22.Profumo di me

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Quel pensiero mi pervase la testa come un'onda, salata e violenta.
'E se le fosse successo qualcosa'
Mi alzai di scatto dalle mattonelle rosse sulle quali ero rimasta seduta, dopo che la campanella era suonata e dopo che Gregor si era allontanato da me con molta riluttanza.
Accesi il telefono e andando sulla rubrica cercai rapidamente il numero di Roxanne.
Impiedi digitai il messaggio tutta svelta con le dita che digitavano veloci il messaggio.

-Rox. Va tutto bene?-
Invio

Lo inviai rimanendo sempre agitata.
Mi infilai le mani in bocca mordicchiandomi per quanto mi fosse possibile le unghie già corte di loro. Fino a quando il telefono non prese a vibrare dentro la mano, sudata che lo stringeva.
Sbloccai veloce lo schermo e una volta fatto visualizzai il messaggio, il quale lampeggiava in cima al telefono.
Grazie a Dio, era Rox, che prontamente mi aveva risposto.

-Si, va tutto bene. Mi sono solo alzata tardi per il mal di lancia e per questo oggi non verrò a scuola. Volevo dirtelo pima, ma avevo perso il telefono in giro per la stanza e non avevo modo di rintracciarlo.
-Ah. Mi ero preoccupata xk ieri poi ti ho lasciata andare a casa da sola e dato che nn mi avevi scritto questa mattina, pensavo fosse successo qualcosa.
-Nono, tranquilla. Beh, baci io vado a dormire.
-Non è giusto!!

