Levi (22)

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«Ehi, che ci fai qui per terra?»
Lo osservò con un'espressione sprezzante prima di rispondere: «Cerco di evitare la scomodità di correre ogni cinque minuti in bagno per vomitare.»
«Fantastico.» Fece un sospiro esasperato, tirando fuori una busta. «Ti ho portato la Tachipirina, un antidolorifico e dello zenzero.»
Levi aggrottò la fronte. «Zenzero? A cosa mi servirebbe?»
«Il farmacista mi ha detto che non esiste un medicinale specifico per fermare il vomito, ovviamente non sappiamo da cosa dipende! Lo zenzero aiuta a placare la nausea. Probabilmente funziona. Ora ti preparo un po' d'acqua calda.» Sorrise e si avvicinò al mobile della cucina.
«Preferisco che mi lasci qui!» ribatté Levi, sentendo un nuovo conato risalire. Che diavolo aveva nello stomaco? Non ricordava di aver fatto colazione con un cinghiale.
«Secondo me il caffè ti ha fatto parecchio male, soprattutto perché subito dopo ci hai bevuto sopra il succo di mirtilli.»
Lo fissò con sospetto. «Ora leggi anche nel pensiero?»
Perfetto. L'unico giorno in cui decideva di prendere il caffè invece del tè... Ma che cavolo.
«Senti e il ragazzino?» chiese, cercando di distrarlo dalla nausea.
«È andato via.» biascicò non volendoci minimamente pensare.
«Sul serio? Aveva detto che sarebbe rimasto...»
Lo guardò di traverso, ma quel semplice movimento bastò a farlo sentire di nuovo male. Possibile che anche solo girare gli occhi lo facesse soffrire? Dio, basta!
Rimase in silenzio per un po', rannicchiato sul pavimento del bagno, pregando che tutto finisse al più presto.
«Hai finito di lamentarti? Dai, su, vieni a rilassarti un po'.» Lo aiutò a sollevarsi e Levi si rese conto di quanto il suo corpo fosse leggero, quasi privo di peso.
Non appena si lasciò cadere sul divano, lo stomaco ricominciò a ribollire. «Dammi quel dannato zenzero!» sbottò, strappandogli il bicchiere di mano.
Bevve lentamente, sperando di non rigettarlo subito. Sorprendentemente, lo trovò piacevole. Non aveva mai provato acqua e zenzero, ma le spezie gli erano sempre piaciute.
Pian piano, iniziò a sentirsi più caldo. Stando a terra si era infreddolito parecchio.
«Bene, se ti dico... marmellata?» domandò l'altro all'improvviso, con aria divertita.
Levi lo fissò, confuso. «Che cazzo dici?»
«Vedi? Funziona. Non sei corso in bagno.» Gli diede un leggero pugno sul braccio.
Ah, tutto qui.
«Mi sento uno schifo.» Si lasciò andare contro il divano, completamente esausto. Nemmeno il tatto sembrava funzionare più: toccava le superfici, ma non le percepiva davvero.
«Lo so che non ti piacciono i farmaci, ma se prendi la Tachipirina prima di andare a letto...»
«Sì, sì, tutto quello che vuoi, basta che mi senta meglio.» La voce gli uscì fioca, stanca.
L'altro lo prese con delicatezza, facendogli poggiare la testa sulle proprie gambe. Iniziò ad accarezzargli i capelli, osservandolo con uno sguardo languido.
Il viso di Levi si scaldò all'istante. Si coprì gli occhi con un braccio, chiedendosi perché diavolo si stesse comportando così.
«Mi è sempre piaciuto metterti in difficoltà.»
La frase fu accompagnata da un sorrisetto provocatorio.
«Che?» scattò Levi, salvo pentirsene subito. Il capogiro lo travolse e l'altro lo aiutò delicatamente a stendersi di nuovo.
Lo sentì ridere di gusto, mentre lui lottava contro l'ennesimo conato. Non ne poteva più.
«Mi piace l'effetto che ti faccio. Per questo mi è sempre piaciuto metterti in difficoltà. Fai tanto il duro, eh, Levi?» La voce si abbassò appena, con un'ombra di amarezza. «Eppure, chissà perché, riesco sempre a renderti vulnerabile.»
In quel momento, lo odiò quasi. Stava dicendo tutto ciò che avrebbe dovuto dire quando stavano insieme, cose che non gli appartenevano, cose che non aveva mai pensato di sentirsi dire.
«Che intendi dire?» domandò, troppo irritato per trattenersi. Quel tono lo infastidiva. Sembrava alludere a qualcosa che non voleva nemmeno considerare.
