Trentadue

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Una pagina che, a volte, ha bisogno di un punto fermo, prima di essere voltata del tutto.

Un punto al passato, ai capitoli mai conclusi davvero, ai pesi sul cuore e sull'anima.

Un punto da cui poter ripartire da zero.


Arranca sulle scale che portano alla sua finestra. Non riesce a reggersi in piedi. A malapena percepisce sotto le dita il freddo della ringhiera di ferro a cui cerca di tenersi per non scivolare. È come se, da quando l'ambulanza ha portato via Madison, sfrecciando ad una velocità che non prometteva niente di buono, lei non esistesse più. È come se un qualcosa di tremendamente ed infinitamente troppo più grande di lei l'avesse annientata in un istante, sbriciolando anche quel fragile involucro vuoto che era diventata in quegli ultimi tre mesi, l'ultima traccia di ciò che era rimasto di lei. È come se avesse smesso di percepire anche la più piccola cosa, come se i suoi sensi ed il cervello non riuscissero più a comunicare, a lavorare bene insieme. È come se il buio, le catene, il dolore, il senso di vuoto, si fossero volatilizzati nella frazione di un attimo, lasciandole dentro qualcosa di peggiore; un qualcosa che la rende priva di emozioni, di luce; un qualcosa che sembra aver scoperto ogni suo singolo punto debole per giocarci pur di mandarla al tappeto, pur di annientarla del tutto. È come se il tempo avesse smesso di scorrere, come se ogni cosa si fosse cristallizzata nel momento in cui i suoi occhi scuri si sono posati sulla figura della sua migliore amica coperta di sangue. È come se tutto quanto avesse perso i suoi colori, la sua luce, la sua scintilla di vita; come se ogni cosa avesse perso quel senso nascosto che tutti cercano continuamente senza mai riuscire a trovarlo davvero. È come se il suo essere umana le si fosse rivoltato contro, trasformando il suo pregio maggiore nella sua debolezza più grande; come se il suo essere fragile, vulnerabile, avesse capovolto tutto quanto, impedendole di provare anche soltanto la più piccola emozione.

Perché Letizia non prova niente, da quando è uscita da casa di Madison. Non ha provato niente mentre camminava verso casa sua: nessun dolore, nessuna ansia, nessuna preoccupazione, nessun rimorso, nessun senso di colpa, nessuna paura, nessun senso di vuoto, nessuna tristezza, nessuna frustrazione. Non prova niente neppure adesso, mentre sale le scale a fatica, come se ogni passo la prosciugasse ulteriormente. Non riesce neppure a muoversi per inerzia: è come se fosse bloccata e compiere ogni piccolo gesto le infliggesse una pena indescrivibile persino per lei, che con le parole è sempre stata brava, più che con i fatti.

Arriva alla sua finestra che quasi non sa più neppure come respirare, come se muovere il petto fosse diventata un'azione che non è più in grado di compiere. Stessa cosa per le sue mani, bloccate lungo i fianchi, come se il cervello non fosse più capace di farle muovere per aprire il vetro ed entrare in camera. Proprio come le sue gambe, ferme come pezzi di legno che non hanno la benché minima intenzione di muoversi.

Non prova a concentrarsi, a prendere un respiro per calmare i nervi. Non ragiona.

Semplicemente, aspetta davanti al vetro per un tempo che sembra non passare mai. Aspetta, come se avesse bisogno del permesso per continuare a fare qualsiasi altra cosa, come se non le fosse più concesso di essere libera, come se quel qualcosa più grande di lei avesse preso posto dentro il suo corpo per infliggerle quell'estenuante tortura pur di vederla agonizzare dal dolore. Un dolore che però non riesce a toccare o a scalfire niente.

Perché dentro di lei c'è qualcosa di indefinibile che è peggio del niente.

Il tempo intanto passa. Il sole tramonta. Il freddo diventa più pungente.

E Letizia è ancora lì, bloccata, come se quel qualcosa di indescrivibile facesse di tutto pur di rinchiuderla dentro se stessa, la prigione peggiore di tutte.

Burn with you || c.hDove le storie prendono vita. Scoprilo ora