'Okey. Era viva!'
Ameno questo mi aiutava un pó.
Mi caricai lo zaino in spalla.
Stava per scadere il tempo.
Mi ero finalmente decisa ad entrare quando il silenzio del cortile fu sostituito dal rumore del motore di un'auto.
Mi bloccai sul posto poco prima che una Jeep tutta rossa, ammaccata in più punti, mi sfrecciasse a tutta velocità davanti al naso.
Mi pietrificai all'istante.
La Jeep rossa, aveva solo due posti, quello del guidatore e quello del passeggero. Dietro, aveva un'enore bagagliaio scoperto, che sembrava fatto apposta per trasportare cose grosse, come ad esempio, delle lavatrici vuote, delle lavastoviglie, dei materassi...
Almeno quattro ragazzi stavano seduti li dietro, urlando e parlando,tenevano un vecchio stereo portatile acceso, sulla spalla di uno di loro, che produceva una srana musica rap.
Il parcheggio era pieno, come al solito, ma rimanevano liberi solo due posti.
Quelli per i didisabi, ed il guidatore non ebbe la minima esitazione a parcheggiarsi li, anche se quasi con tutta certezze nessuno di quei ragazzi era disabile.
Rimasi a fissare un ragazzo dopo l'altro che saltava giù dal retro della Jeep ed atterravano con estrema delicatezza sull'asfalto.
Tutti qui ragazzi avevano in comune il fatto di essere estremamente grossi e massicci, come pezzi grezzi di roccia.
Il tipo, che tenva sulla spalla lo stereo, l'abbassó all'altezza del busto e la spense, per poi tenersela sotto l'ascella dopo aver preso lo zaino atterra nell'auto, come tutti gli altri.
L'auto si spense e con se portó a tacere anche il vecchio motore su di giri. Una volta tornato a riposare, il parcheggio tornò al silenzio primordiale.
Ero curiosa di sapere chi fosse il menefreghista, che si permetteva di togliere un posto macchina ad un disabile, solo perché il parcheggio era pieno.
Ecco. Era arrivato il momento della verità.
Osservai la portiera aprirsi con un cigolo lamentoso, seguito da un botto, perché la portiera pareva difettosa.
Il guidatore poggió il piede sul'asfalto e con una mossa fluida uscì alla luce.
Dalle Vans nere, che portava ai piedi sembrava un tipo normale, ma risalendo incontrai con gli occhi, un paio di jeans strappati che non rientravano assolutamente nella norma, dei vestiti concessi dalla scuola.
Al massimo jeans, non jeans strappati che lasciavano intravedere lembi di pelle candida.
Indossava la camicia scolastica, tutta fuori dai pantaloni, con alcuni bottoni in cima smottonati, che lasciavano intravedere le clavicole ossute.
E basta. Non indossava altro.
Il viso era composto da lineamenti candidi ed armonici.
I capelli erano di un nero intenso, color corvino. Catturavano la poca luce del sole, che filtrava dalle nuvole e la facevano brillare e scivolre sui di loro con delicatezza. Gli alti zigomi ,le folte sopracciglie scure, le lentiggini di una tonalità più accesa rispetto il colore della pelle della faccia, sparse per il viso, le piccole e carnose labbra di un colorito pallido...
Gli occhi. Due sfere nere e scure che non rivelavano niente se non la più totale calma, mentre ti inghiottivano in un sol boccone.
"Hey, posso mollare lo stereo in auto? Se quella pazza mi vede di nuovo con questo mi sospende. Così almeno ha detto lei" disse il ragazzo con lo stereo in mano.
"D'accordo fai pure" disse il ragazzo dopo qualche minuto di riflessione.
"Grazie amico"
Il ragazzo, non gli rispose e percorrendo tutto il perimetro dell'auto, arrivó alla portiera del passeggero, la quale, come la prima, si aprì con un cigolio strozzato seguito da un botto.
Scese una figura alta.
In contrasto con il collore dell'auto, si contraposero i lunghi capelli biondi, della ragazza, tanto lisci da ricordare i fili d'oro.
Il suo abbigliamento, era quello, adeguato all'ambiente scolastico, divisa inclusa, e portava in spalla uno zaino viola, dell Eastpak.
Appana uscita dalla Jeep, si avvicinò al ragazzo che prima stava alla guida e gli sussuró qualcosa all'orecchio.
Stava ben attenta a non farsi sentire ne da me, anche se dubitavo che sapessero della mia presenza, ne dagli amici, poco distanti da loro.
Lei gli teneva le mani sui fianchi e teneva le labbra a due soffi dal lobo del ragazzo. Lui, rispetto alla rgazza stava orizzontale, le piantava l'anca contro il bacino ed allo stesso tempo le sorrideva.
Un sorriso sincero.
A metà tra uno completo e uno tirato.
Alla fine il ragazzo, si fece dare una pacca sulla schiena e le scompiglió i biondi capelli, con una mano, come rivincita.
"No!! I miei capelli no!" strilló, mentre con le mani se li pettinava all'ingiú, con fare psicotico.
"Ohhh. Povera bambolina. Con i capelli spettinati" esclamò un ragazzo del gruppo, con la voce in falsetto da femminuccia, mentre seguiva il proprietario della stereo, verso la scuola.
"Sentimi bene, io ogni giorno impiego almeno venti minuti per farmi venire i capelli così lisci e setosi. Non tutti siamo fortunati come te, Bobby" disse portandosi i capelli su una spalla per pettinarli meglio.
"Come me, come?" chiese Bobby, curioso con una punta di durezza.
Lei si accoccoló meglio sotto al braccio del ragazzo, dai capelli corvini e continuó con calma.
"Che non hanno bisogno di vestirsi e conciarsi bene per difendere la propria immagine"
Gli rispose sorridendo.
"Vaffanculo"
"Prima, vacci tu"
"Calmi, tutti calmi. Susu" disse allora il Ragazzo Corvino.
La ragazza fece il dito medio a Bobby, mentre sorrideva.
Ma di un sorriso maligno mentre il ragazzo, al quale era accoccolata, non poteva vederla, dato che stava camminando e guardava avanti a se.
Bobby, indignato e furioso, rispose subito, facendo lo stesso gesto osceno, rigirandosi e continuando a camminare.
Sembrava davvero scontrosa quella biondina, che sculettava, come se non avesse mai avuto le ossa del bacino, affianco del ragazzo corvo.
Il gruppo dei sei, si era diviso in altri due gruppi. Ora i ragazzi camminavano separati, gli uni dagli altri.
