Levi (27)

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Era normale che, da quando non voleva nemmeno provarci, fossero arrivati addirittura a tre volte in un solo giorno? Anzi, sembrava quasi che si fosse completamente trasformato. Nella doccia lo aveva provocato di proposito, e lui non aveva potuto fare a meno di rispondere, anche se aveva pensato di non dover esagerare.
«Ti va se...»
Si girò e lo trovò sdraiato sul letto, a pancia in giù, intento a fissare il telefono con aria assonnata.
«Cosa?»
«Nulla», mormorò, recuperando una maglia dall'armadio.
«E dai, quanto odio quando qualcuno non finisce le frasi», brontolò lui.
«Ti va di fare un giro? Tanto non abbiamo nulla da fare ora, giusto?»
Lui sorrise e fece per alzarsi, ma appena si mise in piedi perse l'equilibrio e cadde rovinosamente a terra.
Un gemito di dolore gli sfuggì dalle labbra. L'altro si affrettò a soccorrerlo, aiutandolo a rimettersi a letto.
«Ecco perché non ho finito la frase», gli fece notare con un sorrisetto.
Il rossore gli colorò il volto, e si tirò le lenzuola fin sopra le orecchie.
Dopo tre volte, e per la prima volta, era normale che le sue anche non reggessero. Ma soprattutto doveva essere sfinito, dopo essersi preso cura di lui con tanto trasporto. Non era proprio il caso che si muovesse.
«Ti è passata la febbre?»
«Penso proprio di sì, moccioso. Ho avuto un bel toccasana oggi», lo punzecchiò.
«Non sei più arrabbiato?» domandò preoccupato.
Che domanda era? Cosa gli prendeva, tutto d'un tratto?
«Certo che lo sono», rispose secco.
«E allora perché lo hai fatto?»
Si voltò a guardarlo negli occhi.
«Ti senti bene?»
«Sì, perché?»
«Stavo scherzando. Che domande fai?» ora Levi era di nuovo preoccupato.
Lo osservò ancora, sentendo il nervoso salire, possibile che ancora doveva giustificarsi con lui?
«Se proprio non mi credi, resta qui quanto vuoi», lo sfidò.
«N-non volevo dire q-questo...»
Sospirò, chiuse l'anta dell'armadio e si sedette accanto a lui. Voleva quasi dirgliene quattro ma sapeva di dover pazientare un po' prima di scatenare l'ennesima lite o un altro muro fra di loro.
«Mi fa male», si lamentò l'altro.
«È colpa tua. Come prima volta, ci sei andato pesante», rispose, infilandosi sotto le coperte con lui.
«Io? Guarda che sei tu che...» Si bloccò di colpo e si girò dall'altro lato. «Sei sleale», borbottò.
Una risata spontanea gli sfuggì, ma la represse subito quando l'altro si voltò a guardarlo, sorpreso.
«Che c'è?» fece finta di nulla.
«Allora anche tu ridi», commentò lui con un sorriso.
Si incupì, incrociando le braccia.
«Ti sto solo prendendo in giro. Non c'è nulla di strano nel dire "sei tu che mi penetri"», scandì lentamente all'orecchio dell'altro.
Lo sentì irrigidirsi. Provò ad allontanarsi, ma lo trattenne vicino, giocando con il suo orecchio. Tremava, agitandosi fra le sue braccia.
Era adorabile, ai limiti dell'incomprensibile. Avrebbe potuto farlo suo molto più di tre volte al giorno.
«Sei volgare», borbottò l'altro.
«Oppure sei tu che ti scandalizzi un po' troppo. Però poi, sotto la doccia, mi...»
Una mano gli coprì la bocca di scatto, il viso dell'altro a pochi centimetri dal suo, completamente in imbarazzo.
Borbotto qualcosa di incomprensibile e si accoccolò contro di lui.
Levi infilò una mano nei boxer dell'altro e strinse la carne soda delle sue natiche, tirandolo ancora più vicino. Si sentì circondare le spalle da un abbraccio.
Giocò con quelle curve divine per un tempo che sembrò infinito.
«I miei glutei reclamano», mormorò l'altro, interrompendo il silenzio.
«Lasciali reclamare».
«Levi! Mi stai facendo ancora più male».
Sospirò e smise subito.
Cominciò a massaggiargli delicatamente la schiena e lo sentì rilassarsi a poco a poco.
«Lo chiamavano Levi mani di fata», sussurrò l'altro, baciandogli il mento.
Si sentì come se gli stessero iniettando zucchero nelle vene. Ogni suo gesto sembrava di una dolcezza infinita, eppure non gli dava fastidio, lo trovava in forte contrasto ma apprezzava ogni cosa di Eren.
Sobbalzò appena passò su un punto poco sopra il sedere e lo sentì trattenere il respiro.
«Hai fame?» chiese, accarezzandolo ancora nello stesso punto.
«Molto», rispose a denti stretti.
«Cosa ti va di mangiare?»
«Pizza», rispose, fermandogli le mani. «Basta, mi fa male» lo guardò torvo.
Non capiva perché ma non era il momento di approfondire.
«Qualcosa di più sano?»
«Andiamo, non l'hai mai mangiata una pizza?»
«Anche troppe volte».
«Con me mai, quindi mangiamo la pizza».
Lo afferrò prima che si alzasse di colpo e lo prese di peso, portandolo sul divano.
