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Ben.

Quel giorno il sole non dava un attimo di tregua, e i taxi sembravano non esistere. Avevo fame ma non mi azzardavo a mangiare. Il mio stomaco formicolava dall'agitazione. Sull'aereo non ero riuscito a chiudere occhio, e immaginavo che la mia faccia sembrasse quella di un vampiro in pieno giorno.
Fissai per l'ennesima volta sul cellulare l'indirizzo a cui dovevo presentarmi, facendo un respiro profondo. Forse non ero ancora pronto.
Quando finalmente un taxi mi affiancò, portai lo zaino in macchina e dettai l'indirizzo all'autista, dicendogli di andare il più veloce possibile. Quello annuì svogliatamente e sfrecciò sotto ai grattacieli che riflettevano il sole in mille modi, rendendo accecante qualsiasi punto in cui si guardasse.
Mi dimenticai anche di mettermi le cuffie nelle orecchie, ma tanto i pensieri nella mia testa urlavano troppo. A causa del maledetto traffico di quella città, arrivammo a destinazione solo dopo trenta minuti. Lasciai all'autista una banconota da venti senza preoccuparmi di ricevere il resto, scesi dalla macchina con la chitarra in spalla e per poco non mi dimenticai pure lo zaino.
Ecco. Era quello il posto.
Camminai sul sentiero di ghiaia circondato dal prato fino ad arrivare alla piazza principale. Era circondata da edifici bassi e color sabbia, in lontananza si scorgevano le piscine, i campi da basket e pallavolo, gli edifici nuovi sembravano i dormitori e c'erano varie terrazze ingombre di tavoli. Qualche ragazza di aggirava per il campus guardandomi con curiosità, ma per il resto, c'ero solo io. Il campus era enorme, ma sapevo bene dove dovevo andare. Salii una rampa di scale e girai a destra. Percorsi una strada e salendo un'altra rampa di scale raggiunsi uno spazio delimitato da alberi, panchine e, al centro, una fontana.
Guardai l'orologio. Mancavano cinque minuti. Me ne fregai delle strade.
Corsi giù per il prato in pendenza e alla mia destra comparve un edificio dello stesso colore degli altri, da cui sapevo che sarebbero usciti tutti nel giro di qualche minuto.
Rimasi in piedi immobile, aspettando.
Il suono confuso di una campanella si fece sentire, e un fiume di studenti fuoriuscì dalle porte.
Lei era tra quelli.
Alzai la testa per riuscire a distinguerla, ma sembravano esserci tutti meno che lei. Non riuscivo a tenere le dita ferme per l'agitazione.
E poi, semplicemente, la vidi.
Aveva ancora gli stessi capelli biondi, si notava anche da lontano. Rideva, ed io mi chiesi chi, in tutto quel tempo, fosse  riuscito a farla ridere anche senza di me.
Quando si fece un po' più avanti, vidi al suo fianco un ragazzo e una ragazza, il primo con i capelli biondo sporco e occhi verdissimi, che gesticolava raccontando qualcosa, e una ragazza alta come lei, con lunghi capelli castano scuro e uno strano sorriso sempre appena accennato in viso.
Spostai ancora lo sguardo su di lei, incapace di muovermi per l'uragano che stava causando dentro di me.
Dopo mesi e mesi.
Ce l'avevo di nuovo davanti.
Senza alcun preavviso, spostò gli occhi luminosi sui miei.
Ci volle poco perché li spalancasse, lasciasse andare il libro che aveva tra le mani e portasse una mano alla bocca per la sorpresa.
E poi cominciò a correre, correre più veloce che poteva, liberandosi dello zaino che portava solo su una spalla, verso di me che rimanevo immobile.
Quando mi saltò addosso, sentii solo una scossa che fece battere il mio cuore più forte, che mi fece sentire come se, con la sua lontananza, non avesse battuto per niente.
Le sue lacrime mi bagnavano la maglietta, e per quanto cercasse di parlare, non riusciva a formulare una parola compiuta.
-Sono qui ora, va tutto bene, Soph.. Sono qui..- Riuscii finalmente a sussurrarle, mentre la stringevo più forte.
Maledizione, quanto era magra.
-Mi sei mancato.. Non hai idea di quanto..- Riuscì a dire tra i singhiozzi.
Posai la testa nell'angolo tra il suo collo e la sua spalla.
La sua voce mi era mancata come ti manca l'aria quando sei bloccato sott'acqua.
-Stai bene?- Chiese lei scostandosi per far sì che i nostri occhi azzurri si incontrassero.
Era bella, bellissima, bella come un tramonto al mare, come l'alba, la musica, i sogni, i libri, i sorrisi che solo lei sapeva fare, le risate che riempivano i vuoti dentro di me.
-Ora sì, Soph. Ora sì.- Mormorai prima di tornare a stringerla.

