23. Luce

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Sto così bene sotto le mie coperte blu, mentre i miei amici sono a scuola. Immagino Tomma alzare la mano per rispondere a tutte le domande, Bea che scrive con la sua calligrafia piccola e rapida, Marc che gioca a basket e si toglie la maglietta ad ogni canestro, Fred che studia con quella sua mania di disegnare cerchi sui libri, Mirko che sorride nel suo modo dolce. La mia vita è costituita dalle persone, io la carne e loro le ossa. Nel tepore ripenso alla giornata di ieri, a come sono partita potente e ne sono uscita sfinita. Non che il gesto di Bea in sé mia abbia scioccata, ero pronta a tutto e avrei lottato sempre per lei, ma è bastata quella frase a cambiare tutto. Perché? Perché lei sa esattamente cosa significhino quelle parole per me: i mesi di depressione, poi quelli di follia, fino al tentativo, anche se involontario, di suicidio. Mi chiedo se è questo che voglia davvero, che io mi faccia del male. Il telefono vibra sul comodino per la quarta volta, da quando ho deciso di svegliarmi, ma non di uscire. Lo prendo in mano esasperata e leggo le domande tutte uguali dei miei amici, sul fatto che io non sia a scuola. Mentre scorro e decido di ignorarli, per una volta, il telefono prende a squillare: un numero sconosciuto che termina per 200. Saranno le solite vendite dell'Adsl, ma ho voglia di insultare qualcuno in questo momento.
«Pronto.» rispondo prolungando le vocali, con il tono più annoiato che possa a riuscirmi.
«Ciao sono Mirko.»
Il cuore perde un battito.
«Mirko...quello?» mi ricompongo immediatamente.
«Mirko quello.» ridacchia.
«Ehi, sono felice di sentirti.»
«Ti penso spesso sai?»
Anche io, ma non mi abbasseró mai ad ammetterlo.
«Si?»
Il modo migliore per sviare una domanda.
«Quando ci vediamo?»
Mirko ha tutte le qualità che ho sempre cercato in un ragazzo, tra cui l'essere diretto.
«Per me è uguale.»
«Benissimo, domani all'uscita di scuola.»
E così come comparso, svanisce, riattaccando.
Domani all'uscita? Lui sa dove vado a scuola, sa a che ora esco?
Domani verrà a prendermi? O solo a salutarmi? E come dovrei comportarmi?
Decido di mettere fine a queste domande da ragazzina immatura. Mi alzo e infilo la prima tuta che trovo, nike, i capelli legati in una treccia alla buona ed esco. Compongo rapidamente un numero e chiamo.
«Zia, ciao sono Melissa.»
«Ciao tesoro!»
«Vasco è a casa?»
«Certo, lo porti fuori?»
«Sto arrivando.»
Raggiungo la fine del viale e di fronte alla graziosa casetta della zia non posso fare a meno di ricordare la sera in cui Mirko mi ha riportato a "casa". Quel saluto temuto, sospeso. Perché in realtà entrambi sapevamo che salutarci era l'ultima cosa che volevamo fare.
Vasco da Gama è un grosso golden retriver, dal pelo lungo e morbido. Ormai chiamare i cani con il nome di personaggi famosi è una tradizione di tutta la famiglia Ravasi. Ricordo ancora come fosse ieri quando è morta Elisabetta II, la mia dolce cagnolina travolta da un auto. Da quel momento di cani in casa non ce ne sono più stati perché non vogliamo soffrire di nuovo il vuoto lasciato da quella creaturina dagli occhi grandi. Vasco è il mio vero migliore amico, da quattro anni. È l'unico che ascolta senza interrompere, l'unico a cui potrei dire di essere incinta di un transessuale senza essere giudicata, ne tantomeno ricevere domande scomode, o riceverle in generale se è per questo. Eppure io percepisco che lui capisce e che mi da pure consigli, lo so da come si comporta, da dove fa i suoi bisogni, da come mi riporta la pallina.
«Vieni ciccione!» lo chiamo aprendo il cancellino perché mi segua.
Dopo il classico rito d'accoglienza, che solo un vero amico può fare, allaccio il guinzaglio e ci avviamo al parco. Lo libero nel grande prato dove di solito gli lancio la palla e lui me la riporta, come fosse un trofeo d'oro.
Mi trovo una panchina e mi accascio di traverso, appoggiando le gambe sullo schienale. Osservo Vasco che corre nell'erba, fermandosi ogni tanto ad annusare sotto questo albero, poi sotto quell'altro. Sembra una coreografia, nulla viene lasciato al caso. Bastano pochi minuti perché cada nel sonno, con ancora l'immagine del cagnone bianco riflessa negli occhi.

°°°

Non mi sembra di aver sonnecchiato molto. Insomma mi pare di essere qua da qualche secondo, nel dormiveglia. Eppure ho la strana sensazione di aver sbagliato qualcosa. Apro gli occhi e mi assale il panico nel non vedere più Vasco nei paraggi. È sempre stato ubbidiente, ma vedo l'ora e mi rendo conto di aver dormito per mezz'ora su quella panchina, perciò in questo momento può essere ovunque. Mi alzo e inizio a correre in lungo e in largo, probabilmente sembrerò una psicopatica da fuori, ma non mi interessa, devo trovare Vasco.
«Vasco, Vas! Vaaasco!»
Una signora con una borsa della spesa sotto braccio mi studia incuriosita, una vecchietta si volta rapidamente, forse spaventata dalla mia voce. Maledizione!
Sono talmente disperata, mentre mi siedo sull'ultima panchina del parco, dopo aver percorso almeno quattro volte l'intero parco, che non mi rendo conto di Vasco sdraiato in un aiuola, mentre qualcuno gli accarezza il collo.
Quando me ne accorgo salto in piedi e corro da lui.
«Vasco, stupido cane, idiota, no! Perché sei scappato? No! Non di fa!»
Le mie mani però non riescono ad essere coerenti con la voce, tant'è che abbraccio quell'enorme ammasso di peli, mentre mi lecca la faccia.
«Hai dormito abbastanza?»
La voce che mi schernisce mi ricorda di quel qualcuno che stava accarezzando Vasco. Alzo lo sguardo e mi pare di avere una visione: un ragazzo biondo, dagli occhi straordinariamente chiari mi scruta, con un sorrisetto.
«Io si, tu?» ribatto con un sorriso finto. Sarai anche bello quanto vuoi, ma non mi lascerò prendere in giro.
«Si, ma a casa mia dormo molto meglio.»
Ritorno a guardarlo infastidita, ma chi si crede di essere.
«Dai sto scherzando, il tuo cagnone si annoiava così gli ho fatto fare un giro. Te l'avrei riportato subito. Cosa ci fa una ragazza in giro a quest'ora? Non dovresti essere a scuola?»
Parla rapido, con una voce squillante, fresca e piacevole.
«Potrei chiederti la stessa cosa.»
Mi sollevo ed inizio ad incamminarmi per il parco.
«Abbiamo qualcosa in comune.» sorride ed inevitabilmente lo imito, perché è come se illuminasse ogni cosa nel raggio di dieci metri.
«Dai vieni con me!» esclama come preso da una dimenticanza e, afferrata la mia mano, mi trascina in una corsa.

Tutti pazzi di leiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora