Capitolo 6

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NATE

Ci sarà da divertirsi. Un'uscita con la bambina, che spasso. Merda, devo giocarmi bene questa carta. É forse l'unica possibilità che Nora mi darà. A pelle, non sembra la classica persona che ne concede facilmente una seconda. O la va, o la spacca. E il desiderio che vada bene mi dà un'immensa carica di adrenalina.

Domani sera, finalmente, avrò la mia occasione. La situazione mi mette sotto pressione, anche parecchio. E se dovesse andare male? Non potrò sempre contare su Wendy, per far sfogare la mia eccitazione. E nemmeno sulla masturbazione. Muoio dalla voglia di assaggiare lei, piccola, delicata ma altrettanto forte e decisa. Mi sta rendendo matto, dannazione. Non riesco a togliermi dalla testa quelle gambe snelle e longilinee.

Mando giù un bicchiere d'acqua, osservando la sedia dove era seduta lei. Non mi piace la domenica. No, non mi piace é riduttivo. Io detesto la domenica. Il giorno dove la famiglia di riunisce, dove nessuno va a lavorare. Giorno di festa e di gioia, di relax, di giochi di società con i fratelli. Bei momenti, per carità. Se solo potessi viverli anche io.

Giusto per rendere la giornata peggiore, questa mattina sono stato svegliato da una telefonata. L'unica che non avrei voluto ricevere per nessun motivo al mondo. L'unica che mi fa incazzare e mi spaventa allo stesso tempo. Ma sono tre settimane, forse anche quattro, che non mi faccio vivo. Meglio evitare che sia lui a venire da me, sul mio posto di lavoro. Farebbe disastri, ne sono certo. E non posso permettermi di perdere questo posto. Mi serve. Quindi, sono stato costretto a smettere di ignorarlo.

E tra un paio d'ore sarò a pranzo a casa di Isaac. Mi tremano le mani e non riesco a fare niente per poterle fermare. Solo l'idea di vederlo mi fa venire la nausea, al punto che potrei correre in bagno a vomitare da un momento all'altro.

Torno in camera, sicuro di avere una brutta cera. Come devo vestirmi? Non so mai cosa mettermi, quando vado da lui. Potrei trovarlo elegantissimo, in giacca e cravatta, con la valigetta con i documenti tra le mani. Però è capitato - e non raramente - che lo trovassi ubriaco, sdraiato sul divano in dormiveglia. Con una bottiglia di tequila tra le mani.

Mi lascio cadere a peso morto sul letto. Non ho voglia di vederlo. Ma d'altronde, non ho alternative. Mi tocca rialzarmi e infilare un paio di jeans e una camicia scura. Normale. Potrebbe adattarsi ad ogni situazione. A qualsiasi cosa io possa trovarmi davanti.

Sbuffo, chiudendo la porta a chiave. Il senso di nausea aumenta, ma non è il momento di pensarci. Sono stato già troppo tempo a rimuginare su questo pranzo, questa mattina.

Salgo in macchina, inserendo le chiavi. Sto quasi per girarle e partire a tutto gas, quando la sua voce mi distrae.

"Torni a casa anche tu, di domenica?".

Merda, merda e ancora merda. Sto sudando freddo. Dove sto andando? Non lo so, cazzo. Sono anni che non lo so. Tanti anni. Quanto tempo é passato, da quando ho smesso di considerare casa mia la mia vera casa?

Mi volto verso di lei, che mi sta fissando dal vetro, facendomi segno di tirare giù il finestrino. E l'accontento. Come dire di no a Nora, quando indossa un abito leggero e dannatamente sexy? In realtà, lei é sempre sexy.

Alla fine, annuisco. Non so nemmeno io perché l'ho fatto. Vergogna, probabilmente. Se avessi detto di no, magari mi avrebbe chiesto la mia destinazione. E allora, non avrei saputo cosa inventarmi. Dire di sì, anche se è una bugia, é sempre più facile.

Quel momento magico viene interrotto da Channing. La abbraccia, passandole un braccio attorno alla vita. E mi torna il senso di nausea. Giù le mani, stronzo. Esce con me. Okay, fa niente se é una sfida. Io la conto ugualmente come un'uscita.

Le bacia la guancia. "Andiamo, Nora? Ci aspettano per pranzo".

Un macigno mi si pianta nel petto. Questi due pranzano insieme la domenica? Come una famiglia? No, non posso tollelarlo. Ma allora stanno insieme per davvero. Mi prudono le mani e voglio vomitare.

La giornata può solo migliorare, visto come sto adesso. Ma quando accendo il motore e mi dirigo verso la mia destinazione, mi rendo conto che non é così. Peggiorerà. E basta.

Mezz'ora di viaggio passa velocemente. Persino troppo, a mio parere. Il quartiere é sempre uguale. Apparentemente un posto tranquillo, con villette a schiera e condomini. Se solo gli abitanti sapessero chi ci vive.

Parcheggio di fronte a casa sua. È una villa semplicissima, neppure troppo grande. Ha un piccolo cortile, sul davanti, in cui mi divertivo da matti andando in bicicletta. Con Izzy. Merda, no. Ogni volta la stessa storia.

Chiudo gli occhi e respiro profondamente. Okay, ci sono. Solo un pranzo. E poi via da qui per un altro mese.

Suono il citofono. "Entra".

Tono glaciale e totalmente apatico. È decisamente sobrio.

Un passo, due passi, dieci passi. Il vialetto finisce e la porta si spalanca.

"Buongiorno, Ray junior. È un po' che non ci vediamo".

Lo scanso, entrando nell'edificio senza rivolgergli nemmeno un'occhiata. "Devo ripeterti quanto odio quel soprannome?" ringhio.

Lui, in risposta, ride. "Oh, me lo dici sempre. É ciò che ci lega, Ray junior. Non puoi disprezzarlo".

Deglutisco e stringo i pugni. Non posso alzare le mani. Ci ho provato una volta e ci sono quasi rimasto secco. Ha i suoi scagnozzi, stronzi quanto lui, a dargli una mano. Mentre io sono da solo.

Mi dirigo verso la cucina. Prima mangiamo, prima potrò andarmene. Quindi, meglio iniziare subito, perché ho già terminato la pazienza a mia disposizione.

Scosto la sedia e mi metto seduto. "Pranziamo?" domando, nascondendo lo sforzo che mi provoca anche il solo rivolgergli la parola. Ma dovrò andare avanti così per tutta la vita? Bella vita, davvero.

Lui ride di nuovo. Diamine, che voglia di spaccargli la faccia.

"Sei affamato? Cavolo, non ti danno da mangiare, in quel locale di merda?" sghignazza.

"Basta!" urlo "Smettila, ti prego. Sono affamato. Possiamo mangiare?".

Mi dovranno fare santo, un giorno. Mando giù a stento quella bistecca, dura come un macigno. Anche il vino é visibilmente di qualche sottomarca eccessivamente scadente. Bleah, a dir poco disgustoso. Tornando in città mi dovrò fermare a prendere un hamburger o morirò di fame.

Pulisco la bocca con il tovagliolo, facendo strisciare la sedia all'indietro per avere lo spazio di alzarmi. Ma lui mi blocca, tenendomi per il polso. "Vai già via, Ray junior?".

"Sí, Isaac. Mi avevi invitato a pranzo e abbiamo mangiato, giusto? L'invito é terminato. Non insistere".

Ma lui non sembra ascoltarmi, vista la reazione. Scatta in piedi, portandosi davanti a me. Sono alto e pure muscoloso. Eppure, lui lo é più di me. In aggiunta, ha persino due occhi di ghiaccio che sono in grado di far rabbrividire chiunque. Sa sottomettere. E si diverte a farlo.

"Ancora con questa storia? Non voglio mai più sentirti dire il mio nome di battesimo, Ray. Sono tuo padre. E devi imparare a trattarmi come tale. Ci siamo intesi?" annuncia, con l'espressione tipica di chi é abituato ad avere il mondo ai suoi piedi. Adesso gli vomito addosso, data la dose di nervoso che mi ha provocato. E il cibo di merda che ho dovuto mandare giù. 

Assottiglio gli occhi, cercando almeno un po' di spaventarlo. Ma, in risposta, ride di nuovo. "Che c'è, Ray junior, hai perso l'uso della parola?".

Okay, ho decisamente fallito.

Dalla porta della cucina entra uno dei suoi amici. Grosso, massiccio, stronzo e con una pistola nei pantaloni. É sicuramente uno di loro. "Bisogno di qualcosa, capo?".

"No, grazie. Mi sto semplicemente godendo una bella domenica con mio figlio. É tutto sotto controllo".

Certo. Ci stiamo proprio divertendo. Cazzo, voglio andarmene. E, invece, Isaac Raymond Rivera mi tiene bloccato qui.

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