Sophia.

Fisica. Meglio conosciuta come "materia che si fa mille complessi su una palla che rotola". Credo fosse la materia che detestavo di più. Per fortuna mancavano solo cinque minuti alla campanella.
Mi ritrovai a pensare a quanto velocemente fossero successe così tante cose. Ormai mancava solo una settimana alla fine dell'anno scolastico, e poco più al mio rientro in Italia. In quei cinque mesi e poco più nella nuova scuola avevo conosciuto tantissime persone nuove. Martina ed io ci sentivamo lo stesso tutti i giorni, e parlavamo anche per ore. Di lì a pochi giorni sarebbe andata in Australia, e non vedeva l'ora di incontrare Sierra.
Con Benjamin, era come se non fosse cambiato nulla. Ma mancavano i suoi abbracci, i suoi baci e il modo in cui solo guardandomi riusciva a tranquillizzarmi. I miei incubi erano diminuiti, ma quando nel pieno della notte ritornavano insieme alla ragazza dai capelli color miele, volevo solo le sue braccia dentro alle quali rifugiarmi. E allora, per qualche strano meccanismo di fusorario, lo chiamavo e lui rispondeva sempre.
La sua voce era più elettronica, ma era pur sempre la sua voce. E riusciva a farmi riaddormentare tutte le volte.
Mi mancava tanto che in certi momenti mi veniva in mente e non se ne andava più. Ed io diventavo di colpo silenziosa e persa dentro al passato che avevamo vissuto insieme. E non importava in che luogo mi trovassi, dovevo andarmene e restare sola. E che avrei preferito stare con lui era ovvio, ma non ne avevamo più la possibilità.

-Non pensarmi troppo.- Mi aveva detto prima di partire.
-E come, se sei l'unica soluzione?- Gli avrei detto.

La campanella mi distolse dai miei soliti pensieri. Liam e Vicky mi si avvicinarono.
-Io non so come faccia quella professoressa a restare sveglia durante le sue stesse lezioni.- Disse il biondo.
-È una cosa umanamente impossibile!- Intervenne Vicky, che non si sa come, ma durante le lezioni di fisica dormiva sempre, eppure non prendeva mai un'insufficienza.
Sorrisi.
Li avevo conosciuti entrambi il primo giorno, quando non riuscivo a trovare la strada per la classe e loro mi avevano accompagnato.
Uscii affiancata dai due, e sia io che Vicky ridemmo tantissimo ascoltando Liam raccontare di come una volta aveva dimenticato le chiavi di casa e fu costretto a dormire fuori dalla porta.
-Guardate che non c'è nulla da ridere: quel gradino era davvero scomodo, e in più..-
Ma io ero già altrove.
Il suono della voce di Liam diventò ovattato fino a sparire completamente.
Il mio corpo sembrava essersi bloccato lì, in quella posizione.
Non può essere.
Dopo cinque dannati mesi.
Avevo ancora davanti quegli occhi.
Il suo sorriso sbilenco.
Il suo vizio di non guardarti negli occhi mentre parli.
I suoi soliti tatuaggi.
Il mio solito Benjamin.
Sentii il suono del mio libro di fisica che si schiantava a terra.
E poi non m'importò di nulla.
Cominciai a correre verso di lui. Non vedevo niente se non il ragazzo che non stringevo da troppo tempo.
Corsi talmente forte da scontrarmi col suo petto, prima di abbracciarlo talmente forte fino a farmi male al petto.
Era lì con me.
Il ragazzo che sapeva farmi sorridere come nessun altro era di nuovo lì con me.
Strinsi la manica della sua felpa, e constatai che era reale. Che il suo profumo non era cambiato e che lo amavo ancora così tanto che poteva fare male.

/

eccomi qui di nuovo, pronta a rompervi le scatole ancora un po' con questo sequel!
spero che vi piacerà quanto "secret" e niente, fatemi sapere se vi è piaciuto.
as always, all the love,
C. <3

without you / benjamin mascoloDove le storie prendono vita. Scoprilo ora