CAPITOLO 17

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-Emily.

Mi sento in trappola, due grandi braccia mi avvolgono il corpo e ho difficoltà a muovermi.Apro gli occhi e cerco di alzare la testa dal cuscino ma fallisco miserabilmente. Mi sento confusa e ho un forte mal di testa. L'ultima cosa che ricordo è un bicchiere pieno di alcool. Proprio in quel momento, mi sale un forte senso di vomito, così scatto dal letto e mi dirigo in bagno.

Mentre sono inginocchiata davanti al water, sento due mani che mi raccolgono i capelli. <Sta tranquilla, è normale.> Alex. Mi accarezza la schiena delicatamente, mentre io non faccio altro che stare male. Dopo aver vomitato per la terza volta consecutiva, mi alzo lentamente e dopo essermi rinfrescata il viso me ne ritorno in camera sua. Alex mi segue e si siede accanto a me nel letto. <Cosa è accaduto?> gli chiedo abbassando lo sguardo. Mi sento malissimo.

<Una sbornia.> risponde tranquillo.

<Cosa ci facevo nel tuo letto?> gli chiedo imbarazzata.

<Ti avevo portato in camera tua dopo che siamo arrivati a casa, ma sei sgattaiolata via e sei venuta qui, poi ti sei addormentata e immagginando cosa sarebbe successo stamattina, ho preferito non lasciarti sola.>

Spero solo non sia successo nulla di cui possa pentirmene ma noto, con mio grane piacere, che i miei vestiti sono ancora al loro posto. È un buon segno.

<Oh.> mi limito a rispondere. <Ma non c'era bisogno di preoccuparti per me, ti avrò rovinato la festa, mi dispiace.> sono molto agitata dalla sua presenza e non ricordare nulla della serata appena trascorsa non aiuta.

<Non ti preoccupare per me.> si mette sotto le coperte e mi fa segno di mettermi accanto a lui. Non posso.

<Penso di ritornare in camera mia.> mi dirigo verso la porta ma la sua voce mi ferma. <Emily.>
<Si?>
<Ieri sera..> mi giro verso di lui, ma noto che abbassa lo sguardo. <Mi hai detto che ti faccio stare bene.>

Adesso si che sono in imbarazzo. Spalanco gli occhi e la bocca, ma cerco di ritornare normale subito dopo. <E poi?> gli domando frettolosa.

<Mi hai baciato.> proprio quello che non volevo sentirmi dire.

<Scusami Alex ,ma non ero in me. Sai com'è quando si è ubriachi, si fanno e si dicono cose che non vogliamo.>

<Tranquilla, è tutto passato.> dal suo tono si riesce a cogliere un minimo di tristezza.

Esco da quella stanza e me ne ritorno in camera mia. Ma come mi è saltato in mente di baciarlo? Non avevo fatto altro che evitarlo queste settimane dopo l'ultima volta in camera mia, la sera della cena con Derek e suo padre. E adesso sono io a baciare lui? Ve bene che Alexander è un bel ragazzo, ma non può attrarmi il mio fratellastro. Che situazione!

Vado in bagno per cercare di riprendermi con una doccia fredda e dopo aver finito scendo giù. Vado in cucina e vedo mio padre e Kathrin che chiacchierano amabilmente. <Buongiorno.> li saluto.

<Buongiorno.> esordiscono entrambi.
<Tutto bene, amore?> mi chiede mio padre.

<Ho solo un forte mal di testa, ma per il resto tutto bene.> non va niente bene, papá. Se solo sapessi cosa mi passa per la testa.

<Tesoro, vuoi un'aspirina?> si intromette Kathrin. È una donna molto premurosa. <Oh, si grazie.> le rispondo. Kathrin va in salone e così rimango sola con mio padre. Mi vado a sedere sulle sue gambe, proprio come quando ero bambina e lui mi sorride. Forse anche lui sta ripensando al passato.

Mi mancano i vecchi tempi, mi manca la mia famiglia, mi manca terribilmente mia madre.

<Come mai oggi non sei andato a lavoro?> é strano, solitamente alle nove e trenta del mattino non c'è mai.