«Niente, dico solo che mi fa piacere...» lasciò la frase sospesa, vagamente.
Levi strinse i denti. «Ho la febbre, ma sono sempre io. Evita di prendermi per il culo, Smith!»
Sapeva di aver usato il suo cognome come un'arma, lo faceva sempre. Gli aveva ripetuto più volte che non gli piaceva essere chiamato così, soprattutto da lui, quindi lo sfruttava ogni volta che era arrabbiato.
Smith sospirò. «Beh, mi fai il regalo a San Valentino, cerchi di baciarmi...» Scosse la testa. «Probabilmente sono io che mi aggrappo a inutili speranze.»
«No, hai ragione.» Levi deglutì a fatica. «Ti ho chiesto di non soffrirci, ma ti sto dando mille motivi per non dimenticarmi...» Le parole gli si bloccarono in gola, poi le lasciò uscire tutte d'un fiato. «Forse perché... ho paura che tu possa dimenticarmi sul serio.»
Solo in quel momento si rese conto di ciò che aveva appena detto. La febbre lo aveva portato a questa conclusione? Quanto era patetico. E soprattutto, quanto era stronzo!
Erwin lo guardò stupito, passandosi una mano tra i capelli: il suo solito gesto meccanico quando era nervoso o sconvolto. Levi lo conosceva bene. Aveva amato davvero quell'uomo ed ora forse non poteva vivere senza sapere che gli sarebbe rimasto accanto. Preferibilmente come amico, certo.
«Tsk! Cosa vuoi che faccia, allora?» domandò l'altro, scazzato.
Levi esitò. Non lo sapeva nemmeno lui. Ma forse...
«Proviamo come dici tu. Amici. Però...»
«Tutto come prima.» Lo interruppe, serio. «Solo più confidenziali?»
Levi annuì e lo sentì rilassarsi mentre prendeva un respiro profondo.
Restarono in silenzio per un po', in quella posizione molto dolce che però sapeva di qualcosa di diverso, senza dubbi, paure o silenzi forzati. A tratti si guardavano intensamente negli occhi e nonostante i deliri Levi pensava che un legame come il loro era solamente mutato, non erano amanti, erano complici, due partner, due persone che potevano contare l'uno sull'altro e no quello era più che un semplice legame d'amore.
«Allora? Che hai combinato?» chiese Smith all'improvviso.
«Di che parli?»
«Del ragazzino. Non me la bevo che se ne sia andato così. Sembrava molto felice di essere venuto.»
Levi lo guardò torvo. «E perché dai per scontato che sia colpa mia?»
L'altro ridacchiò. «Perché sei sempre tu che rovini tutto.»
«Ma senti chi parla, tch!»
«Non cambiare discorso.»
Levi sospirò. «È uno stupido moccioso del cazzo, non c'è altro da dire.»
«Levi!» lo riprese.
«Non si fida di me.» sbottò come un bambino.
Smith lo osservò più attentamente allora continuò a parlargli.
«Sono il suo primo compagno, ok? In tutti i sensi. Non è mai stato con nessuno e... ha paura. Era strano da un po', e ho capito che pensa che io sia così solo per portarmelo a letto!» serrò i pugni, più arrabbiato che mai.
Il compagno sospirò. «Oh... capisco. Non riesci a metterlo a suo agio?»
«Erwin, mi conosci. Io non faccio assolutamente nulla...»
E lì si fermò. Perché stava parlando di Eren con Erwin? Era... sbagliato! Contorto. Autopunitivo. Gli ex non diventano i tuoi migliori amici, soprattutto quando non hanno ancora superato un distacco!
«Non dovresti prendertela. Non ti conosce ancora bene.» rispose come nulla fosse.
Levi scattò. «E cosa c'entra?! Proprio perché non mi conosce, non dovrebbe pensare una cosa del genere!»
Smith scosse la testa. «Parlaci.»
«No!»
«Dannazione, Levi, non risolvi niente così. Forse si renderà conto di aver sbagliato a giudicarti, ma se continui a evitarlo, lo farai solo sentire peggio. È la sua prima volta, è normale che abbia paura.»
Levi lo sapeva. Lo sapeva benissimo. Ma non era bravo con le parole, non lo era mai stato. Non sapeva neanche da dove cominciare.
Erwin si alzò, delicatamente poggiandogli la testa sul cuscino del divano e recuperò  il cappotto. «Io vado a casa. Intanto lo chiamo e lo faccio venire.» disse sicuro.
Levi non rispose, limitandosi a chiudere gli occhi. Forse, per una volta, era meglio lasciarsi guidare dagli altri.

Il mio primo amore Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora