Insostituibile - Capitolo 17

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Abby's pov.

Nello stesso momento in cui il tassista accosta dinnanzi all'entrata del Black Horse, il mio intento di voler confessare tutta la verità ad Evan mi risulta essere una totale stupidità.
Con quale presupposto posso presentarmi da Evan e spiegargli - così dal nulla - che in realtà non sono solo una semplice ospite, ma sua sorella? Che diritto ho di sconvolgere la sua vita, quando ho chiaramente detto al mio genitore di non voler avere più nulla a che vedere con il legame paterno che intercorre tra noi due?

Valuto allora l'ipotesi di andare direttamente all'aeroporto. Per quanto sappia che la cosa più giusta da fare sia essere sincera con lui, avverto anche l'inarrestabile desiderio di non scoppiare la bolla nella quale ha vissuto per tutti questi anni.  Chiunque abbia provato sulla propria pelle il dolore, non sarebbe causa dei dolori altrui. Io so benissimo cosa si prova a scoprire determinate verità sui propri genitori. Eppure, scartando tutte queste idee senza molte cerimonie, mi decido a seguire il mio istinto: rivelarmi per ciò che sono a Evan.
Ho sempre pensato agli altri; ho sempre preferito subire che causare danni.
Per una volta vorrei essere io quella che si crogiola nella beatitudine, sebbene di beato non ci sia nulla. Vorrei essere io quella che prova felicità.
E in cuor mio so che tutto ciò non è voluto perché voglio fare un dispetto a mio padre, Bennett.
Voglio solo andarmene da qui, con la certezza di aver fatto noto a mio fratello che io sono sua sorella.

"Scende?" domanda il tassista, risvegliandomi dallo stato di trance nel quale ero caduta.

Sbatto allora le palpebre, ricacciando indietro il fardello che opprimeva la mia mente, mentre annuisco con il capo.
Ho preso una decisione, e sono decisa ad andare fino in fondo per portarla a fine.
D'altra parte non ho nemmeno un volo prenotato, penso un po' delusa. O forse con una nota di sarcasmo.
Pago la corsa del taxi e, senza nemmeno attendere che mi ritorni il resto, scendo dal veicolo.
Sento la bocca dello stomaco stringersi. E, nonostante il freddo pungente, le mie mani si inumidiscono dalla troppa tensione.

Vengo ricevuta dalle guardie di sicurezza che, data l'abitudine di avermi vista arrivare quasi sempre, mi riconoscono subito e mi lasciano passare senza problemi.
Per evitare al massimo qualsiasi forma di dialogo, mi limito a rivolgere loro un semplice saluto. Più per educazione, che per reale voglia di intavolare un qualsiasi tipo di discorso con loro.

Allo stesso modo mi comporto con Alice e Cora, le due dipendenti del locale, che sono ormai diventate ottime amiche.
Rivolgo loro giusto qualche parola per affidare il bagaglio che ho portato con me, e come mio solito mi incammino verso l'interno dell'edificio.

Dato che sono in corso dei lavori di manutenzione, il locale è chiuso al pubblico per qualche giorno.
Considerando che Evan avrebbe capeggiato la direzione dei lavori, mi sono precipitata qui. Senza nemmeno verificare prima se fosse al Black Horse, o se magari si fosse allontanato per sbrigare altre commissioni. Al solito troppo frettolosa e troppo intenzionata a fuggire da quell'ambiente opprimente e carico di menzogne.

Mi ritrovo adesso nella grande sala rettangolare, dinnanzi ad una costruzione realizzata da impalcature che circondano due delle piste da ballo più vicine all'entrata.
La pulizia e la bellezza che solitamente regnano sono andate a farsi benedire, ed ovunque si intravedono attrezzature dei muratori e macchie di polvere a dismisura.
Sospirando abbattuta mi avvicino ad un gruppo di uomini che chiacchierano nelle prossimità della terza pista, nella speranza di intravedere nel gruppo qualcuno che mi rammenti il più possibile mio fratello.
Alcuni di loro mi guardando chiaramente perplessi. È evidente che la mia intrusione dia nell'occhio. Anche perché conosceranno - almeno credo - i proprietari di questo luogo. È ovvio.

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