15. Incompresa

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Oggi devo parlare con Marc. Devo capire cosa gli è preso sabato, cosa ci faceva in giro alle 4. Ma devo farlo senza dirgli esplicitamente di Bea, il che renderà le cose più difficili. Lascio la Mom al solito posto e noto che la moto di Rik è già parcheggiata. Tolgo il casco e infilo un cappello, la migliore soluzione per sistemarmi i capelli. Raggiungo il cortile, dove posso già intravedere le spalle definite di Tomma.
«Ehi...» lo saluto, mentre è di schiena, cosicché si gira e mi abbraccia.
«Come stai, peste?»
«Mi ha chiamato così anche mio padre.» ridacchio.
Scuote la testa con un sorrisetto.
«Tu?»
«Abbastanza bene, oggi ho già una verifica.»
Andiamo avanti a chiacchierare di scuola o di persone, quando vedo Marc e Giorgia raggiungerci. Giorgia è particolarmente strana in questi giorni, dopo la conversazione al telefono che ho sentito, è molto silenziosa. Vorrei poterle parlare, ma non saprei da che parte cominciare.
«Marc, mi accompagni in palestra?»
Credo sia la scusa migliore, per non dare nell'occhio o cose simili.
«Ma non hai motoria oggi.»
Merda. Come fa? Non mi ricordo nemmeno io le mie materie.
«Ho dimenticato una cosa.» butto lì, ricevendo il suo consenso.
Ci incamminiamo fianco a fianco.
«Cosa ti è preso?»
«In che senso?»
«È da sabato che mi ignori completamente.»
Non solleva lo sguardo su di me e non ha alcuna reazione.
«Sono un po' arrabbiato con te, tutto qua.»
«Perché ho passato una notte incredibile? Perché mi sono divertita sul serio?»
Si gira rapidamente e sembra incenerirmi con gli occhi.
«Ti diverti a scopare con il primo che passa? Per di più senza avvertire chi ti stava aspettando.»
«Non ho scopato proprio con nessuno. E non mi sembri comunque la persona che è nella posizione di potermi giudicare per un cosa simile!» alzo la voce.
Scuote la testa e torna a guardare il suolo.
«Marco, per favore, sei uno dei migliori amici che ho. Ho sbagliato a non avvertirvi, a perdere il senso del tempo. Me ne pento e vi chiedo scusa, ma non lo faccio per aver scelto con chi passare una notte.»
«Ti piace lui?»
Mi viene un colpo al cuore a questa domanda. Lo conosco appena, sono stata tremendamente bene, ma si trattava dello stadio deserto, della volta celeste. Lui è stato un architetto pazzesco di quella che è stata una nottata di avventura.
«Non ci rivedremo più.» gli confido, con un sospiro, anche se nella testa insistono quei grandi occhi azzurri, che riflettono la luna. Anche Marc mi imita e osservo i nervi del collo tornare distesi e rilassati.
«Scusa, Barbie. Ci tengo molto a te, non so cosa mi farei se ti succedesse qualcosa di brutto.» dice con gli occhi di nuovo rivolti a me, con quel loro azzurro semplice e limpido, come una gemma preziosa. Mi prende tra le braccia e arrivo a sentire il suo cuore battere.


°°°

«Ehi.»
Alzo lo sguardo e riconosco Edoardo con quell'enigmatico sorrisetto sulle labbra. Era dalla vicenda della pizza che non lo vedevo. Continuo a cercare di programmare la fotocopiatrice della scuola, mentre lo saluto:
«Ciao.»
«Ce l'hai con me o mi reputi solo gay?» chiede con una smorfia.
«Non sei gay, hai pure la ragazza.» ammetto con un sorriso.
«E scusa per la pizza, è un periodo... strano.» aggiungo, veramente risentita. So che ciò che mi ha detto Edoardo riguardo al suo giudizio di me, mi ha fatto male, ma non avrei mai dovuto reagire così.
«Tranquilla, è stato.. scenografico, direi.»
«Spero di non averti fatto fare brutta figura con la bionda.» scherzo con un occhiolino.
«Non ce n'è pericolo. Stiamo insieme da tre anni, non c'è più niente che possa spaventarla.» spiega con una risata.
«Wow!» esclamo, sono veramente stupita da questa dichiarazione. Che tipo è davvero Edoardo?
«Ah e ora ti odia.» aggiunge continuando con quella bella risata, che contiene tutta la tenerezza del pianeta. È così misterioso questo ragazzo, ogni gesto contiene un contrasto: innocenza e malizia. Rido anch'io, immaginandomi la bionda arrabbiata.
«È molto bella.» ammetto, con grande fatica.
«Mai quanto te.»
Cosa? Rimango con quel maledetto foglio che dovrei fotocopiare, mentre quella frase rimbomba nel mio cervello. Alzo gli occhi rapidamente su Edoardo. È serio, il che mi spaventa terribilmente, ma prima che possa reagire, abbassa un sopracciglio e scoppia in una risatina. Gli lancio accartocciata l'ennesima fotocopia uscita storta e gli urlo: «Stronzo!»
«Basta basta! Meli!» si difende dalle altre bombe di carta che continuo a lasciargli. Mi blocco al sentire come mi ha chiamata.
«Fai lo stronzo e ti prendi anche la libertà di chiamarmi Meli?» lo provoco seria.

«Veramente sono venuto a chiederti scusa. Insomma sai, per le cose che ti ho detto l'altro giorno. Non volevo giudicarti così, solo che vedendoti da fuori dai quell'idea e a me da fastidio... Perché... sei una ragazza brillante, bella e piena di doti, non dovresti sprecarti in questo modo, ecco.»
Sono un po' disorientata. Un giorno mi insulta, un altro mi fa complimenti. Mi dice che sono bellissima e poi ride come fosse una battuta.
«Io non sono quella che pensi e non sai praticamente nulla di me.»
«È vero, ma sono molto sensibile riguardo alle persone. Melissa, è un consiglio il mio, da amico.»
«Va bene.»
Non va bene. Anche per dare consigli bisogna conoscere a fondo una persona, non vale azzardare.
Lui si allontana di qualche passo e prima di uscire dall'aula d'informatica mi saluta: «Ci vediamo Meli.»
Scuoto la testa, scossa io stessa.
«Ciao Edoardo.»


Tutti pazzi di leiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora