24. Vietato svenire

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Stevenson, non era un ragazzo dallo stomaco forte.
Quando sentí il suo cognome fu lí, lí per vomitare nel cappello dello strano compagno di banco.
"Si?" domandò una volta rimandati giù tutti i succhi gastrici.
Tutta la classe gli teneva gli occhi puntati addosso.
"Cosa vuol dire: "Si?". Prendi una sedia e vieni qui da me, alla cattreda, sei interrogato"
Eccoli li.
Che tutti insieme: colazione, pranzo e cena della sera prima tornavano alla memoria... E su per l'esofago.
Il poveretto si tappó con entrambe le mani la bocca e ricacció giù tutto per la seconda volta in qualla giornata.
Il ragazzo aveva assunto una colorazione olivastra, più tendente al verde muschio che al rosa carne.
Tentò di salvare il pavimento da una lavata di vomito.
Ancora seduto al suo banco sulla sua sedia alzó un braccio, il quale subito e prontamente fu captato ed intercettato dalla prof, la quale gli consentì di parlare.
"Mi scusi professoressa... Non mi sento molto tanto bene"
"Ovvero? Cos'è che avresti?" domandò con poco tatto, osservandolo da sotto gli occhiali, con gli occhi ridotti a due fessurine.
"Mi...." si bloccò osservando la classe fissarlo con molta insistenza.
"Mi... Mi..."
"Su su. Maledizione Stevenson! Finisci questa frase, sembri un balbuziente!"
Scoppiarono tutti a ridere, Nathaniel compreso, io esclusa.
"Professoressa, mi viene da vomitare" ammise tutto rosso sulle guance.
"Oooh andiamo. Questo è tutto tempo perso. Non mi pare tu stia vomitando come una fontanella. Oh, no?"
Teneva il tempo battendo con le lunghe unghie dipinte di rosso sul legno.
"No, ma..."
"Niente "ma", più "si, prof". Coraggio"
A quel punto Stevenson fu davvero sul punto di lasciare uscire tutto.
Si tirò su, afferó la sedia del banco dietro al suo (che era vuoto), la sollevò con due mani e si diresse strisciando i piedi fino ai primi banchi.
Stevenson, aveva una massa grassa che superava di gran lunga quella magra. Portava i capelli corti, come i militari e indossava come tutti quanti la divisa scolatica, ma a differenza di noi tutti, aveva un modo particolarmente trasandato di portarli.
Camicia extra large, fuori dai pantaloni larghi ed a cavallo basso, mentre il maglione grigio stretto, che metteva in evidanza le due tette di ciccia che sostituivano i pettorali sodi di un altro ragazzo qualsiasi.
Portava i capelli corti, come se fosse stato un militare e gli occhiali quadrati.
"Coraggio Stevenson!" osservò l'orologio "Ragazzi non pensate che la campanella possa salvarvi. Quando inizio a interrogare... Finisco"
Stevenson poggió la sedia sul pavimento si sedette sopra e attese pazientemente, con le goccioline che gli scendevano dalla fronte, le mani in grembo e i piedi aperti a papera.
"Bene bene.... Vediamo" la professoressa iniziò a sfogliare le pagine del suo quadernone con occhi attenti.
"Eh, ecco qui..."
Stevenson si riversó tutta la colazione sui pantaloni, con due rigurgiti energetici.
Mi tappai la bocca aperta per lo stupore con entrambe le mani.
La professoressa si era ammutolita con uno sguardo assassino in viso, nello stesso istante aveva anche alzato le gambe, per impedire agli schizzi di bile, di sporcarle le lucide scarpe nere.
Il povero Stevenson una volta finito alzó il viso, un po più rilassato di prima, se si può dire... Non so, un po più libero.
Nathaniel affianco a me ruppe il silenzio con una sonora risata.
Le mani unite dietro la testa, i piedi poggiati al sottobanco, mentre con le gambe piegate si dondolava avanti ed indietro sulla sedia.
"Hahahah" rideva di guasto, e subito tutti ne approfittarono per fare altrettanto.
"Stevenson!" urló la professoressa, mentre guardava il pavimento per trocare un punto sicuro nel quale poggiare le scarpe pulite.
"Fuori! Vattene fuori!"
Stevnson, poverino, si tirò su a sedere, facendo colare sempre più giù la melma appiccicosa che gli imbrattava i pantaloni.
"Ma cos'é quello? Un biscotto intero" chiese Nathaniel affianco a me, strizzando gli occhi per riuscire a vederci meglio.
"Hahah io direi proprio di si, fratello" gli rispose il ragazzo con il quale aveva parlato praticamente tutta la lezione.
