GIANNA
Finché mi fu possibile nascosi la gravidanza. Ma con l'approssimarsi del quinto mese, la pancia iniziava a essere evidente ed era sempre più difficile nasconderla.
Un giorno mia madre, che fino a quel momento non aveva minimamente accennato né alle mie nausee, né al mio inconsueto restare chiusa in camera per giorni interi, né tantomeno ai primi visibili cambiamenti del mio corpo, mi disse con distacco:
"Gianna, te ne devi andare. Non puoi più rimanere qui. Tuo padre ti ammazza se lo scopre"
"Mamma, tu... Tu sai e non dici nulla? Non vuoi sapere come sto? Non mi domandi se ho già fatto qualche visita di controllo? Non vuoi sapere chi è il padre? Non mi chiedi niente mamma?"
"Se tu avessi voluto parlarmene, lo avresti già fatto da tempo. Hai scelto il silenzio e io l'ho rispettato. Ma ora per il bene tuo e della creatura che hai in grembo, devi lasciare questa casa. Tuo padre non permetterebbe mai che in paese si vociferi che sua figlia è una sgualdrina"
"Una sgualdrina? E' questo quello che pensi anche tu di me, mamma? Dimmi la verità!"
"Gianna, non mi fare dire cose di cui potrei pentirmi"
"Invece sì, mamma. Non hai mai fatto il minimo riferimento alla cosa per mesi, benché tu avessi già capito tutto, e oggi me ne hai dato la conferma. Non lo reggo più il tuo silenzio, mamma! Parla! Per favore, parla!"
"Hai solo diciassette anni e ti sei fatta mettere incinta da un poco di buono, che cosa mai potrei dirti Gianna? Credimi, è molto meglio che io stia zitta!"
"Non sai niente di lui. Come puoi prendere per scontato che sia un poco di buono?" - incredibilmente lo difendevo ancora.
"In tutti questi mesi si è mai fatto vivo? È mai venuto a presentarsi alla tua famiglia? Ha mai parlato di fare di te una donna onesta, assumendosi le sue responsabilità? Gianna, che razza di uomo può essere uno che non si preoccupa minimamente della donna che aspetta suo figlio, se non un poco di buono?"
Mia madre aveva ragione. Piero era completamente sparito dopo quella nostra ultima conversazione, dove lo informavo che sarebbe diventato padre. Ormai lo avevo capito anche io che razza di uomo fosse. Ma la parte ingenua di me, continuava a sperare che, forse, quando avesse visto quell'esserino tra le sue braccia, se ne sarebbe innamorato e non ci avrebbe lasciato mai più. Sogni di un'adolescente che credeva ancora che in ogni essere umano si celi un animo buono.
"Andrai a stare da tua zia Maria in campagna. Lì sarai lontana da sguardi ostili e dalle male lingue" - continuò mia madre con un tono che non ammetteva replica - "L'ho già informata del tuo arrivo. Parti domani".
Quella sera andai a salutare la mia migliore amica, Serena. Fu l'ultima volta che la vidi. Tutte le nostre promesse di non perderci mai, furono ben presto soffocate dalla distanza e dal tempo che si interpose prepotentemente tra di noi.
Il giorno dopo partii per Campo, un piccolo borgo in provincia di Pisa.
Sul momento odiai mia madre per avermi costretto a lasciare la mia vita, ma poi le fui grata per avermi protetto dalla cattiveria della gente e per avermi mandato in un oasi di pace e serenità, tra colline, fiumi e laghetti, a casa di una donna che fu capace di darmi più affetto di quanto fossero stati in grado di fare i miei due genitori messi insieme.
I quattro mesi successivi passarono veloci e ben presto mi trovai alle prese col mio piccolo scricciolo.
Dopo il dolore del parto, tenere la mia bambina tra le braccia per la prima volta, mi diede brividi di felicità. Sentivo il mio cuore trasbordare d'amore. Un amore così forte che nemmeno immaginavo di avere dentro di me. Più volte mi domandai se anche mia madre avesse sentito la stessa cosa nel vedermi accanto a lei appena nata, e cosa l'avesse resa tanto apatica nei miei confronti col passare del tempo.
Cercai più volte di mettermi in contatto con Piero. Volevo che vedesse sua figlia. Ma il suo numero di casa suonava sempre a vuoto e il cellulare era sempre spento. Probabilmente aveva già cambiato numero per evitarmi. Mi preoccupavo del fatto che se fosse tornato pentito a cercarci non ci avrebbe trovato ed ero sicura che mia madre non gli avrebbe mai detto dove eravamo. Ovviamente le mie si rivelarono paure infondate.
Il primo anno con Erika non fu affatto facile. Ero ancora così giovane e inesperta. Avevo sempre solo dovuto pensare a me stessa, mentre ora avevo una neonata indifesa che dipendeva completamente da me. La zia si rivelò un prezioso aiuto nell'insegnarmi pazientemente tutte quelle piccole cose per le quali non si è preparati quando ci si ritrova alle prese con un bebè.
Tra poppate, sonnellini, ruttini, pianti isterici, mal di pancia, notti insonni e chi più ne ha più ne metta, il tempo passò in fretta.
I sorrisi e i piccoli gemiti di quel batuffolo rosa dai capelli dorati e gli occhi color mare, mi ripagavano di ogni sacrificio e di ogni fatica.
Quando Erika aveva dieci mesi, iniziai a lavorare in una panetteria del paese, quattro ore al giorno. Non trovavo giusto pesare sulla zia anche economicamente. E quello che riusciva a mandarmi mia madre non bastava per mantenere una bambina. Avrei voluto rendermi indipendente il prima possibile. Ma mia figlia era ancora troppo piccola e l'aiuto della zia mi era ancora troppo indispensabile. Lei ci ripeteva di non preoccuparci. Si era affezionata a quella piccola sempre allegra e sorridente. E le piaceva avere la nostra compagnia.
Passò un altro anno.
Nei pomeriggi di sole, mi piaceva portare la piccola Erika a passeggio. Seguivamo il sentiero che passava da dietro la casa della zia, fino ad arrivare a un piccolo laghetto circondato di vegetazione. Amavamo ascoltare gli uccellini cantare, raccogliere i fiori colorati e lanciare pezzi di pane alle anatre.
Fu in una di quelle passeggiate che incontrai per la prima volta Stefano.
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Un desiderio dentro al cuore
General FictionUna madre. Una figlia. Le difficoltà di un'età difficile. La mancanza di comunicazione. Un segreto, che le porterà a perdersi. Saranno in grado di ritrovarsi? "Un desiderio dentro al cuore" nasce dall'aspirazione di affrontare un tema spinoso come...