Metamorfosi

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Elisabetta si era sciolta i capelli per la sera.
Francesco dormiva della grossa da un po', aiutato da un decotto di erbe che avrebbe dovuto lenire il dolore e al contempo fargli da sonnifero.
Sospirò, guardando con il cuore stretto il volto tumefatto del ragazzo.
Lo avevano conciato male.
Un occhio pesto, qualche costola rotta e un polso contuso.
Lei si era affrettata a soccorrerlo quando si era avveduta del fatto che era svenuto ed era riuscita con un po' di aiuto a portarlo nella sua stanza.
Nel frattempo era rientrato il Maestro, che, resosi conto dell'accaduto aveva provveduto a chiamare un medico, il quale aveva apprezzato la buona volontà con cui "Andrea" aveva prestato il primo soccorso all'amico e lo aveva curato per quanto possibile.
Aveva terminato la visita con alcune prescrizioni e un sorriso di incoraggiamento verso i ragazzi.
Da parte sua, il Maestro non aveva detto nulla, ma il suo silenzio era stato più eloquente di qualsiasi discorso o ramanzina.
Era deluso, preoccupato e arrabbiato per quello che era successo.
Era sinceramente affezionato a ogni ragazzo che fosse nel suo laboratorio e gli pesava immensamente tutta la situazione.
Soprattutto per l'ultimo arrivato, il quale gli era parso (dopo il povero Cecco, naturalmente) il più provato da tutta quella storia.
Quella sera avevano consumato rapidamente la cena in silenzio per poi andare a letto, facendo attenzione a fare silenzio, per non turbare il riposo del ferito.
"Andrea" aveva voluto stare accanto al suo amico, rivendicando il ruolo di infermiere. Nemmeno Giannotto aveva avuto il coraggio di sbeffeggiarlo.
Così, Elisabetta si era trasferita nella camera di Cecco, fermamente intenzionata a stargli accanto tutto il tempo necessario, quasi a sdebitarsi per quanto lui aveva fatto per lei, prima di andare a rivendicare la sua identità.
Con un ultimo sospiro, la ragazza (perché ormai doveva considerarsi tale, aveva compiuto 15 anni ai primi di gennaio) si coricò sulla coperta logora che aveva portato dalla sua stanza e sprofondò in un sonno cupo e senza sogni.
Doveva essere poco dopo mezzanotte quando, in preda all'ansia, Elisabetta si svegliò.
Aveva sentito un gemito provenire dal giaciglio dell'ammalato.
Si alzò, correndo a piccoli passi verso di lui.
Era pallido, sudato e sembrava stare proprio male.
In apprensione, lei gli posò la mano sulla fronte, per ritirarla subito. Scottava per la febbre.
Sospirò un'altra volta. Il dottore aveva detto che era possibile l'insorgere della febbre, ma non aveva lasciato istruzioni precise su come curarla.
Improvvisamente, il ragazzo aprì gli occhi.
-Tutto bene?- gli chiese Elisabetta, dimentica di mascherare la voce.
Il ragazzo sobbalzò.
-Ma...ma chi... sei tu?
La ragazza rabbrividì, prima di voltarsi e rendersi conto che quella era una notte di luna piena, la cui luce la illuminava in tutta la bellezza che già da qualche anno aveva iniziato a dimostrare.
Si voltò nuovamente, trovandosi lo sguardo febbricitante di Cecco puntato addosso.
- Il mio nome è Elisabetta- sussurrò lei più frastornata di lui.
-Elisabetta.... Ho già sentito questo nome- mormorò lui con la voce arrochita dal malessere fisico.
-Probabilmente lo hai sentito più spesso abbinato al mio cognome, soprattutto negli ultimi tempi- continuò lei e lui capì.
-Sei...siete madonna de' Servi... - mormorò lui, con un timore reverenziale nella voce, indietreggiando e abbassando la testa in segno di rispetto.
Elisabetta si trovò a disagio, soprattutto quando lo sentì gemere per il dolore nel prestarle omaggio in tal modo.
-Non disturbarti, ti prego! Ti fai solo del male così.
-Perché vi siete travestita in questo modo? Firenze, la Dominante, è la vostra casa.... Messer Gian Piero è vostro nonno, perché non siete andata da lui? Di cosa avete paura?
Elisabetta, messa da parte ogni precauzione, gli spiegò la propria situazione, confidandogli le proprie impressioni e i propri giudizi. Glielo doveva.
Lui l'ascoltò con tutta l'attenzione che gli era concessa dalla malattia.
-.... Quindi ho deciso di farmi riconoscere. Ma solo dopo che sarai guarito.
-Non dite sciocchezze, ascoltate me. Voi andrete dal vostro parente domani stesso. Non c'è ragione che rimaniate qui, madonna.
Cecco era molto serio.
Elisabetta però provò una punta di fastidio sentendo il tono formale con cui si rivolgeva a lei.
-Senti, sono qui da mesi. Mi conosci. Dammi del tu, per favore.
Lui annuì, anche se il suo sguardo le ricordava dolorosamente quanto fosse grave il modo in cui gli aveva mentito.
-Non voglio esserti d'ostacolo nel tuo ricongiungimento alla famiglia. Io me la caverò anche da solo, ma tu vai a casa- continuò Cecco.
-Ma come faremo con gli altri?
-Glielo spiegherò io quando te ne sarai andata. Non ti porteranno rancore.
Elisabetta non ne era così sicura.
-Va bene- concesse.
-Parlane prima con il Maestro, in privato. Capirà, o almeno spero.

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