Stevenson quando stava per chiudersi la porta rietro, riprese colore e divenne ancora più rosso.
"Brook!" chiamò la professoressa.
La ragazza, bassina nel terzo banco, si alzò e malamente spinse il banco in avanti facendo cadere l'astuccio aperto sul pavimento.
"Si, prof?"
"Apri le finestre e poi vai a chiamare la bidella"
"Prof ma c'è freddo" ribatté una voce anonima
"Infilati la giacca Turner!"
Mi tolsi le mani da davanti alla bocca e mi poggiai contro lo schienale della sedia.
Povero Stevenson...
Beh, per lo meno, non era svenuto.
No?
Bisognava fare qualcosa per l'odore insopportabile che c'era in quella stanza. L'odore acre e pesante che si respirava sembrava ampliato dall'odore di stalla che già prima c'era nell'aula.
La professoressa aveva detto ad una ragazza di aprire la finestra, ma il freddo che entrava, alzava le tende e che le obbligava a danzare con lei, superava di gran lunga la puzza. I ragazzi erano indecisi, tra chiedere alla professoressa di chiudere le finestre, oppure restare in silenzio e continuare a studiare sui libri e sui quaderni cercando di apprendere in quei pochi minuti, di fermo, qualcosa per riuscire a superare la prossima interrogazione.
Alcune ragazze si erano infilate le proprie giacche, le quali erano state appoggiate per tutto il tempo, delicatamente allo schienale delle sedie, mentre altri ragazzi, se ne fregavano del freddo e rimanevano comunque solamente con addosso la camicia.
Uno di loro era Nathaniel, il quale rientrava sia nella categoria dei calorosi, che nella categoria dei ragazzi, al quale non fregava assolutamente niente di provare a fare qualcosa, anzi aveva iniziato a guardare il telefono sotto il banco e nello stesso momento batteva incessantemente il dito indice sul banco, provocandomi un fastidio indescrivibile.
Osservavo la scena, ma nella mia mente mi sembrava di vederla a rallentatore. Il dito che si calava sul banco, il rumore, il fastidioso e poi sembrava fermarsi.... invece si rialzava di nuovo e si riabbatteva sul banco producendo un suono ancora più forte del precedente, il rumore mi rimbalzava da una parte all'atra, tra le pareti della testa.
Nathaniel si voltò verso di me e mi scrutó con i suoi occhi così neri e così dannatamente magnetici...
Fui costretta a chiudere i miei.
Saranno sate le luci, il rumore i suoi magneti, ma il fatto era che non riuscivo proprio a tenerli aperti. Tutte le volte che guardavo un punto fisso dagli occhi mi partivano delle scariche elettriche dolorose che mi correvano fino al cervello e gli davano come dei dolorosi pizzicotti.
"Problemi, ragazzina lentigginosa?" mi domandò Nathaniel interrompendo quel fastidioso ritmo.
"Scusami, come mi hai chiamata?" gli domandai allibita.
"Ragazzina lentigginosa" ripeté con non curanza. Fissando il telefono.
"Perché?!" gli chiesi con un'accenno di disgusto.
"Perché sei ricoperta da lentiggini e sei una ragazzina"
"E per questo pensi di potermi chiamare ragazzina lentigginosa?"
"Direi di si" mi rispose con non curanza.
"Ma é orrendo! È come se chiamassi una ragazza biondina, solo perché questa ha i capelli biondi. E se sul viso avesse dei brufoli? La chiameresti biondina brufolosa?"
"Scusami mi sembra più che giusto, se non sai come chiamarla..."
"Stargate" risposi di rigetto, con un filo di voce, senza averci pensato due volte...
Mi resi conto di avergli appena detto il mio nome, ma senza averlo voluto davvero...
"Che?" domandò a quel punto staccando gli occhi dal telefono, per voltarsi e puntarli dritti su di me.
Ero stata veramente stupida a dirgli il mio nome, ci mancava solo che avesse iniziato a tormentarmi con il mio nome stravagante.
Ma ormai il dado era tratto non potevo far finta di niente....
Oppure si?
"Io? Non ho detto niente" dissi voltandomi e pregando che dimenticasse.
"Ah"
Ecco vedete, io con quell "Ah" pensai di averla scampata e invece no.
"Perché io pensavo di averti sentita dire un nome"
'Merda' pensai
"No, mi sa proprio che ti sei sbagliato"
Mi voltai per frugare nello zaino.
"Che nome davvero strano, che ha la Ragazzina Lentigginosa... Stargate, eh?"
"Merda" sussurrai

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