CAPITOLO 12 "Dov'è finito Dominic?"

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Quando ormai era giunta la notte Barbarah si era diretta alla sua roulotte. In punta di piedi entrò facendo segno a Oliver di restare fuori in silenzio. Avanzò piano chiudendo la porta dietro di se. Oliver si guardò intorno, un lampione scassato faceva luce a intermittenza – carino – disse piano il ragazzo tra se. Quel posto metteva la pelle d'oca. Dopo qualche minuto la porta della roulotte si aprì e Barb uscì con una coperta e dei cuscini in mano. Oliver inarcò un sopracciglio e indicò le coperte che l'amica teneva strette al petto – campeggio? – lei allungò un bracciò e lo colpì con il palmo alla fronte – seguimi – lui obbedì in silenzio. Raggiunsero la piazzetta con l'altalena e Barbarah aprì la macchina di Oliver lanciando coperta e cuscini al suo interno – dormiamo in macchina? – chiese lui, Barb si era seduta sul sedile del conducente e si stava sfilando gli anfibi – no ma ci mancherebbe – li lanciò sui sedili posteriori – abbiamo una suite in un albergo a venti stelle monsieur. – Oliver rise e scosse il capo – tu sei fuori – disse mentre faceva il giro del veicolo.

Quando si risvegliò aveva male dappertutto, ogni singolo osso del suo corpo era intorpidito, provò a stirare le gambe ma non ci riuscì, stirò un braccio a fatica e, quando provò a stirare anche l'altro Barbarah addormentatasi sopra brontolò qualcosa, riuscì a liberarsi e provò a calare il finestrino, i vetri erano tutti appannati, si chiese come non avessero fatto a morire soffocati. Non ci riuscì, imprecò e allungando le dita afferrò la maniglia, la tirò verso se e lo sportello si aprì cigolante, un ondata d'aria fresca entrò nell'auto, Oliver respirò a pieni polmoni, poi tossì di colpo, un puzzo nauseabondo di bruciato gli stava graffiando la gola, spalancò lo sportello e si lasciò cadere fuori dall'auto, tossì e i polmoni gli facevano su e giù. Con la schiena contro la ghiaia dell'asfalto sentì mille pietrine conficcarsi tra le scapole. Il sole era alto nel cielo, forse il caldo era tornato. Non ne era sicuro tanto era stordito dal fumo e del puzzo di bruciato. Sopra alla sua testa comparvero degli occhi azzurri. Qualcuno lo stava guardando, si tirò in su e, facendosi indietro con le mani vide una figura snella ed elegante che se ne stava retta ad osservarlo – tu, tu chi sei? – chiese Oliver stordito un po' dal sonno, un po' dal fumo.

- Il mio nome è Gregor – rispose lui – e sono un angelo del regno celeste. E' bello fare la tua conoscenza Oliver Scott Wilson – quello era un angelo, Gregor, l'angelo di cui le aveva parlato Barbarah? Restò ad osservarlo ammutolito. Era vero, aveva qualcosa di simile a Dominic ma adesso, guardandolo bene, era... diverso. La sua compostezza, il modo di porsi...

Era alto come Oliver, slanciato, avrà avuto trenta o trentacinque anni, riconoscibili piccole rughe ai lati dei suoi sottili occhi azzurri. I capelli erano mossi di un biondo cenere lunghi fino al collo tirati all'indietro. Il naso perfettamente simmetrico, il viso asciutto e scarno con zigomi pronunciati. Spalle grandi e dritte come quelle di un ballerino di danza classica. Indossava una giacca blu scuro su un jeans chiaro e dei mocassini marroni. Ecco cosa lo rendeva diverso dal suo angelo pensò Oliver, quello dinnanzi a lui era un uomo, Dominic invece era una ragazzo, ringraziò il regno dei cieli per avergli mandato Dom e non questo signorotto che si trovava davanti. Il giovane si alzò continuando a tossire, con occhi socchiusi per il sole continuò a tenere Gregor sotto tiro. Lo sportello del conducente si aprì e Barbarah uscì dal veicolo tossendo e imprecando – deficienti! – diceva tra un colpo di tosse e l'altro – perché non date fuoco a voi stessi anziché bruciare la spazzatura a quest'ora del mattino con questo caldo? COGLIONI! – Gregor compostò con le mani in mano e il capo chino tossì, Barbarah si accorse della sua presenza, lo superò a grandi passi raggiugendo il suo amico. Aveva i capelli scapigliatissimi, il broncio e un'espressione di disgusto mista a rabbia. Era scesa di fretta dall'auto tant'è che non aveva fatto in tempo a rimettersi le scarpe. Se ne stava sui ciottoli con dei calzini rosa e bianchi con dei coniglietti cartoon giapponesi disegnati ai lati, Oliver gli osservò i piedi e lei abbassò lo sguardo per capire cosa il ragazzo stesse guardando, si guardò i piccoli piedi, li arricciò sull'asfalto e sollevando il capo sbuffo scostandosi dal viso una ciocca di capelli ribelli. Camminò come in marcia e aprì lo sportello posteriore dell'auto, con metà corpo dentro la macchina e metà fuori si mise a cercare i suoi stivali.

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