I giorni si erano susseguiti, scanditi dalle parole di Lorenzo Lanzarotto che risuonavano nella mente di Elisabetta.
Parole che erano state ripetute una sera, durante la cena, da messer Gian Piero, con tono noncurante, quasi le stesse dicendo che quel giorno era un giovedì.
Lei non aveva battuto ciglio, ma poi aveva alzato lo sguardo dal piatto per simulare stupore, se non altro per dare un po' di soddisfazione al vecchio.
Quella notte non era riuscita a dormire, combattuta da emozioni contrastanti.
Il ricordo di quella lontana sera con Francesco si confondeva con le parole e le piccole attenzioni di Lorenzo, il pensiero di sposarsi la sopraffaceva.... Non si sentiva pronta, tutta la situazione le pareva profondamente irreale.
Se le avessero detto che sarebbe stata la prossima duchessa di Milano, sarebbe stata meno scossa.
Aveva finalmente compreso anche il senso di tutta quella biancheria e quegli abiti cuciti e ricamati di fresco, del cassone di noce inciso finemente con motivi floreali che univano la fenice de' Servi al blasone dei Lanzarotto, rappresentante tre rose bianche in campo blu.
Assisteva quasi apatica i frenetici preparativi per le sue nozze, fissate per fine aprile.
Si era già ai primi di marzo, bisognava sbrigarsi.
Bia, nei primi giorni dopo il "grande comunicato" a malapena guardava in faccia la padrona ma si era confidata in fretta, scusandosi di non averle detto nulla.
D'altronde, aveva spiegato, aveva promesso come tutta la servitù di non aprir bocca con lei di alcunché riguardasse il matrimonio.
Durante le settimane a volte il fidanzato (ormai tanto valeva che lo considerasse tale) veniva a far visita alla giovane nobildonna, rigorosamente sorvegliato a vista da domestici o dal padrone di casa.
Preoccupazione inutile, la cui osservanza veniva mantenuta solo per amore della tradizione e della salvaguardia del buon nome di famiglia.
Passarono le settimane e con grande felicità di tutti arrivò la Pasqua.
Il ciclo di messe celebrate furono una specie di pretesto per sfoggiare una volta di più l'imminente unione dei de' Servi ai Lanzarotto, culminante nella messa di Pasqua durante la quale Elisabetta indossò ostentatamente un lungo e ricco abito di raso blu, arricchito su corpetto e maniche da piccole rose di velo bianco.
L'abito era stato fatto confezionare da messer Girolamo ed era stato donato alla futura nuora con l'esplicito invito di indossarlo in quell'occasione, assieme a un cortese biglietto che la invitava a pranzo pasquale assieme al nonno.
La ragazza aveva accettato senza troppo entusiasmo, pensando con un sospiro che a cose del genere non si sarebbe mai abituata.
L'ipocrisia della corte, i rituali codificati della nobiltà, le tradizioni che apparivano come mura insormontabili con le quali anche le nuove idee umanistiche in voga soprattutto all'interno della corte medicea parevano non avere possibilità di innovazione.
Il pranzo nella casa dei Lanzarotto era stato abbondante e raffinato, innaffiato da spumeggiante vino che aveva gorgogliato felicemente al momento del brindisi in onore dei promessi sposi, tra l'imbarazzo di Elisabetta e i cortesi quanto indecifrabili sorrisi del giovane Lorenzo.
A fine giornata Elisabetta era stata sollevata al pensiero di tornare nella sua stanza e di potersi immergere nella lettura di un libro che non fosse un breviario.
Era decisa più che mai a godere ogni attimo avente una parvenza di libertà, slegato da vincoli matrimoniali e sociali.
Dunque, una volta giunta nella propria stanza, si affrettò a indossare una lunga e ampia camicia da notte e a sciogliersi i capelli, prendendo in mano un libro e sdraiandosi fra le coperte.
STAI LEGGENDO
La Dama Di Venere
Historical FictionAnno 1471. Elisabetta de' Servi è l'erede di una ricca e influente famiglia fiorentina, tuttavia abita e cresce a Pisa felice con i suoi genitori e la servitù. Tutto questo fino a che una notte dei sicari infrangono la calma della casa uccidendo a...