<Oggi ho preso la giornata libera, ho chiesto a Joseph di dirigere l'azienda.> mio padre é il proprietario di un'azienda molto importante degli Stati Uniti e tutto questo non aiuta per nulla. Abbiamo sempre condotto una vita frenetica, anche con mamma. Ogni sera papà era in una di quelle cene di lavoro alle quali non poteva non andare. Ogni tanto lo raggiungevamo anche noi, ma era brutto vedere papà solo nelle pause pranzo. Passavo le intere giornate con mia madre a casa e ogni volta che arrivava lui era una festa. Da quando lei è morta, papà non ne ha voluto più sapere, si è dedicato a me giorno e notte per interi anni, almeno fino a quando sono diventata più grande. Adesso è nuovamente una lotta contro il tempo e contro tutti quei giornalisti che non fanno altro che fotografarti e riempirti di domande. Agli occhi della gente, sono sempre stasta considerata la solita ''bambina viziata'', la unica e sola figlia di Dominic Jackson. La gente si fa sempre un'idea così sbagliata di noi persone agiate economicamente, come se noi potessimo ottenere tutto solo perché abbiamo dei luridi e sporchi soldi. Peccato che quello che voglio nessuno può darmelo, neanche il denaro.

In quel momento vedo spuntare Kathrin con una bustina in mano, così prendo la mia aspirina e rimango a parlare con loro due. Sembriamo una bella famiglia tutti insieme, peccato che è solo apparenza. Peccato che Kathrin non è mia madre e che io non ho mai avuto un fratello.

Dopo un'oretta papà e Kathrin escono a comprare delle cose ed io decido di tornare in camera per stistemare un pó di cose. Arrivata in cima alla scala sento dei singhiozzi. Cerco di seguire il sono da dove provengono e dopo un pó mi ritrovo davanti alla famosa porta che è sempre chiusa a chiave. Provo ad aprila e la porta si spalanca. Vedo Alex, è inginocchiato ai piedi di un letto e piange. Mi sento inerme di fronte a questa scena, non so cosa fare. Mi faccio coraggio e mi avvicino a lui, inginocchiandomi per terra. Gli appoggio una mano sulla schiena e sussurro appena il suo nome, ma lui sembra sentirlo e si volta verso di me.

Alla vista dei suoi occhi, così rossi e spenti, mi sento stringere un nodo alla gola.

<Emily.> anche il suo é un sussurro.

In casa siamo soli, nessuno ci puó sentire, eppure sussurriamo qualsiasi cosa diciamo. Non ho il coraggio di chiedergli niente, ma lui sembra capire.

<Stamattina, quando ti sei svegliata, mi hai fatto ricordare lei. Quando faceva dei brutti sogni veniva sempre da me ed io gli ripetevo che l'avrei protetta da qualsiasi mostro la spaventasse.> un singhiozzo interrompe il suo discorso ma continua come se nulla fosse <Avrei voluto proteggerla anche dalla morte.>

Adesso capisco il motivo di quel pianto, capisco anche perché si é rifugiato proprio in quella stanza. Ora capisco il perché della lettera J sulla porta. Questa é la camera di Jasmine, sua sorella. La morte si era portata via anche un'altra persona, peccato che da quella bestia non c'è mai stata una via di fuga e nessun super-eroe che potesse sconfiggerla, perché un giorno la fine sarebbe arrivata per tutti.

<Alle volte non riesco piú a ricordare il suo volto, è come se il tempo mi obblighi a dimenticare ma io non voglio farlo. Non voglio dimenticarla e quindi vengo qui a rivedere delle sue foto e i suoi giocattoli.> si alza e va a prendere un porta fotografia, mentre io rimango in quella posizione senza la forza di poter dire o fare qualcosa. Mi mostra la foto che tiene stretta in mano. É lei con un tutù di danza, il viso non si vede molto ma c'è un mega poster in quella camera, con un primo piano di quella bambina. Ha gli stessi occhi di suo fratello e dei riccioli biondi che le avvolgono il viso. È così bella.

<È meravigliosa, Alex.> dico con un filo di voce. Accenna un sorriso triste e riguarda la foto accarezzando il vetro di quel porta fotografia, come se potesse accarezzare di nuovo il suo corpo.

<Mi ricordo che un giorno si era arrabbiata con me perché avevo fatto spaventare un suo amichetto dell'asilo che a lei piaceva. Non mi aveva rivolto la parola per due giorni interi ed io stavo dando di matto perché non voleva neanche più abbracciarmi.> i suoi occhi diventano ancora più spenti.

Ormai di quel ragazzo che conoscevo io, non ne è rimasta nessuna traccia. La morte ti porta via tutto. La perdita di una persona, che ami così tanto, ti spegne dentro. I suoi occhi non brillano più, sembrano solo un cielo senza stelle, un viaggio senza ritorno, partiti verso quel dannatissimo baratro d'infelicità, dal quale era difficile fare ritorno.

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