Il gruppetto dei quattro ragazzi davanti, gli altri due, strategicamente voluto da questi ultimi, se ne stavano dietro.
Gli avevano lasciato lo spazio che serviva loro, per poter parlare e spingersi animatamente senza recargli alcun fastidio.
Camminavano abbracciati.
Stetti, stretti.
Ma non si stringevano per il freddo che aleggiava nell'aria, non sembravano nemmeno accorgersi dell'umidità che gravava su di loro.
Non sembravano per niente infreddoli.
Ne lei, ne lui e neppure quei ragazzi.
Eppure la bionda indossava le stesse cose che indossavo io.
Camicia, pullover, gonna, collant... escludendo i calzettoni ed anche la giacca.
Ma niente. Nessun brivido di freddo lungo la schiena, niente pelle d'oca. Niente.
Il freddo era aumentato, l'umidità era forte e pressante, il vento... Forte e veloce.
Si divertiva a passarmi tra i capelli, a sfiorarmi il viso in modo tagliente, a far danzare i capelli come ballerine di danza classiche, con tutine rosse.
Il tempo qui, a Marcy Falls non era mai bello.
Le giornate erano sempre caratterizzate dal cielo scuro, coperto da nuvole scure e minacciose. Il sole era quasi raro da vedere, un pó come le stelle cadenti, e se mai si fosse mostrato sarebbe stato ricoperto da uno strato di nuvole. Queste intrappolavano ed impedivano ai raggi del Sole di arrivare fino alla nostra pelle, per dare un po di calore agli animali a sangue freddo che eravamo diventati a vivere qui.
Sopirai e mi accorsi solo ora di essere ancora impalata li. Vicino ai mattoncini che delineavano l'aiuola.
Mi scrollai di dosso la neve invisibile, che mi aveva ibernizzata li e con fare silenzioso ma abbastanza spedito, mi avviai alla porta.
Orami loro erano lontani.
I quattro erano già entrati e rimaneva sola la coppietta.
"Zoticone" disse la bionda quando Bobby si chiuse la porta alle spalle senza tenerla aperta ler lei.
"Prego" disse il Corvo, cogliendo la palla al balzo per fare il cavaliere, cosa che lei gradí e per farglielo capire gli posò la mano sul braccio coperto solo dalle leggera stoffa della camicia.
"Molte grazie"
"Si figuri, mia signora" rispose lui divertito ed immedesimato nel suo ruolo.
Ma a parer mio, fu proprio poco da cavaliere, darle una pacca sul sedere, mentre stava per entrare dietro di lei.
"Che schifo" sussurrai proprio quando una folata di vento tanto forte, mi investì in pieno, costringendomi a fermarmi per tenermi la gonna.
Avevo tutti i capelli in faccia scappati dalla mia cipolla. Sentii in lontananza delle finestre sbattere e quando alzai lo sguardo riuscii a vedere lo sbuffo di vento che aveva trascinato in aria le foglie arrivare fino alla scuola e schiantarsi sulla schiena del ragazzo.
Quando abbassai lo guardo su di lui rimasi letteralmente senza fiato.
Quelle sfere nere, più simili all'oblio che a degli occhi, erano puntati su di me. Come se avessero saputo, della mia presenza e che da sempre mi trovavo li.
Si...
Stava guardando davvero, dritto nella mia direzione.
'No...'
No, non guardava nella mia direzione, stava guardando proprio Me.
Cosa avrei dovuto fare adesso?
Continuare a fissarlo con lo sguardo da pesce preso all'amo oppure distogliere lo sguardo e fissare un punto indistinto al suolo.
Be di sicuro dovevo fare qualcosa.
Qualsiasi cosa.
Non potevo continuare a starmene, così, immobile come una statua di sale li, a meno di venti metri da lui senza fare o dire niente.
Quelle sfere nere, come l'oblio non sembravano aver la ben che minima intenzione di sganciare la presa su di me. Continuavano indisturbate ad inchiodarmi sul posto, per impedirmi di muovermi mentre raccoglievano frammenti di me, di qua e di la.
Aveva le narici dilatate, come se in qualche modo fosse stato arrabbiato.
Le dilatava e le ristringeva con velocità ed agitazione.
Una mano stringeva la porta di vetro e con l'altra mano, era stretta in un pugno tanto stretto da fargli diventare bianche le nocche.
Dovevo alzare una mano e salutarlo?
Che avrei dovuto fare?!?!
Santo Dio, che avevo mai fatto di così tanto sbagliato nella vita, per essermi sempre meritata simili situazioni?!
Il ragazzo se ne stava fermo, tenedo
la porta aperta con la mano, il corpo rigido, i capelli che si spostavano a seconda della direzione del vento e lo sguardo puntato su di me.
Quegli occhi.
Due sfere, di un nero tanto intenso, da fare invidia anche alla notte più buia.
Non c'era niente che facesse intuire una qualche mossa dalla sua parte.
Assolutamente niente.
La sua tranquillità e la sua calma erano quasi snervanti.
Sembrava che tutto così calmo, così morto, così.... Silenzioso.
Il vento continuava a soffiare indisturbato, io e lui condividevamo la stessa corrente che arrivava ci investiva come un'onda, e cambiava preda.
Mi bruciavano gli occhi, non riuscivo più a fissarlo, mi sentivo vuota dentro o ancora peggio, mi sentivo fragile, come il cristallo.
Fanculo la timidezza!
Mandai dal cervello al braccio, l'impulso di alzarsi e di fargli un cenno veloce ma deciso con la mano. Invece fui solo in grado di stringermi di più la giacca addosso quando uno sbuffo d'aria più violento e più freddo mi colpi, dritto alle spalle.
La gonna si alzó e il tessuto si tese sul sedere, mentre i bordi svolazzavano verso la scuola.
Attraverso i capelli chiari, che mi rigavano il viso, a causa del vento, intravidi tra le loro fessure, la figuara imponente del ragazzo sempre dritto, ma questa volta molto, ma molto più rigida.
Stringeva la presa sulla porta di vetro con più forza, ed il suo pugno stava come a tremare, lungo il suo fianco, per la potenza con la quale lo stava stringendo.
Gli occhi erano divenute due sfere spaventose.
Vuote e piene di caos nello stesso tempo.
Lo avevo notato,poco prima che si chiudesse, sbattendo violentemente, la porta alle spalle.

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