12. Simili

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«Melissa.» sussurra una voce nel mio orecchio.
Apro gli occhi ed è notte fonda. Sono di nuovo nello stadio e al mio fianco c'è Mirko.
«Merda, che ore sono?»
Mi alzo di scatto, mi prende il panico.
«Calma sono le 4.20, ma ho avvertito i tuoi amici.»
«Cioè?» sono sbigottita.
«Verso le 2.20 il tuo telefono ha iniziato a suonare, così ho risposto. Era un ragazzo, gli ho detto che eri con me e stavi dormendo, ovviamente ho evitato di specificare dove. Ti porto a casa io, ho la macchina al BarCollo.»
Accidenti al mio sonno profondo. Mirko ha davvero fatto ciò? Sono veramente colpita. So benissimo che i miei amici l'avranno insultato in tutte le maniere, eppure non l'ha neanche accennato, non ha perso il controllo nemmeno un secondo. Mi rendo conto di non conoscere per niente questo ragazzo, ma che sta notte è stata magica e tra noi c'era una chiarezza, una sintonia che raramente m'è capitato di trovare. Sbadiglio e mi stiro in questo prato senza fine. Mi alzo e guardo Mirko ancora seduto.
«Grazie.»
Si stiracchia anche lui e mi regala un sorriso dolce, che anche nella luce flebile della luna brilla intensamente. Poi finalmente si alza e si mette di fronte a me, continuando a guardarmi.
«Sei un tipo strano.» ammetto, un po' a tutti e due.
«Come mai?»
«Sembri uno sfacciato, che fa ubriacare le ragazze e se le porta a letto. Eppure non hai provato a sfiorarmi, se non con dei baci.» spiego cercando di non apparire ridicola. Ridacchia e scuote la testa, poi risolleva lo sguardo su di me.
«E vogliamo parlare di te? Una Barbie che non vuole essere chiamata Barbie e che fa cose illegali.»
Non avevo guardato la storia dal suo punto di vista, e si, dovevo essergli parsa strana forte anche io. Sorrido, e incastro gli occhi con i suoi.
«Siamo più simili di quanto crediamo, in fondo.» do voce ai miei pensieri.
Mirko si avvicina a me e come la sera prima, mi prende il mento tra le mani e mi da un bacio. Questa volta però è più lento, prolungato, goduto, assaporato. Non ha più bisogno degli effetti alcolici. Ci stringiamo l'un l'altro, per un breve momento.
«Andiamo?» mi chiede porgendomi una mano. La afferro senza indugio e proseguiamo per gli spogliatoi e poi fuori dallo stadio. È tutto esattamente come l'abbiamo lasciato, al nostro arrivo. Nella strada incontriamo solo un signore con il cane. Raggiungiamo il BarCollo, ancora aperto come sempre e le sempre meno persone al suo interno. Solo gli svitati e i disperati rimangono nei locali fino a chiusura, e spesso non si distinguono gli uni dagli altri. Mirko apre una piccola Panda sgangherata, più distrutta che altro.
«Almeno ho una macchina.» commenta, notando il mio sguardo straniato. Non ci penso molto a saltar su.
«Dove ti porto?»
Gli do l'indirizzo di mia cugina Marta, che abita all'inizio della via, mentre casa mia è qualche isolato più giù, ma non mi sento ancora così fiduciosa da farglielo sapere. Annuisce e mette in moto. Le strade sono deserte, i semafori inutili. Mirko non ci pensa due volte e li attraversa senza guardare, senza rallentare. Ha tirato giù tutti i finestrini così i miei capelli stanno danzando nel vento.
«Quanti anni hai?» chiedo d'istinto a colui che continuo a non conoscere.
«22.» risponde lui. Glieli avrei dati tutti, magari uno in più.
«Quindi hai bell'e finita la scuola.»
«Non ci sono più andato, da quando avevo 18 anni.» risponde ridacchiando.
«Perché?»
Risponde con un'alzata di spalle.
«Non parli molto di te eh?»
«Nemmeno te.»
Rimaniamo in silenzio il resto del viaggio, ma è uno di quei silenzi in cui la tua mente dilaga, hai spazio per i tuoi ragionamenti, mentre l'imbarazzo non passa neanche nell'anticamera del cervello. Mi sento a mio agio, nonostante continuo a non conoscere il ragazzo alla guida. Torno sulla terra, quando la macchina frena e intravedo le tende rosse della casa di mia cugina. Inizio ad aprire la portiera e mi ritrovo con la bocca secca, non so cosa dire. Devo salutarlo, ma cosa dico? Ci rivedremo mai?
«Allora, ciao Mirko. È stato bello conoscerti.»
D'altra parte io e lui non ci vedremo più, primo perché abbiamo chiarito che questa avventura è stata di una notte, secondo non va nemmeno alla mia scuola. Per quante possibilità razionali o non, potrebbero esserci di riincontrarlo, sento in cuor mio che questo è un addio. E ciò che mi spaventa è che ne sono dispiaciuta. Lui mi offre un ultimo prezioso sorriso, a cui vorrei fare una fotografia, da rigirarmi tra le mani, nelle giornate di pioggia.
«Ciao meraviglia.»
Scendo dall'auto, fingo di avviarmi al cencellino della casa davanti a noi e aspetto finché l'auto scompare dietro l'angolo. A quel punto percorro il viale, mentre recupero il cellulare e, ignorando molteplici messaggi e chiamate, apro la fotocamera interna per darmi un'occhiata. Mi sorprendo nel scoprire che sono ancora ordinata, il trucco è solo un po' sbavato, i capelli mossi. Ma ne l'alcol, ne la dormita nell'erba mi hanno sciupata, anzi sembro quasi nutrita da nuova forza. La stessa nuova forza che raccolgo in me ora, per varcare quella porta di legno verniciato, presentatasi dinnanzi a me e per affrontare le conseguenze di un altro sbaglio. Uno sbaglio per le persone intorno a me, ma non per me. Ed è questo quello che conta davvero.

Tutti pazzi di leiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora