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Mi passo uno strato di lucida labbra color pelle e mi sistemo i capelli ancora.
«Signorina ha una chiamata da parte di Adam Scott» la cameriera fa un cenno verso il telefono attaccato al muro e poi esce.
«Si?» rispondo agitata.
«D'accordo Grace facciamo pace, ti prego» sbuffo davvero sollevata.
«Mi dispiace tanto Adam» prendo un altro respiro «Lo so avrei dovuto dirtelo subito ma è difficile anche per me realizzarlo» contorno le dita.
«Lo so, ma non rispondermi al cellulare per quattro giorni non è stato intelligente.»
«Uuh, sto partendo. Tra mezz'ora andiamo in aeroporto e sinceramente non vedo l'ora. Devo andare fuori da sta casa e mi stupisco da sola a sentirlo. Miami è così lontana...»
«Guarda caso esistono gli aerei, Meredith ti saluta è qui affianco»
«Salutamela tanto» dico sorridendo anche se non mi possono vedere.
Quei due sono incredibili e fanno invidia al mondo intero, stando affianco a loro percepisci l'amore che provano l'uno per l'altro.
«Grace vieni» mio padre urla dal piano di sotto. Farlo aspettare non esiste quindi mi rassegno al fatto che devo chiudere.
«Devo andare. Ti chiamo quando posso. Ti voglio bene» chiudo senza aspettare una risposta e scendo di corsa le scale.

Ogni volta che vedo questa casa sembra più bella. E l'aria che si respira a Miami è unica.
Prendo un bicchiere di champagne che mi offrono appena entro in casa e mi siedo in terrazza. Il mare è ancora azzurro anche se il sole è ormai tramontato. A Seattle si vedeva il tramonto sul Pacifico, ci andavo sempre con Adam quando era arrabbiato.
«Buonasera signorina Grace, mi scusi il disturbo. Volevo solo chiederle se le va bene se sta sera per cena viene un cuoco giapponese che cucinerà per lei e suo padre?»
Annuisco un po' a disagio, non mi abituerò mai totalmente a questo stile di vita. «Perfetto grazie, signora Ramirez.» rimango a guardare il mare e penso a quanto mi piaccia questo posto, non sono contenta di vivere con mio padre per obbligo suo ma non mi lamento dato che Las Vegas e tutti i suoi brutti ricordi li ho archiviati per sempre. «Grace, pensi di frequentare le scuola o qualcosa?» chiede mio padre accendendosi un sigaro cubano, qui ne girano parecchio a quanto pare. Si appoggia alla griglia della terrazza e lo guardo concentrarsi sul mare, so che sta pensando a Seattle come ho fatto io dato che è un po' rigido.
«Non so papà, valuterò» scrollò le spalle, ma mi vengono i brividi al solo pensiero di una scuola nuova. Gente che ti guarda, che ti studia, tutti i gruppetti già formati e la divisione sociale di quelli che he sono lì da prima di te.
«D'accordo comunque qui ci sono tutti i fogli per l'iscrizione, scegli tu» detto questo sbuffa del fumo e rientra in casa ondeggiando. Mando giù quello che resta nel flûte e poi riluttante prendo uno dei vari depliant.
È una scuola prestigiosa, naturalmente, che è nel centro di Miami. Il programma è interessante e l'edificio nelle foto pazzesco ma non me la sento ad entrare e spiegare che ho avuto gli ultimi due anni insegnanti privati perché nella scuola a Las Vegas mi prendevano in giro anche solo per il mio accento. Ributto per terra il depliant come se scottasse e mi appoggio alla sedia. Scuola nuova, vita nuova. Me lo ripeto per un po'. Devo fare i test per essere ammessa all'università sempre che io voglia frequentarla. Troppa gente in una classe mi mette tanta ansia da farmi scappare ma alla fine sarei solo una alunna su una quantità enorme quindi sarei solo una ragazza anonima che cerca di farsi una cultura, non la figlia del Signor Scott che dona alle classi computer e che obbliga la figlia ad andare a letto con i suoi clienti. L'espressione 'Troia della Mafia' è durata davvero troppo. Tutti sapevano chi è mio padre è il fatto che ha in mano mezza Las Vegas non ha fermato nessuno dal dirmi che sono solo l'oggetto di mio padre per avere più clienti. Mi viene ancora da vomitare al solo pensiero di come alcuni di quelli mi hanno toccata e non posso non essere d'accordo con i miei ex compagni di scuola, per quanto crudeli. «Vieni a tavola Grace» mio padre urla e mi riprendo dai miei pensieri. Corro dentro e lo trovo sul bancone dove un signore sta mettendo in fila una serie di sashimi.
«Ti ho chiamato tre volte, sei diventata sorda per caso?» prende la bottiglia già aperta di whisky ben invecchiato e ne butta giù una sorsata. Ora che è ubriaco la cena da fastidiosa è diventa ufficialmente un problema. «Ora mangia, prima che ti mandi in camera tua senza cibo, te lo meriteresti.» sbatte nuovamente la bottiglia e poi mangia qualche rotolino. Gioco per un po' con le bacchette e metto in bocca un po' di sushi dal sapore fantastico, ma non ho né appetito né voglia di stare a tavola. «Vado fuori sta sera, sono stanco di sentire sempre tu che ti lamenti quindi ora chiamo il mio autista. Tu vai a dormire o disfa alcuni di quei pacchi che non vuoi nessuno tocchi.» detto questo si alza e se ne va in camera lasciandomi lì con il signore giapponese mortificato. «Eh, il mio sushi non è buono o...»
«No, assolutamente il suo sushi è davvero pazzesco, ha solo una brutta giornata, quanto le devo così può andare?» vado a prendere il portafoglio e pago il cuoco che se ne va un po' perplesso.
«John» mio papà esce dalla stanza e scende le scale «Prendi l'auto e portami fuori» detto questo esce lasciandomi nella casa vuota. Tutti i dipendenti vivono nella dependance a qualche centinaio di passi dalla casa principale ma attivo l'allarme e abbasso tutte le persiane con l'iPad.
Sono sul divano a guardare una serie televisiva molto economica e mal girata quando il telefono dell'ufficio, alla fine del corridoio, suona. Mi alzo malvolentieri, ma non sono abbastanza veloce a rispondere e quindi parte la segreteria e ascolto registrare il messaggio.
«Segnor Scott, capisco che lei sia impegnato ma settimana prossima voglio un incontro a casa sua.» un forte accento messicano borbotta al telefono «Faccia in modo che ci sia anche la stessa ragazza mora che c'era a Las Vegas, come si chiama, quella che è rimasta con mio figlio.. Va beh ha capito. Si può fare? Mi chiami.» il sapore di ferro lo sento sulle labbra. Mi ricordo di questi clienti, papà mi aveva obbligato a stare con il figlio Josue per quattro giorni e quest'ultimo aveva deciso di prendermi a pugni solo perché mi trovava troppo sexy e non potevo essere di nessun altro. Mi tocco il labbro e vedo un po' di sangue; senza accorgermene mi sono morsicata per la tensione.
Mi viene una grande voglia di eliminare il messaggio ma conoscendo papà mi scoprirebbe appena sveglio il giorno seguente. Mantengo il controllo e mi siedo per terra.
Botte, sesso, alcol, sesso, droga.
Era stata una delle settimane peggiori della mia vita. Mi tremano le mani solo a pensare a come mi aveva tirato i capelli fino a farmi piangere, a come quelle mani rudi ed incapaci mi avevano graffiato la pelle e come i suoi denti ingialliti dal tabacco mi avevano morso le labbra. Un brivido mi percorre la schiena, non posso pensarci, non posso pensarci. Mi alzo e afferro la mia borsa; so di aver i sonniferi. Svuoto tutto il contenuto e frugo fino a quando non li trovo, senza acqua li butto in gola e mando giù. Prendo respiri profondi poi con finta tranquillità mi dirigo in camera e mi siedo nel letto nuovo di palla. Il cuscino bianco e le lenzuola di lino sono il tocco finale per sedarmi definitivamente.

<<Mine story>>

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