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Ci sono diversi modi di cominciare a raccontare una storia.
Si può usare il testo di una canzone, parole scritte da persone che non conosciamo, ma che rispecchiano la nostra vita.
Qualcuno decide di partire dal principio, raccontando come i propri genitori si sono conosciuti e come sono arrivati ad avere la famiglia di cui si fa parte.

Altri invece, si concentrano sul momento in cui la storia comincia davvero, sull'avvenimento che cambia le carte in tavola.

Per quanto mi riguarda, non c'è stato un vero e proprio momento in cui la mia vita è cambiata radicalmente.
C'è stata una battaglia però, una battaglia che continuo a portare avanti: contro i commenti, contro i giudizi della gente, contro la possibilità di fallire e soprattutto contro me stessa.

È una lotta che una ragazza piuttosto ingenua si trova ad affrontare ogni giorno.
Una guerra in cui "il cattivo" rischia di prendere il sopravvento, poiché il campo di battaglia non è solo ciò che la circonda, ma anche ciò che ha dentro.

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Non ricordo di avere mai avuto una famiglia "normale", la situazione in casa Gleaming è sempre stata un po' strana.
Non ho mai chiesto alla mamma come avesse conosciuto papà, anche perché, dopo che lui se ne andò, il suo nome diventò un tabù all'interno della nostra famiglia.
La sua improvvisa sparizione ebbe lo stesso effetto di un breve spiffero d'aria, semplicemente un giorno era seduto a cena con noi ed il giorno dopo aveva fatto le valigie e lasciato un bigliettino in cucina, in cui spiegava di essersi innamorato di un'altra donna.

Nonostante una persona normale avrebbe avuto un crollo nervoso di fronte ad una notizia del genere, la mamma si dimostrò fredda ed impassibile. Ricordo che la sua unica preoccupazione era cosa avrebbe pensato la gente.
Credo persino di averla sentita borbottare, che sarebbe stato meglio e più accettabile se papà fosse morto in un qualche incidente.

D'altronde, mia mamma è sempre stata particolare. Sin da ragazza ebbe un'unica aspirazione: diventare una reginetta di bellezza. Ci riuscì, fu nominata Miss Ohio nel 1995.
È un titolo di cui si vanta ancora oggi, nonostante, insieme ai ricordi, arrivi la malinconia per il fatto di non aver potuto partecipare al concorso di Miss America.
Pochi giorni dopo la sua nomina infatti, scoprì di essere incinta di mio fratello Jordan e dovette dire addio alla sua "carriera".
Sembrava tutto perduto, finché non arrivai io.

Sin dalla tenera età, la mamma si preoccupó di iscrivermi ai più disparati concorsi di bellezza, di farmi prendere lezioni di danza, di ginnastica artistica, di tip tap e di canto. Io dovevo essere la migliore, la bambina più bella è più carismatica. Dovevo vincere.

Ho sempre avuto un'indole molto passiva e quieta, se mia mamma mi diceva di saltare io saltavo, se mi diceva di stare ferma mentre mi arricciava i capelli biondi io stavo ferma. Non le ho mai disobbedito, non sono mai andata contro i suoi sogni ed i suoi desideri.
L'ho resa orgogliosa di me: Miss America's Royal nel 2002, Little Miss Charlevoix nel 2003, Little Miss Ohio lo stesso anno, Little Miss Merry Christmas nel 2005, National Tiny Miss Beauty l'anno successivo ed una marea di altri inutili titoli accompagnati da coppe e piccoli diademi di plastica.
Be', per mia mamma quei diademi significavano tutto: li conservava, li lucidava, ed ogni giorno mi metteva di fronte ad essi ripetendomi quanto dovevo considerarmi fortunata e quanto avrei dovuto impegnarmi per ottenerne di nuovi.

Ma io non ne volevo degli altri.

Ovviamente ci vollero anni prima che riuscissi ad esprimere la mia opinione e a convincere la mamma a lasciar perdere. Ammetto però, che una concatenazione di eventi favorì la riuscita della mia piccola ribellione.

Prima di tutto la mamma trovó un uomo: Trevor, un imprenditore del settore vinicolo, affascinante e simpatico. Questo le diede modo di distogliere, almeno in parte, l'attenzione da me.

Più importante fu l'aiuto di mio fratello Jordan, il quale mi spalleggiò quando pregai la mamma di poter entrare nella squadra di cheerleading delle scuole medie di St. Marys.
Non appena cominciai a vincere premi insieme alla squadra, poi, la mamma capì che non partecipare ai concorsi di bellezza non significava che sua figlia fosse una perdente, ed incoraggiò persino la mia riuscita nel cheerleading.
Ero felice, per la prima volta nella mia vita stavo facendo quello che volevo. Non ero più Daisy Gleaming la reginetta di bellezza, ero Daisy Gleaming la cheerleader. Ero una semplice studentessa, una semplice ragazza dell'Ohio.

Tuttavia, ben presto mi resi conto del fatto che avevo solamente cambiato lo scenario, non la situazione.
Quando Jordan partì per studiare alla Juilliard, a New York, mi ritrovai a far parte della squadra di cheerleading della Memorial High, e se durante le medie gli allenamenti erano leggeri e quasi piacevoli, alle superiori diventarono estenuanti.
Non bastava dare il proprio meglio e divertirsi, si richiedeva molto di più.

Ancora oggi, dopo tre anni dal mio ingresso nella squadra, mi ritrovo a dovermi spingere oltre i miei limiti, a dover competere contro le mie paure e le mie debolezze.

Oggi, il pensiero di essere Daisy Gleaming, la cheerleader, mi spaventa a morte.

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