I bracieri illuminavano le sale del palazzo dei Medici con una luce calda e soffusa.
Elisabetta porse il mantello foderato di pelliccia a un paggio e si accinse a raggiungere i padroni di casa per congratularsi e fare i propri auguri alla neonata.
Indossava un pesante abito di velluto nero impreziosito da ricami dorati, che produceva dei piacevoli fruscii sul pavimento.
"Messer Lorenzo... " disse con un sorriso, a mo' di saluto, abbozzando un inchino.
Lorenzo de' Medici era intento ad accogliere gli ospiti assieme alla moglie, Clarice.
Interruppe la conversazione che aveva intrapreso con un vicino e si rivolse alla ragazza.
"Madonna Elisabetta... È un piacere avervi con noi in questo giorno. Spero che la funzione non vi abbia annoiata" disse, prima di aggiungere con voce più bassa e lievemente canzonatoria "È stata eccessivamente lunga".
Clarice si voltò in modo tanto repentino da far tintinnare i gioielli che le ornavano l'acconciatura.
Le sue narici fremevano per il disappunto e gli occhi lampeggiavano, disapprovanti.
Ecco, quell'osservazione non era stata una buona mossa nei confronti della cattolicissima nobile romana....
Probabilmente avrebbe anche detto qualcosa, ma in quella Elisabetta intervenne.
"Oh, ecco mio marito. Vogliate scusarlo, si prende molto a cuore la salute di tutti... Anche quella dei cavalli" disse precipitosamente, riuscendo a strappare un sorriso ai presenti con quella che venne interpretata come una garbata spiritosaggine.
Lorenzo colse l'opportunità al volo.
"Benissimo, lo accoglieremo personalmente... Così potremmo coinvolgerlo nell'interessante disputa di poco fa, che dite?"
Le ultime parole erano rivolte all'uomo con cui aveva parlato fino a poco prima, il quale chinò il capo affermativamente.
Era piuttosto giovane, sulla trentina, di fisico robusto e con capelli castani.
Il velo di barba di alcuni giorni faceva un curioso effetto sul suo volto.
Clarice, incapace di sopportare oltre, lanciò una eloquente occhiata a Elisabetta prima di dirigersi verso il centro della sala.
La ragazza la seguì, sperando che suo marito non avesse niente in contrario rispetto al fatto di lasciarlo solo.
La romana doveva avere una gran voglia di sfogarsi, perché subito volle parlare con lei.
"Non riesco a capire come faccia mio marito ad essere così superficiale" mormorò a tutto spiano.
"La religione è il cibo dell'anima, eppure la calcola solo come un mezzo per ottenere prestigio".
A queste parole storse il volto pallido in una smorfia di disgusto, sistemandosi nervosamente alcuni capelli ramati dietro l'orecchio.
"Per lui contano solo altre cose... Per lui il cibo dell'anima è altro: filosofia, poesia, musica, arte.... Tutte diavolerie. Non si rende conto che studiare tutte le assurde teorie dei pagani lo porterà alla rovina."
Ormai il suo era un sibilo pieno di disprezzo.
Lanciò uno sguardo carico di fuoco all'uomo accanto al Magnifico.
"Quel Poliziano.... Dovreste vedere cosa inculca nella mente dei miei figli, appoggiato da mio marito."
Elisabetta non sapeva che dire.
Sinceramente, non era d'accordo con mezza parola del monologo della Orsini.
Ma come si poteva condannare così la conoscenza in favore della religione?
Certo, era importante, ma che c'era di sbagliato nell'amare arte e poesia?
E la filosofia... Esistevano anche pensatori cristiani, e comunque si trattava di un modo diverso di vedere e interpretare la realtà.
Era come una vetrata: la religione era solo un pezzo di vetro, ma aveva bisogno di altre discipline per risplendere e dimostrare il suo valore.
Si astenne da giudizio.
Ora Clarice aveva solo bisogno di sfogarsi.
"Vorrei tornare a Roma..."
Gli occhi della donna si erano velati di malinconia.
"Firenze è meravigliosa, ma non è la mia casa. È un mondo che non riesco a comprendere; pertanto non riesco ad accettarla, e lei non è in grado di accettare me. Posso anche impegnarmi, ma non potrei rinnegare me stessa e ciò in cui credo."
