20. Un enigma

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Apro gli occhi e c'è una luce che mi acceca. Li richiudo e riapro qualche volta, ma dare forma a ciò che c'è intorno a me è davvero difficile. Sento fresco sotto la schiena, mentre la testa è posata su qualcosa di morbido. Alzo lo sguardo e riconosco una gamba, la gamba di Dan che è a sua volta sdraiato su Tomma e così andando, in un groviglio umano nel bel mezzo del prato. Mi sollevo a sedere, immediatamente la testa si fa pesante e lo stomaco si lamenta. Che disagio. Ma cosa è successo ieri sera? Ho pochi e vaghi ricordi, che si fermano tutte più o meno a Marc. Poi c'è una lunga voragine buia, con qualche frastaglio di luce qua e là. Cerco di alzarmi da terra, ricacciando giù i conati di vomito. Credo di essere conciata davvero molto male, ma non ho tempo di controllarmi:
devo trovare mia sorella, accertarmi che stia bene, dopodiché sarò libera di trovarmi un angolino felice dove vomitare e purificarmi per bene. Siamo nel giardino della grande villa, ma Giorgia non è qua fuori, così decido di entrare. Nel salone c'è gente che dorme sopra, sotto il tavolo, sulle scale. Riconosco alcuni volti, vagamente famigliari mentre cerco di non pestare o svegliare qualcuno. Ridacchio mentalmente a questa situazione. Trovo Giorgia e Gaia che dormono beate su uno dei divani: sembrano anche piuttosto pulite ed ordinate, chissà che non abbiano bevuto come tutti noi altri. Tolto questo peso, trovo un bagno e mi sciacquo la faccia, cercando di darmi l'aspetto migliore possibile al momento. Raccolti i capelli in una coda sbrigativa, torno in sala. Improvvisamente sento dei passi fuori, magari qualcuno che si è svegliato, così esco dalla porta.
«E tu cosa ci fai qua?» mi esce spontaneo di fronte al ragazzo.
Edoardo sta fumando una sigaretta appoggiato alla parete della casa, è vestito elegante e ha i capelli un po' scompigliati. A quelle parole solleva lo sguardo e i suoi occhi profondi si fermano su di me.
«Non ti ricordi niente?» ridacchia scuotendo la testa.
«No, perché?»
«Mi hai chiesto aiuto ieri sera, tu e il tuo amico non vi reggevate più in piedi.» racconta con un ghigno.
«Te l'eri appena fatto?»
«Ma cosa ti salta in mente! Sei fissato con questo storia, Edo. È uno dei miei migliori amici e io NON mi faccio tutti!» alzo la voce e fremo dalla rabbia, come più o meno ogni volta che parlo con lui.
«Va bene, va bene. Rilassati. L'ho detto solo perché sembravate... intimi, ecco.»
Apprezzo che stia cercando di giustificarsi, ma non può continuare a credere queste cose riguardo al mio conto. Io non sono così, e sento l'immenso bisogno che lui lo capisca. Non perché mi interessi il suo parere, a me non interessa quello di nessuno, ma per qualche assurda ragione, mi da fastidio che lui creda una cosa simile.
«Ascolta, sono andata a letto in totale con due ragazzi e basta.» butto fuori tutto d'un fiato.
Lui si acciglia per qualche secondo e torna a fissarmi con un ghignetto sulla bocca.
«Perché me lo dici?»
«Perché per capire che non sono quella che credi devi conoscermi. Quindi da ora ti impegnerai a farlo.» dichiaro guardandolo con aria di sfida. Lui si apre in un sorriso semplice e genuino, troppo bello per essere mattina, dopo una notte come quella passata.
«D'accordo casinista.»
Mi tira una pacchetta sulla testa e ridacchiamo insieme. Inutile evitare di fissargli le labbra socchiuse, corniciate da due deliziose fossette, mentre cerca di parlare con la sigaretta in bocca. Solo io sono un disastro la mattina?
«La bionda ti lascia andare a questo genere di feste?» chiedo sfilandogli le sigarette dalla tasca rapidamente e guadagnandomi un'occhiataccia.
«Si, non ha di che preoccuparsi con me.» dice convinto mentre mi accende la sigaretta con l'accendino.
«Sentitelo!» esclamo «Sembri mio zio!»
«Tuo zio?»
«È prete.» dico buttando fuori il fumo.
Ride leggermente e si riappoggia alla parete di casa.
«Vuoi venire a fare colazione?»
Rimango allibita a questa domanda, ma in fondo l'idea di una brioche o una ciambella mi alletta parecchio. Devo cercare di coprire l'alcol che spinge le pareti del mio fegato. Annuisco prontamente e gli faccio cenno di aspettare, mentre cerco il cappotto e telefono, abbandonati per la casa.
«Vieni ho l'auto.»
Lo seguo e rimango a bocca aperta davanti alla sua Land Rover bianca. Butto il mozzicone a terra.
«Carina la macchina.» ridacchio salendo. Il viaggio è breve e silenzioso, non sento la necessità di parlare con Edoardo. Parcheggia ad una pasticceria e mi invita a scendere.
«Spero che alle 7.30 di domenica mattina non ci sia in giro nessuno che conosco.»
«Perché?»
«Guarda come sono conciata!»
Cerco di sistemarmi la coda specchiandomi nel finestrino dell'auto, ma i capelli sparano da tutte le parti e mi sento uno di quegli scienziati pazzi dei cartoni animati.
«Dai vai benissimo, basta che muovi il culo.»
Sbuffo rumorosamente e lo seguo nel locale. Ci sediamo ad un tavolino ed ordiniamo due brioches.
«La tua bionda non si incazzerà per questo?» chiedo incuriosita.
«Non lo saprà.»
«Oh finalmente il nostro prete si sblocca e azzarda addirittura una bugia!» scherzo imitando il saluto degli imperatori e alzando forse un po' troppo la voce. Un cameriere piuttosto giovane osserva la scena da dietro il bancone. Edo ride e mi tira giù le mani, cercando di farmi star zitta.
«Non dico bugie, semplicemente non le dico niente.»
«Edo, ora ti farò una domanda. Devi rispondere sinceramente, altrimenti paghi anche la mia brioche.»
«Va bene.» risponde con un'alzata di spalle e un ghigno.
«Perché parli e ti avvicini a me?»
I suoi occhi scuri s'incatenano con i miei e sembra che parlino da soli.
«Meli tu sei...tu sei tu.» inizia ridacchiando «Insomma sei un libro aperto, ma scritto in un'altra lingua.»
Lo guardo assumendo un'espressione straniata. Non riesco a capire questo paragone.
«Sei fuori di testa e assolutamente socievole con tutti, ma per capirti bisogna scavare molto più a fondo, sei.. un enigma per me.»
«E mi diverto con te.» aggiunge con un occhiolino.

Spazio Æmis
Ciao,

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