattuti da un'aula all'altra fino a quando non è giunto il momento di andare a casa. Con mia grande sorpresa fuori piove. Peccato che arriverò a casa tutta bagnata. Una macchina si ferma accanto a me e si abbassa un finestrino «Sali su.» guardo il guidatore. «Owen, grazie non fa niente.» sorrido. Mi guarda. «Ma scherzi? Non ti lascerei mai qui sotto la pioggia, sali.» Raggiungo la parte del passeggero, apro lo sportello e mi intrufolo nella calda macchina. «Grazie. Non c'era bisogno, ora ti avrò anche bagnato il sedile.» si ferma a un semaforo rosso. Sorride e mi guarda. «Se hai bisogno di un passaggio puoi sempre chiedere.» dice ricominciando a guidare. «Di solito mi piace andare con il mio skateboard e poi adoro la pioggia.» guarda la strada davanti a lui ma mi risponde ugualmente. Sembra molto concentrato. «Davvero?»chiede. «Già, l'adoro.» parliamo per un po'. Non c'è bisogno neanche che gli dia le indicazioni per arrivare verso casa perché a quanto pare è già venuto molte volte anche se non ci è mai entrato dentro. Quando arrivo davanti a  casa, lo saluto e lo ringrazio per la centesima volta, poi entro.

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