Sospirò.
"Sarò sempre la straniera. La sposa importata da Roma per accrescere il prestigio dei Medici."
Elisabetta la guardò a lungo, approfittando dello sguardo perso della nobildonna.
Per un lungo momento le parve bella, bella e distante, come una figura tragica della classicità.
La castità di Lucrezia, la fierezza di Clelia, la forza e il dolore di Cornelia.
Avvolta da vesti di damasco e velluto, lo sguardo di una donna che non aveva voluto rinunciare a sé stessa, la luce dello sguardo che contraltava con quella delle gemme che le ornavano l'ampia fronte....
Ma durò poco.
"Volete vedere mia figlia, madonna? "
Elisabetta acconsentì con un sorriso, e si lasciò condurre verso le stanze dove riposava la piccola Contessina.............)(............
Bia rabbrividì.
'Accidenti' pensò.
'Accidenti accidenti accidenti... '
Ma cosa diamine l'aveva convinta a mettersi nei pasticci a quel modo?!
Si voltò di scatto.
Le sembrava di aver sentito un rumore, eppure nella stradina buia non c'era nessuno....
Deglutì, e si costrinse a proseguire.
Da quanto stava girando per il quartiere di Ognissanti...?
'Accidenti al frate!' pensò un'altra volta.
Fu tentata di ripeterlo ad alta voce, ma la paura le consigliò prudenza.
La zona vicino al Mugnone era terribile, soprattutto in quelle ore notturne.
Il fetore delle carcasse animali ristagnava nell'aria, mista agli odori tipici delle strade più povere.
Urtò contro qualcosa, e dovette mordere un lembo del mantello per non gridare.
Un osso spezzato risplendette sotto la luce flebile della luna.
Bia avrebbe voluto piangere.
Ma dove diamine si era cacciato il frate....?
Gli stava alle costole da un po', su ordine di monna Elisabetta.
All'inizio quello strano e inquietante figuro la intimoriva, ma adesso ne era proprio terrorizzata.
Aveva scoperto che senz'altro non doveva più essere un religioso da un pezzo, visto l'arsenale di lame che riusciva a nascondere sotto la tonaca sdrucita.
Che fosse un sicario?
Rabbrividì ancora.
E poi quella sera era uscito, e lei lo aveva seguito....
Ma lo aveva perso tra i vicoli di quel quartiere infame.
Stava per rinunciare, quando qualcosa le serrò il volto e le braccia.
Lei sussultò ed emise un gemito strozzato.
Non aveva neanche il coraggio di divincolarsi.
"Non ti hanno insegnato che è pericoloso andare da sola di notte?"
Curiosamente, la voce, seppur profonda e leggermente roca non era minacciosa.
Sembrava piuttosto bonariamente beffarda.
La presa si allentò, permettendo a Bia di voltarsi e riconoscere chi l'aveva sorpresa.
"Voi?!"
Il frate accennò un sorriso sghembo da sotto il cappuccio.
"Mi avete.... "
"...Fatta spaventare? Certo, un po' di paura è la cosa migliore per sradicare una cattiva abitudine."
Bia arrossì.
"Perché mi stavi seguendo?"
La ragazza provò a tenergli testa.
"Voi cosa ci facevate qui?"
Lui sorrise ancora.
Quella ragazza dalla lingua lunga gli piaceva.
"Davvero pensavi che non mi sarei accorto che avevo qualcuno alle calcagna?"
Decise di ricamare un po' sul proprio intervento.
"Tanto perché tu lo sappia, piccola, spie di grande esperienza non sono riuscite a fregarmi.... "
Si lasciò sfuggire una breve risata.
"Hai indubbiamente fegato, piccola. Dai, torniamo a casa."
Bia sorrise stentatamente a quella mezza verità, e seguì l'uomo fino alla casa dei loro comuni padroni.
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La Dama Di Venere
Fiction HistoriqueAnno 1471. Elisabetta de' Servi è l'erede di una ricca e influente famiglia fiorentina, tuttavia abita e cresce a Pisa felice con i suoi genitori e la servitù. Tutto questo fino a che una notte dei sicari infrangono la calma della casa uccidendo a...