Diciannove

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Però spesso le ferite sono così profonde che a volte non c'è modo di rimarginarle completamente.

È così che tutto peggiora, che tutto inevitabilmente diventa grigio, senza luce.

Senza quella luce che invece basterebbe per mettere a posto ogni cosa.


Di nuovo i corridoi pieni di persone in attesa. Di nuovo i brividi che gli corrono sulle braccia coperte da una felpa leggera – usata per nascondere segni che lui stesso odia vedere su di sé – nonostante le temperature di quel giorno siano più alte del solito, probabilmente perché si sta finalmente avvicinando l'estate. Di nuovo il cuore che gli batte forte nel petto per l'ansia. Di nuovo a domandarsi se ciò che sta facendo a se stesso e ad uno dei suoi migliori amici sia giusto. Di nuovo a chiedersi se non sarebbe meglio smettere con quella storia, che lentamente lo ha cambiato e sta continuando a farlo. Di nuovo a chiedersi perché non è più forte di così e perché ha permesso al dolore di vincere senza lottare neppure un secondo per cercare di stare in piedi.

Sospira, Calum. E vorrebbe tanto non permettere ai dubbi di assalirlo in quel modo; vorrebbe estirpare tutto quel nero che ha lasciato entrare dentro al suo cuore; vorrebbe smettere di aver bisogno di quella via di fuga per scappare, per superare le giornate. Perché; nonostante Letizia, nonostante il suo affetto, il suo sorriso, il suo esserci sempre per lui, il suo riuscire a non farlo pensare almeno per un po'; il moro ha bisogno di più per dimenticare, ha bisogno di più per liberarsi di quel peso che altrimenti lo schiaccerebbe se lui si lasciasse andare del tutto.

Si passa nervosamente una mano tra i capelli scuri. E intanto gli occhi vitrei si spostano in continuazione da una parte all'altra del corridoio, ansiosi, impauriti, troppo diffidenti per chiedere aiuto. Pure il cuore continua a battere forte, quasi fosse un cavallo al galoppo che non ha intenzione di fermarsi, non per il momento, non fino a che Calum resterà in quel posto, dentro quell'ospedale in cui non vorrebbe mettere piede così spesso, a causa di quella debolezza che spera di far sparire in un modo o nell'altro.

Si guarda attorno, perso; quasi non gli sembra più di sapere dove sia. È come se ad un tratto fosse stato improvvisamente rinchiuso in una bolla e vedesse tutto quello che accade attorno a sé da una certa distanza, mentre i suoi piedi continuano a camminare, continuano a farlo passare per corridoi sempre meno pieni di persone, seguendo quel cammino ormai imparato a memoria. Un cammino che lo porta davanti la porta di quel ripostiglio troppo piccolo, troppo pieno di vecchi oggetti. L'unico posto in tutto l'edificio dove poter dar luogo a quegli incontri tutto meno che normali; incontri che, nonostante l'attenzione quasi maniacale di entrambi, potrebbero rivelarsi una rovina per loro due. Incontri a cui Calum spera di poter mettere fine presto, per il bene di tutti.

«Cal.» lo chiama ad un tratto qualcuno da dietro di lui, facendolo voltare; facendolo cadere nel vuoto nella frazione di un secondo; facendogli incontrare gli occhi dorati di Ashton, sempre preoccupati, contrariati. «Ci credi se ti dico che speravo di non vederti più qui dopo l'ultima volta?»

Calum annuisce lentamente e sospira, come a voler buttar fuori tutta l'ansia che prova.

«Io... Mi dispiace, Ash...» ammette; il cuore stretto in una morsa, la voce flebile, il corpo che trema per il senso di colpa che di secondo in secondo si fa sempre più strada dentro di lui, macinando quel poco di sano che era rimasto, quel poco per cui il moro aveva provato a lottare, senza successo.

«Se ti dispiacesse davvero, non saresti qui.» ribatte l'altro, duro. «Saresti là fuori a vivere davvero e non a crogiolarti in un errore che non è mai stato tuo.»

Burn with you || c.hDove le storie prendono vita. Scoprilo ora