Capitolo ottavo *Boyd*

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Le giornate all'ospedale senza Blaire erano una noia mortale.

Studiavo per gli ultimi esami prima del diploma e leggevo, ma la maggior parte del tempo stavo a girarmi i pollici.

Odiavo essere costretto in quel letto e, benché la terapia imposta dai medici fosse dolorosissima e benché i miei muscoli sembrassero riottosi verso qualunque attività fisica, le ore di riabilitazione erano le mie preferite.

Ero uno sportivo, uno che portava sempre il corpo al massimo, non potevo sopportare di essere considerato al pari di un disabile.

Venivo spostato da una stanza all'altra solo tramite una sedia a rotelle, poiché le mie maledette gambe non erano ancora in grado di reggermi in piedi.

Seppure cercassi di atteggiarmi sempre allegro e spensierato con le persone che venivano a trovarmi, sarei caduto nello sconforto più totale se con me non ci fosse stata Blaire.

Lei era meravigliosa, ovviamente.

Trascorreva ogni secondo del tempo che non passava a scuola, con me distesa sul letto.

Parlavamo di qualsiasi cosa, ridevamo, immaginavamo il nostro futuro e ci baciavamo.

"Io odio Julia Rose Smith!" aveva esordito un giorno, entrando nella mia stanza e gettando la sacca di scuola sulla sedia di plastica accanto al letto.

"Ciao anche a te, amore" avevo risposto io ridendo e cercando di alzarmi in posizione seduta sul letto, ma lei non sembrava nemmeno avermi sentito:

"Non sopporto nulla di lei! La sua aria altezzosa, il suo comportamento da donnaccia, la sua puzza sotto il naso... mmh, che rabbia!"

L'ascoltai ancora per un attimo e dopo non ce la feci più e scoppiai a ridere.

"Che c'è di così divertente, se posso chiedere?" mi apostrofò, guardandomi storto e con le mani sui fianchi.

Non le risposi e continuai a ridere, così lei venne a mettersi a cavalcioni su di me con uno sguardo imbronciato che celava un sorriso.

Le mie mani furono subito sui suoi fianchi e le mie narici piene del suo profumo inebriante.

"Ridi di me, eh?" chiese, non riuscendo ancora a mascherare la faccia divertita.

"Si, proprio di te" mormorai, guardandola da sotto le palpebre.

"Ah, bene! Ora ti faccio vedere io..."

Tentò di farmi il solletico, ma io fui più veloce di lei e la ribaltai con la schiena sul materasso, cominciando ad affondare le dita tra le sue costole.

Blaire rise e si dimenò fino a rimanere senza fiato.

Era bellissima e quando rideva lo era possibilmente ancora di più.

Quell'espressione felice senza le ombre scure che abitavano dietro i suoi occhi, le guance lievemente arrossate e piene di lentiggini, le palpebre socchiuse per le risate...

Non potevo ancora credere che lei fosse mia, che qualcuno lassù fosse stato così buono con un bastardo del genere da darmi il mio angelo personale.

Le avrei dato tutto, anche se possedevo poco o niente.

Il mio corpo, il mio cuore e la mia anima, invece, erano già completamente suoi.

"Ti amo, Blaire Lysa Cannon" le dissi smettendo di tormentarla e accarezzandole una guancia dolcemente.

Anche lei si fece seria e mi scrutò con quei suoi immensi occhi verdi:

"Ti amo anch'io, Boyd Josh Newmann"

Poi mi baciò o forse la baciai io e mi persi in lei, profondamente ed irrimediabilmente.

Avevamo trascorso insieme svariati giorni come quello tra le mura spoglie dell'ospedale, eppure non ne avevo mai abbastanza.

Anche se avrei di gran lunga preferito non averne mai abbastanza di lei fuori da quella realtà parallela di degenza in cui ero rinchiuso.

Volevo che la mia dimissione dall'ospedale, però, segnasse una svolta per me e lei: sentivo
che era arrivato il momento di fare veramente sul serio.

Di iniziare a costruire qualcosa di tangibile.

Non ero mai stato più pronto nella mia vita e speravo con tutto il cuore che lo fosse anche lei.

Mi riscossi dai miei pensieri sentendo un inaspettato bussare alla porta della mia stanza.

L'orario delle visite non era ancora iniziato e a quell'ora Blaire era ancora all'accademia.

Non avevo proprio idee su chi potesse essere.

"Avanti"

Un istante dopo la porta si spalancò, lasciando entrare una donna di mezza età in camice bianco e dal viso familiare.

"Ciao, Boyd. Ti ricordi di me?"

Era la dottoressa che aveva preso in cura mio padre dopo il suo ricovero d'urgenza, colei che si era occupata di tenere sempre aggiornati me e Chloe sul progredire della sua malattia.

"Certamente mi ricordo, dottoressa Mabel. L'incidente ha compromesso le mie gambe, non la mia mente" risposi, forse in modo troppo brusco.

Lei sorrise bonariamente e senza il minimo risentimento per il mio tono, come a chiedermi silenziosamente scusa.

"Hai ragione. In ogni caso non sono qui per te: come ben sai ho in cura tuo padre e sono venuta a cercarti per comunicarti che ho importanti sviluppi"

Se mi avesse detto che sapeva con esattezza la data della mia morte non avrebbe comunque avuto tutta l'attenzione che le riservavo in quell'istante.

Rimasi in silenzio e aspettai che continuasse.

"Abbiamo indotto il risveglio del signor Newmann togliendolo dal coma farmacologico. Le sue condizioni sono tutt'ora gravissime, ma può parlare, perlomeno"

Era il momento di dire addio, forse l'ultimo possibile.

Era ciò che stava cercando di dirmi la dottoressa con una delicatezza apprezzabile.

Feci un respiro profondo, cercando di calmare i miei pensieri a briglia sciolta: mio padre, l'uomo che mi aveva dato la vita, stava morendo ad un piano di distanza dalla mia stanza.

"La ringrazio moltissimo, dottoressa. Chiamerò mia sorella per informarla e dopo desidererei vederlo possibilmente"

"Ma certo, Boyd. Questo pomeriggio manderò qualcuno e farò in modo che ti porti da tuo padre" mi rispose, sorridendomi gentilmente.

Ignorai la rabbia al pensiero che anche solo per scendere un piano di scale, avrei dovuto farmi scarrozzare, perché al momento l'unica cosa a cui riuscivo a pensare era che avrei parlato per l'ultima volta con mio padre.

"Buona fortuna, Boyd. Per tutto" mi disse la dottoressa, prima di spalancare la porta e uscire dalla mia stanza.

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