«Non sono un invalido», protestò l'altro, poggiandogli un gomito sulla schiena.
«È meglio che non ti muova troppo».
«Sei troppo premuroso, stasera», lo scrutò.
«Non direi, visto come sei ridotto» sorrise nuovamente sornione.
L'altro gli lanciò un'occhiata assassina. «Che pizza ti piace?»
«Porcini e patate». rispose subito e ottenne lo sguardo di Eren che si aspettava.
«I Porcini sono amari certo, ma le patate? Non sono troppo "caloriche"» lo prese in giro mentre si alzava dal divano lentamente e recuperava il suo telefono sul mobile del salotto.
Levi di tutta risposta lo ignorò totalmente, ammirando il suo corpo asciutto che convergeva nei boxer verdi attillati che non gli facilitavano certo la connessione neuroni bocca.
«Perché mi fissi?» chiese mentre ormai aveva avviato la chiamata.
«Vestiti» disse soltanto.
«I miei vestiti sono ancora ad asciugare».
«Vanne a prendere altri».
«In boxer? Ma sai quanto fa freddo per le scale?»
«Vado io» scattò.
«Non ho voglia di vestirmi!» brontolò in sua direzione prima di rispondere alla voce che si era collegata dall'altra parte.
«Stasera la pizza si raffredda», insinuò Levi, sperando che afferrasse il concetto.
Eren lo fissò per un lungo istante, poi finì di ringraziare la ragazza al telefono e chiuse la chiamata. Sospirò, lasciando che i pensieri lo affollassero. Era consapevole di quanto fosse facile rovinare di nuovo tutto. «Siamo ancora in prova?» domandò infine.
Levi sobbalzò alla domanda, fermandosi con la mano sulla maniglia. Se lo aspettava. Prima o poi i dubbi sarebbero tornati a tormentarlo. Era tutto filato fin troppo liscio, troppo naturale, quasi come se nulla fosse mai successo. Doveva affrontare quelle insicurezze prima che lo trascinassero nel baratro.
Aprì la porta e si avviò verso il suo appartamento per prendere un pigiama. Si perse nei propri pensieri mentre camminava, riflettendo sul modo migliore per rispondere senza scatenare una discussione. Avevano appena condiviso una notte e una giornata di fuoco, si erano parlati con gli occhi e con il corpo, ma la mente e la paura giocavano brutti scherzi. Per lui era tutto chiaro, ma Eren affrontava la sua prima vera relazione con qualcuno molto più grande di lui. Era normale sentirlo coinvolto quanto impaurito.
Prese un pigiama che aveva piegato e riposto nell'armadio qualche giorno prima e tornò nel suo appartamento, giusto in tempo per vedere il fattorino avvicinarsi alla porta.
«Prendo io, vieni» disse, aprendogli la porta proprio mentre Eren stava per aprire. Il ragazzo, ancora in boxer, allungò i soldi al fattorino, che accettò con un cenno. Una volta chiusa la porta, lo fissò con aria furibonda. «Gradirei una risposta.»
Levi sospirò, posando i cartoni della pizza sul tavolino di vetro. «Tu cosa credi?»
«No! Voglio sapere cosa pensi tu. Non ho intenzione di tornare a casa con questo dubbio in testa.»
«Se ti dicessi che non lo so, ti sentiresti meglio?» replicò Levi, il tono basso ma tagliente.
Eren abbassò le braccia lungo i fianchi, indeciso.
«Appunto» continuò Levi. «Però, se ti dicessi che per me è già ben altro da tempo, non mi prenderesti sul serio. Prima di chiederlo a me, prova a risponderti da solo e ad avere fiducia in me. Altrimenti tra noi non inizia proprio nulla.»
«Non è vero, io mi fido di te» sussurrò Eren, abbassando lo sguardo.
«Allora, se ti dico che non lo avrei fatto con te se fossimo stati ancora in prova?»
Eren non rispose. Si mosse in avanti e lo avvolse in un abbraccio dolce, soffocante, incredibilmente intenso. Levi si irrigidì per un attimo, poi si rilassò tra le sue braccia.
«Non hai nulla da scusarti, moccioso. Mangiamo, altrimenti si raffredda» disse porgendogli una fetta della sua pizza.
Un sorriso affiorò sulle labbra di Eren, mentre le lacrime gli pungevano gli occhi. Era come se all'improvviso un peso gli fosse stato tolto dal petto. Sapeva già la risposta, ma aveva bisogno di sentirla, di essere rassicurato. Non voleva soffrire, non era pronto, e temeva che la sua prima vera storia si rivelasse un disastro totale. E invece aveva scelto bene. Di Levi poteva fidarsi ciecamente, non era certo un ragazzino e anche se continuava a chiamarlo in quel modo era sicuro di avere in realtà molta stima di lui.
«Voglio provarne una della tua.»
«Ho fame!» sbuffò Levi, lanciandogli un'occhiataccia.
«Troppo calorica, devo aiutarti a smaltirla» lo punzecchiò Eren con un sorriso malizioso.

Levi lo fissò con aria sorniona. «Non scherzare, moccioso. Potresti pentirtene.»

Il mio primo amore Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora