8. Work hard

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Il mercoledì è uno di quei giorni in cui non ho nemmeno un minuto per rilassarmi.
L'ultima ora di chimica mi ha messo poca voglia di vivere addosso, così mi trascino dalla gang, fingendo di ascoltare i discorsi tra Luk e Rik sulla nuova Audi.
Tomma, che bello vederlo. Ci abbracciamo e gli sorrido sinceramente. Tomma è una persona speciale per me, è il mio migliore amico, ma che è anche di più. Sento che tra noi c'è sempre stata una sintonia fuori dal comune, una chimica, un magnetismo. Siamo tirati l'uno dall'altro. Come le lancette dell'orologio, che una insegue l'altra, all'infinito, con un ordine ed un equilibrio, senza mai sovrapporsi o spingersi.
«Ho parlato con Simona, la cugina di Paola.» mi informa.
«E?» gli chiedo cercando i suoi occhi.
«Ha detto che non ha visto Paola tutta l'estate e che lei e la sua famiglia non sono stati a casa.»
La famiglia di Paola non è proprio il massimo che si possa trovare. Suo padre ha passato diversi anni della sua vita in carcere, sua madre ha avuto problemi con la droga. Ha un fratello più grande che è scappato di casa a sedici anni.
L'anno scorso sapevo che i genitori avevano deciso di riprendere in mano le redini ed aggiustare le cose, ma non so in quale modo.
«Dobbiamo andare a casa sua un giorno.» decido in questo momento. È l'unica soluzione per riuscire a capire fino in fondo quale sia la situazione.
«Ok, andremo io e te.»
Annuisco, mentre raggiungiamo il parcheggio e mi siedo sulla Mom.
Tomma mi si avvicina e mi apre le gambe per mettersi in mezzo e abbracciarmi.
«Questa settimana andiamo a mangiare messicano, nel posto che abbiamo scoperto. Solo noi due.»
Sorrido a questa sua proposta, perché è magnifico lui ed è magnifico avere lui vicino.
Il mio telefono inizia a squillare e sullo schermo compare il nome di Andrea.
«Oh uno spasimante ti cerca, my lady. Io scappo.» scherza lui leggendo il contatto.
«Che stress, spero solo non mi chieda di uscire.» dico facendolo ridere.
Bacio sulle guance Tomma e rimango sola sulla moto. Rispondo dopo almeno mezzo minuto.
«Si?»
«Ciao Meli! Tutto bene?»
Mai stata meglio.
«Bene tu?»
«Molto! Sono stato benissimo ieri sera, sai?»
Ecco ci siamo, ora cosa faccio? Sto sul vago?
«Hm hm, anch'io mi sono divertita.»
Perfetto, l'istinto ha fatto meglio che poteva. Mi sono divertita, e con gli amici ci si diverte. CON GLI AMICI.
«Mi chiedevo se un giorno di questi passo a prenderti dopo scuola e pranziamo insieme.»
Non ha colto i segnali, ora l'unica cosa che rimane da fare è essere sfacciati. Irrimediabilmente sfacciati.
«Mi stai chiedendo di uscire Andre?» chiedo monotono.
Dopo una piccola esitazione risponde: «Si Meli, è un appuntamento.»
«Ah...» dico semplicemente.
«Sai dopo ieri, credevo fosse d'obbligo.» ridacchia.
«Veramente no, ci siamo divertiti, ma io non voglio storie.»
È brutale trattare così le persone, ma di solito sono le ragazze ad illudersi dopo una serata, non i ragazzi. Con me non c'è questo pericolo, ma spesso capita proprio a loro.
Così aggiungo: «Ma per un pranzo tra amici se ne può parlare!»
«Va bene... ehm... Mi dispiace Melissa, non me l'aspettavo. Comunque chiamami te per il pranzo! Sai non voglio essere di disturbo.»
Lo percepisco titubante dalla voce, un po' ferito forse.
«Non sei di disturbo Andre! Ci sentiamo presto. Ciao.»
«Certo, ciao Meli.»
Questo è quello che mi succede si e no una volta alla settimana.
Tiro un lungo sospiro di sollievo mentre salto giù dalla Mom e infilo il telefono in tasca.
«Tu guidi quel coso?!»
Chi può essere se non Edoardo-che-io-chiamo-Leonardo?
Ridacchio e lo fisso con aria di sfida mentre infilo il casco.
«Sei una sorpresa dietro l'altra.»
«Lo prendo come un complimento!»
Scuote la testa sorridendo.
«Non sono ancora sicuro che lo sia, ciao Melissa la cestista!»
«Ciao Edoardo detto Leonardo.»
Ridiamo insieme di questo scambio ridicolo di battute, poi metto in moto e dopo un esoso rombo del motore, sfreccio davanti a Edoardo e mi avvio a casa.

°°°

Nel pomeriggio ho dovuto studiare come una matta, ma ora ho una seduta di palestra, perciò abbandono trionfante i libri e mi dedico alla ricerca di un completino sportivo. Trovo il classico pantaloncini neri e top azzurro firmato Nike, mentre sopra infilo tuta e felpa.
Alle 6 esatte sono davanti alla FitDream, entro e saluto Monica, la segretaria che mi schiaccia un occhio. Poi passo per la sala macchine e cerco Omar con lo sguardo.
Impossibile non notarlo: un titano, una montagna di muscoli abbronzatissimi.
«Omar.» lo chiamo semplicemente.
«Issa!» mi saluta come sempre.
Il primo giorno che sono arrivata qua, Monica mi ha presentato il mio personal trainer, Omar che in quel momento stava sollevando almeno 70 chili con un gamba attaccato ad un macchinario. Quando ho detto il mio nome è stato coperto dal rumore del macchinario lasciando udibile solo Issa. Da quel momento per Omar sono Issa.
Si avvicina per tirarmi un buffetto alla guancia e a quel punto gli sorrido.
È un uomo imponente, sulla quarantina, che visto con un paio di occhiali da sole, incuterebbe timore. Ma nei suoi occhi si legge tutta la dolcezza che ha un padre verso i suoi figli e lui guarda ogni persona così. Per questo è un po' un secondo padre per me.
«Cosa facciamo oggi?» chiede mentre sistema due bilancieri.
«Non so. Guardiamo in tabella?» dico sorridendo.
Omar prende un foglio ben piegato nella sua agenda e me lo passa.
Inarco un sopracciglio leggendo il programma e passo il foglio al grande uomo di fronte a me.
«Forza parte superiore principessa!» esclama dopo averlo letto.

Tutti pazzi di leiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora