21.Punto

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"Lo so, lo so" dissi infilandomi in bocca una mela, interrompendo Gregor prima che potesse dire quella stra maledetta frase.
Se ne stava li in piedi, davanti alla porta con in bocca una caramella.
La masticava e la rigirava sul palato con la lingua.
"Non ho detto niente" disse divertito, con le mani alzate.
Ma sia io, sia lui sapevamo benissimo come stavano le cose.
"Perché anche se non stai ancora dicendo niente, so cosa vuoi dire" lo interruppi saltellando per infilarmi le scarpe.
Mi ero alzata tardi, come la mattina precedente e la mamma era stata costretta per la seconda volta ad iniziare il turno dopo.
Al lavoro le avrebbero detto di tutto, ma, il suo lavoro di mamma veniva prima di tutto il resto, almeno era quello che cercavo di ricordarle sempre.
"Ma gurda a te ora leggi anche nella mente?" disse Gregor divertito, masticando rumorosamente la caramella.
"Ah ah ah. Molto spiritoso. Dico davvero, ma non sono in vena di battutine, oggi" lo informai mettendomi in bocca la mela rossa, camminando per la cucina a recuperare le mie cose.
Sembravo un maialino prima di essere infilato dentro al forno.
"Ma perché mai?!!" disse Gregor alzando il tono di voce, senza un apparente motivo.
Forse come al solito il motivo era quello di darmi fastidio.
"Ti dispiacerebbe non urlare??"gli domandai alterata, dopo essermi strappata la mela dalla bocca, con una violenza tale da lasciarci attaccati due o tre denti.
"No!" rispose.
"Ragazzi fate i buoni e sbrigatevi ad uscire" intervenne mia madre prontamente, passando per la cucina per andare al piano di sopra, già vestita per il lavoro.
"Si,mamma" le risposi.
Dopo il ritorno di Gregor la sera prima, lo avevo intercettato per caso prima che scomparisse in camera sua ed avevamo parlato, o meglio dire bisbigliato.
Gli avevo detto che era nei pasticci tanto quanto me, e che se mai avesse voluto rivelare a mia madre dove mi trovavo quella notte, avrei cantato anch'io come un uccellino.
Così eravamo arrivati ad una soluzione di comune accordo:
La serata di ieri non era mai esistita. Punto.
"Forza" mi incitó Grogor.
Avevo fatto le scale di casa almeno un ventina di volte. Continuavo a dimenticarmi le cose da prendere al piano di sopra.
"Arrivo, mamma mia" sbuffai, sistemandomi meglio una ciocca sfuggita dal cerchietto nero di plastica sottile.
"Sarà così tutte le mattine, fino la fine della acuola, vero?" domandó il mio fratellastro vedendomi scendere dalle scale dritta alla cucina, dove c'era il mio zaino, stra colmo di libri.
Oggi non lo avrei dimenticato.
"Così? Così come?" volli sapere.
"Così come sta mattina e come la scorsa mattina. Sempre di corsa, perché non ti svegli mai in orario" mi rispose schietto lui, infilandosi una seconda caramella al limone in bocca
"Per tua informazione, ieri sera ho fatto le ore piccole" lo informai anche se sapevo, che ne era a corrente.
"Ma fammi il favore" disse uscendo dalla porta, seguito a ruota da me.
"Ciao, mamma" la salutai, vedendo che usciva con noi. Si chiuse la porta alle spalle infilò la chiave nella toppa e mi diede un bacio sulla fronte.
Gregor intanto era già al box, aveva tirato fuori la sua piccolina.
"Sali, su" mi incitó.
"Gragor, non siamo così in ritardo. Se proprio vuoi prendere la moto, ricordati che voglio vivere almeno fino a novan'anni" montai dietro di lui dopo aver indossato il casco.
"Che vita insulsa la tua" disse
"Senza rischi ne colpi di scena"
"Perché la tua, allora è maglio. Le foto di tipe in negozi di intimo, la rendono migliore della mia" dissi a denti stretti tra me e me, ripensando a quando le avevo trovate dentro il suo cassetto.
"Cosa?" domandó di scatto, dopo aver dato gas alla moto ancora ferma.
"Ninete. Niente, pensa a guidare ed a portami sana e salva a scuola"
"Allora, oggi, secondo giorno di scuola per la sottoscritta, e non ho la più pallida idea di come andrà a finire"
"Hai proprio un'ottimo prospetto per la giornata" commenta lui, superando la moto che ci stava davanti.
"Grazie, credo anche io che lo sia"
Sbuffó.
Una fuoriuscita improvvisa d'aria che subito venne inghiottita dal vento che ci sfreccia affianco.
I capelli sfuggivano da sotto il casco e si muvevano come lingue di fuoco danzanti sulla mia spalla.
Come le altre mattine avevo indossato la divisa scolastica con un piccolo cambiamento. Avevo aggiunto un paio di calzettoni grigi sopra ad un altro paio di collant, trasparenti.
Erano praticamente uguali a quelli che usavo per casa.
Purtroppo grigi, di una stoffa pesante, simili a quelli che indossavo a casa.
In fondo non mi sembrava tanto male, abbinati al secondo maglione della divisa, rosso.
Il tempo non era uno dei migliori.
Il cielo grigio annuncia una guerra.
Il sole aveva già rinunciato a combattere e non opponeva resistenza, sopra di noi e si faceva inghiottire.
Nemmeno un grido.
Non avevo indossato le Superstar bianche dell' Adidas ed al loro posto indosso le pesanti e massicce Dottor Martenes nere, regalatemi qualche settimana dopo il mio ritorno da Manhattan dalla mamma.
Allora non capivo il senso di regalarmi un paio di scarpe così.
Massicce, scure, pesanti... dure.
Avrei preferito profondamente una maglietta rosa, con l'arcobaleno, come piacciono a me.
Ma ora capivo.
La vita qui era dura e non c'era spazio per gli arcobaleni.
Gregor salí, lungo la salita che precede il cancello del liceo scientifico di Marcy Falls. Diede gas a metà della salita, impennando la moto di poco, ma abbastanza da farmi prendere un coccolone.
Il rumore della marmitta, rese pubblico il nostro arrivo.
Già si intravedono gruppi di ragazzi fermi a bordo strada, che parlavano del più e del meno, tranquillamente prima di essere costretti dalla campanella a correre in classe per non ricevere una nota di ritardo.
"Gregor, rallenta o metterai qualcuno sotto" gli dissi stringendo con più farza le mani, che si tenevano al sedere della motocicletta.
"La maggior parte di sta gente merita di essere investita, Stargate" commentó fissando un gruppo di ragazzi con uno sguardo gelido, trafiggendoli anche se gli occhi erano nascosti dietro la visiera.
"Faremmo un piacere alla comunità" disse in fine.
Gli tirai un colpa alla spalla con la mia.
"Ma smettila" lo intimidí.
Poggiai di nuovo la parte più sporgente del casco sulla schiena di Gregor, per assaporare gli ultimi momenti di beatitudine.
Per quasi tutto il viaggio avevo avuto seri problemi.
Continuavo a chiudere gli occhi ed avevo avuto l'impressione di stare per cadere.
Gregor invece questa mattina era tutto pimpante, arzillo, al limite della simpatia e spiritoso di tanto in tanto.
Comunque riposato.
Sembrava che avesse dormito tranquillo nel suo letto tutta la notte come un bravo bambino.Invece...
Era tormato come minimo alle 3 passate.
E che cavolo!!
Io, invece avrei soltanto voluto trovare un albero al quale apporgarmi e morire.
"Su" mi incitó Gregor, dandomi una piccola pacca sulla spalla.
Ondeggiai con la testa verso terra, occhi chiusi e mente spenta.
"Su, su scendi dalla moto"
Gli ci vollero almeno altri due colpetti sulla spalla prima di ricevere da parte mia una risposta.
"Mmmh, dammi un'attimo, ho un mal di testa" dissi con gli occhi chiusi.
Mi stavano triturando in testa.
I piccoli omini che avevo dentro la testa, si stavano impegnado per uscire da me, con quel martello pneomatico.
La prima cosa che avrei fatto una volta incontrata la mia amica, sarebbe stata quella di chiedere qualcosa per il mal di testa, con un'insistenza quasi insopportabile.
Quasi.
"La moto sta diventando un po pesante, Stargate, e la mia pazienza, è già finita sotto le ruote"
'Mmm ho sonno' pensai e senza volere mi accoccolai di più contro la sua schiena, che emanava un calore intensissimo, anche se come tutte le altre mattine, indossava la camicia bianca, con sopra il grosso maglione grigio.
Il calore era davvero bello e contro la guancia mi faceva davvero molto piacere.
"Daiiii!" disse muovendo il corpo come in preda a uno spasmo involontario
"Va bene. D'accordo mi alzo"
Contro voglia aprii gli occhi e smontai dalla sella. Mi sistemai la gonna con le mani, lisciando le pieghe innaturali della gonna.
"Grazie Dio, allora esisti!" esclamò.
"Suvvia, non fare l'esagerato" mi tirai su i calzettoni e dopo sfregai le gambe tra di loro per riscaldarmi qei tronchi gelati che mi ritrovavo.
"Cazzo fai? Intendi entrare o aspetti la prossima ora?" mi domandó Gregor, con la sua solita eleganza dopo aver messo il cavalletto alla moto e dopo essere smontato dalla sella.
"Entrerò" dissi "prima o poi" aggiunsi subito dopo essermi seduta sui mattoncini rossi che facevano da recinto ai tulipani del giardinetto.
"Io il mio compito l'ho svolto. Ti ho portata a scuola sana e salva" disse alzando le mani, con i palmi rivolti verso di me.
"Ottimo lavoro, capitano" dissi io facendogli il saluto militare.
"Ti dispiacerebbe riferirlo a tua madre?" mi chiese ed io feci di si con la testa e subito tirai fuori il telefono, digitando un messaggio rapido a mia madre. Finito di comporlo lo inviai e sbadigliai, mettendomi subito una mano davanti alla bocca.
"Stanchina, eh?" mi chiese Greg, spostando il peso da un piede all'altro, sistemandosi con le mani le brettelle dello zaino arancione.
"Non sai quanto" gli risposi mettendo il gomito contro il ginocchio e poggiando la guancia pallida sul palmo aperto della mano.
"Non tutti abbiamo la fortuna di essere riposati, anche dopo essere usciti la sera"
"Ora, la fai più di quel che è. Erano appena le tre" disse lui con non curanza. Come se tutti i ragazzi, compreso lui tornassere di norma a casa alle tre passate.
"Ah scusa allora" dissi guardando la sua figura illuminata dalla poca e tenue luce grigiastra che arrivava alle sue spalle.
Chiusi gli occhi ed unii le gambe a x.
"Ma che stai facendo, la campanella sta per suonare, mancano meno di due minuti. Non dovresti andare in classe" mi chiese tirandomi un calcetto alla scarpa.
"Sto seduta ed aspetto Rox, dovrebbe arrivare a momenti" gli risposi tenendo gli occhi chiusi "ieri sera ci eravamo date appuntamento fuori dalla scuola, dai parcheggi delle moto"
"Roxanne..." disse Gregor, anche se il suo tono sembrava più interrogativo.
"Si Rox, la Roxanne che hai incontrato ieri" apri l'altro occhio e lo fissai dondolarsi sui talloni.
Faceva danzare la fine della camicia azzurrina, nascosta dal maglione grigio.
"Sai, Stargate, penso che non dovresti frequentare Roxanne" disse allora tutto d'un fiato
"Gregor oggi non sono in vena di litigare ne con te, ne con nessun altro, quindi, vatti a cercare un'altra vittima" lo liquidai con un gesto fluido della mano libera, che stringeva il telefono.
Mi sentivo davvero stanca, al limite delle forze e della sopportazione.
Non mi sentivo per niente in vena di litigate.
La giornata sarebbe dovuta fluire liscia come l'olio.
"Ascoltami la conosco quella ragazza, non penso che potrebbe mai essere una buona amica per te"
"Gregor..." iniziai ma fui subito bloccata dalla sua voce.
"No, ascoltami, ma per davvero. Siete diverse. Lei è completamente diversa da te"
Mi stava per caso dicendo che non era possibile essere amica con Roxanne, solo perché lei era "diversa" da me?
Un'uomo e una donna, di etnie diverse, non possono avere figli solo perché sono diversi??
"E con ció?"
Il sangue mi stava fluendo dritto al cervello. In una piena.
Sembrava in difficoltà, il modo con il quale si grattava la testa scura, non mentiva.
"Beh, a te piace stare in casa, lei invece sta sempre fuori per negozi..." si gratto sotto l'orecchio e continuò "...tu leggi sempre, lei penso non abbia mai preso in mano un libro, tu snobbi i ragazzi come poche, lei praticamente li considera il centro dell'universo...sta cazzo di ragazza della quale ti sto parlando, la conosco e so com'è fatta. Ecco tutto" sembrava fiero della risposta che aveva dato.
"Fammi capire" dissi con una finta tranquillità piantata addosso
"praticamente mi stai dicendo, che io sono una sfigata e che per questo non posso essere sua amica?"
Sangue. Al. Cervello.
"Ohhh, noo. Non potrei mai" disse subito, con uno sguardo idiota stampato in faccia. Come se mi stesse prendendo in giro.
"Gregor!" esclamai alzandomi in piedi di scatto "va, va levati di qui o finisci male" lo spintonai con una delle due mani che impugnava ancora il telefono, con la poca energia che avevo.
"Ahha ma che fai, sei rincoglionita?" disse divertito, come se stessimo scherzando.
Con superficialità.
"Cosa ridi?" gli domandai mentre lui, cercando di afferrarmi per le braccia.
La campnella alle spalle di Gregor, strilló.
"E che cazzo, non si può più ridere? Ehh?" mi domandò ridendo.
"Togliti di qua" mi afferrò le mani, ma non appena realizzai di avere i polsi stetti nelle sue mani calde, le strappai da quella presa.
"Stargate, non ti stavo prendendo in giro, guarda che la conosco" fece un passo indietro
"Togliti di qua, ho detto"
"Ecco che succede a fare un'azione buona. Fanculo, ma non venire da me a piangere, quando ti renderai conto del casino nel quale ti sei cacciata..."
"Vattene"
Continuai a guardare la schiena di Gregor, fino a che non mi fu più possibile, distinguerlo tra gli altri ragazzi che si accalcavano verso la porta. Prima di entrare lo intravidi afferrare un ragazzo e mettergli il braccio intorno al collo in modo molto scolto quasi affettuoso. Probabilmente un'amico.
Perché mai, Gregor doveva essere così irritante, noioso, seccante...
Io, mi ci mettevo d'impegno ad ignorarlo, ma quando ti veniva a dire che sei praticamente una sfigata associale, a confronto con un'altra ragazza e che per questo non potete essere amiche... Beh ti partono i cinque minuti.
Il cortile si stava liberando e rimanevano solo le auto e le moto silenziose, nel parcheggio.
I ragazzi si mescolavano tra di loro, per arrivare il prima possibile in classe, spingendo verso la porta.
Di Rox nemmeno l'ombra.
Stringevo ancora il telefono in mano e di tanto in tanto con le dita premevo il tasto in cima per accenderlo e controllare se fosse arrivato qualche messaggio.
Il cortile si stava svuotando, e con lui anche le speranze di vedere comparire da dietro il curvone, da un momento all'altro Roxanne. Aveva detto che ci saremmo viste prime dell'inizio delle lezioni, per entrare insieme e trovare un posto,
a sedere vicino.
Ma a quanto pareva, sarei dovuta entrare e mi sarei anche dovuta arrangiare per trovare un posto dove sedermi, nell'aula della professoressa di storia.
Da sola.
Che si fosse sentita male una volta tornata a casa?
Che non fosse mai tornata a casa?
'Oddio'
Non mi ero minimamente preoccupata di controllare quanto alcol avesse ingerito, prima di lasciare che si mettesse a guidare la macchina.
La strada per arrivare a casa, era davvero molto poco agibile, in auto, di giorno, piena di buche, sentiri stretti, ciottoli di pietre...
poi la sera!
Con il buio!






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