Mors tua, vita mea

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Erano le tre del pomeriggio e tirava un vento freddo che alimentava il disagio dei convenuti, abbigliati di lana nera, colore che esaltava il loro cordoglio e il pallore dato dal freddo invernale.
La cerimonia era stata breve, solo Anna Savelli aveva versato lacrime, seguita da altre mogli, sorelle, figlie di amici e conoscenti della famiglia.
Elisabetta stava in disparte, celata dell'ampio manto nero il cui cappuccio mostrava solamente la metà inferiore del volto, incredibilmente pallido.
Aveva scelto di indossare un abito accollato, ovviamente nero, delicatamente decorato ai polsini e al colletto da minuscole perline di vetro pure nero che creavano un discreto effetto di luce.
Aspettò che la famiglia Savelli si incamminasse verso casa e li seguì, fermando discretamente Francesco.
Era ancora più pallido del solito, vestito con abiti fin troppo eleganti per la sua personalità semplice e mite.
Il dolore della perdita gli aveva segnato il volto senza pietà, era distrutto e non aveva nemmeno la forza di mascherare tutto questo.
-Mi dispiace per tuo fratello.... Non è giusto ciò che è successo.
Le mie condoglianze-.
Cecco si voltò verso sua sorella, la quale era al seguito di padre e marito e teneva in braccio la piccola Bianca, sua figlia.
Bastò uno sguardo per farle capire che sarebbe rimasto a parlare e che loro potevano continuare.
Quando furono soli, lui la fissò, lo sguardo perso negli occhi castani di lei.
Era lo stesso sguardo dei condannati a morte, di coloro che avevano perduto tutto e cercavano disperatamente un appiglio per non essere inghiottiti dall'oscurità.....
Le lacrime tornarono prepotentemente a infiammarle gli occhi e lasciò tutto al proprio istinto.
Lo strinse a sé con la forza che le dava l'affetto che provava per lui e Cecco ricambiò con slancio inaspettato.
La abbracciò così forte da farle mancare il fiato, così forte da farle sospettare qualcosa...
-Sei un dono, Betta. Un dono per me- disse, la voce spezzata da una tristezza senza fine.
Lei si staccò piano, le lacrime a rigarle le guance e si guardarono ancora, a lungo, negli occhi.
Quello sguardo valse più di ogni altra parola.
Presero a camminare per le strade, silenziosi, guarendo con la sola presenza le ferite dell'altro.
Improvvisamente, lui parlò:- Adesso sarò io a ereditare il fondaco e la gestione degli affari. Non so come fare... Mio padre dice che sono sveglio e che imparerò in fretta, ma vedi, io non voglio farlo. Non voglio sostituire mio fratello. Non voglio lasciare la bottega del Maestro. E non voglio lasciare i miei amici.-.
Elisabetta lo ascoltò e si prese il suo tempo per riflettere, prima di replicare:- Tu invece ce la puoi fare, lo so. Il tuo unico problema è la paura. Non perderai i ragazzi, così come non perderai la tua passione per la pittura. Ciò che hai imparato non lo dimenticherai più, così come non dimenticherai tuo fratello.
Ce la farai, ne sono certa, e...- Cecco non la lasciò finire.
La prese per il polso e la trascinò in una viuzza, fino ad arrivare a un giardino. Una volta lì, la condusse sotto al tronco di un albero e, nascosto dall'ora tarda e dal crepuscolo, si lasciò andare.
Fu un attimo.
Lei si trovò fra le braccia di lui, i loro volti e le loro labbra unite in un bacio che aveva un che di liberatorio per lui e il sapore di una rivelazione per lei.
Quando, un attimo e insieme un'eternità dopo si separarono, la sensazione che invase la ragazza fu come una lama che squarci un velo dietro al quale si rivela un grande segreto.
E capì che lo aveva sempre amato.
E capì che era per questo che si sentiva tanto coinvolta dai suoi problemi.
Lui, nel frattempo, continuava a guardarla, il respiro affannoso e lo sguardo di chi abbia appena compiuto un sacrilegio.
Parve riscuotersi e, a passo svelto, se ne andò dal giardino, lasciandola sola, piena di domande e più confusa che mai.

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