Parte 30 Erika 2015

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Una di fronte all'altra, tra di noi un tavolo che fa da appoggio a due tazze di tè e un piattino che ospita qualche biscotto dall'aria consumata, e il silenzio.

Lo zio è sparito insieme a Jay, convinto che io e la nonna avessimo bisogno di tempo per parlare da sole, forse dimenticando che non è esattamente la donna più loquace di questo mondo.

La casa è buia e cupa. Ha tutta l'aria di un posto rimasto senza vita da diversi anni. Mi chiedo come la nonna riesca a sopportare di restare a lungo in un ambiente così oscuro. Resisto a stento alla tentazione di alzarmi per andare ad aprire le tapparelle.

Da tempo incalcolabile la nonna ha lo sguardo fisso sul suo tè, forse nella speranza di trovare scritte sulla superficie di quell'acqua ambrata le parole giuste da dire a una nipote che non ha mai voluto conoscere per ben quindici anni.

Cerco di rompere il ghiaccio con una rassicurazione:

"Nonna. Stai tranquilla, non c'è bisogno che ti dai tanta pena per il passato. Non sono venuta qui alla ricerca di spiegazioni per la vostra assenza. C'è solo una cosa che vorrei chiederti..."

Ora i suoi occhi sono su di me. Ha l'aria inquieta di chi teme ciò che sta per sentire, ma attende in silenzio che io termini la frase.

"Vorrei sapere chi è mio padre" – la troppa carica emotiva mi tradisce, facendomi tremare la voce su queste ultime parole.

"Tuo padre? Vuoi dire che tua madre non ti ha detto niente?"

Inspiegabilmente l'istinto mi porta a voler difendere mia madre dalla critica insita nella sua frase.

"Credo che non volesse turbarmi troppo con una verità difficile da accettare"

"E perché vuoi che lo faccia io?"

"Be' in un certo senso credo che me lo devi... Non ti ho mai chiesto niente nonna. Questa è la prima e l'ultima cosa che mai ti chiederò. Ti prego, dimmi la verità su mio padre"

"Mia cara bambina. Cosa ti fa pensare che io sappia la verità su tuo padre?"

"Non lo so. Penso che dovrete pur averlo visto qualche volta!"

Mi rivolge un sorriso amaro, poi scuotendo la testa risponde:

"Povera bambina. Ti sbagli. Tua madre non ci ha mai presentato tuo padre..."

È evidente il risentimento ancora vivo nei confronti di mia madre, ma al momento decido di ignorarlo, troppo preoccupata di non riuscire a portare a termine la mia missione.

"Quindi non lo avete mai visto?"

"No, io non l'ho mai visto. Tuo nonno invece... Lui lo ha visto una volta..."

"Il nonno? Ma il nonno... Dov'è ora?"

"Lui non esce mai dalla sua stanza... E' molto malato."

"Nonna... Posso vederlo?"

"Non credo che sia una buona idea bambina mia. Tuo nonno ha un pessimo carattere e non sopporta la vista di nessuno. Tollera a malapena la televisione"

"Nonna, perdonami. Ma non ho fatto tutto questo viaggio per tornare a casa senza le informazioni di cui ho bisogno. Voglio vedere il nonno!"

E prima che lei possa rispondermi mi alzo e mi dirigo decisa verso il corridoio che suppongo porti alle camere da letto. Lei, forse ancora troppo turbata dagli eventi dell'ultima ora, non trova la forza di contrastarmi. Non si muove. Resta seduta e mi lascia esplorare la casa senza cercare di fermarmi.

Mi imbatto dapprima nel bagno e subito dopo in quella che deve essere stata la camera di mia mamma. Mi blocco sull'uscio della porta, ipnotizzata dalla vista del passato di mia madre. Un poster gigante della versione più giovane di Ricky Martin con la scritta "Living la vida loca", una pigna di CD che partono da terra e formano una torre di almeno mezzo metro, i peluche sul letto, il muro tappezzato di foto di una ragazza allegra e spensierata insieme a quella che doveva essere la sua migliore amica, nei posti più disparati. Mi colpisce il brio del suo sguardo e il sorriso a pieno volto... I suoi occhi hanno una luce che non le ho mai visto.

Che ne è stato della ragazza vivace e solare di queste foto? Quando si è trasformata nella donna fiacca e malinconica che conosco io?

Noto i suoi libri sulla scrivania e mi avvicino per sfogliarne qualcuno. Libri di scuola con qualche suo appunto scritto a matita, ne riconosco la calligrafia. Poi, nel rimetterli apposto, si divincola, dalla presa delle pagine tra cui era nascosto, un bigliettino piegato. Forse non dovrei, ma lo apro e leggo:

"Sei la cosa migliore che mi sia mai capitata nella vita. Grazie di esistere. P.M."

Un tuffo al cuore.

Sarà stato di mio padre? Pi. Emme. Per che cosa stanno queste iniziali? Paolo? Pasquale? Pietro? Emme come Motta?

D'istinto me lo infilo nei jeans, poi ricordandomi di qual è la mia destinazione torno sul corridoio per cercare mio nonno.

Non restano molte altre porte da aprire. Nella certezza di trovare il nonno dietro l'ultima porta in fondo al corridoio, busso due volte aspettando una risposta che non arriva.

Apro piano la porta e sbircio dentro senza fare troppo rumore in caso stesse dormendo. Il tanfo che esce dalla stanza mi travolge e per un attimo mi sento svenire. Poi lo vedo. Nel suo letto supino che fissa il soffitto finché una forte tosse gli sconquassa l'esile corpo giallognolo, culminando in un attacco di vomito. Richiudo la porta sconvolta da quella vista e dall'odore nauseabondo e corro a chiamare la nonna.

"Nonna, il nonno sta male! Devi venire!"

"Lascialo stare. Ha solo quel che si merita!"

"Ma ha vomitato!"

"Non vedo perché ti dovrebbe interessare!"

"Nonna ma..."

Mi sento come davanti a un muro. Non vale la pena continuare a discutere. Vado in cucina e prendo un secchio con uno strofinaccio. Non so se riuscirò a non dare di stomaco a mia volta avvicinandomi al letto, ma non posso lasciarlo così. La mia coscienza non me lo permette.

Mi avvicino senza che lui dica nulla. Nemmeno io so che dire, quindi mi limito a ripulire lo sporco e a chiedere al nonno se vuole essere cambiato.

Lui non risponde. Inizio ad aprire i cassetti del comò, consapevole che non dovrei frugare tra le cose degli altri, ma mi giustifico dicendomi che devo trovare un pigiama pulito. Riesco a recuperare qualcosa perché il nonno si cambi, ma non sono certa che lui abbia la forza di farlo da solo.

"Vuoi una mano?"

Continua a non rispondere. Si limita a osservarmi con attenzione.

Faccio per togliergli il pigiama, ma lui mi ferma afferrandomi per un polso.

"Lascia. Ci penso io, Erika" – mi dice con voce roca.

Sentirgli pronunciare il mio nome mi lascia senza fiato. 

Lui sa chi sono?

"Nonno" – dico con un affetto inaspettato e gli accarezzo la testa mentre lo guardo commossa, un po' per lo stato in cui si trova, ma soprattutto per il fatto che sa chi io sia. 

Un desiderio dentro al cuoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora