39.

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Il suono di un clacson mi fa svegliare di soprassalto. Spalanco gli occhi mentre sento il cuore battere forte per lo spavento, subito dopo le mie pupille si abituano alla luce del sole ed il mio cervello, pian piano, elabora il fatto che non mi trovo nella mia camera a St Marys, ma in quella di un appartamento a New York.

Riporto alla mente i ricordi del viaggio di questa notte, come nonostante le insistenze di Jordan abbia spento il cellulare subito dopo aver mandato un messaggio alla mamma per avvisarla della mia partenza. Non volevo rischiare che Alex tentasse di contattarmi, né che lo facesse Tanisha. Non posso dirle la verità...

La verità in questione, però, non mi ha fatto chiudere occhio durante il viaggio in auto, mentre aspettavo all'aeroporto o in volo. Di conseguenza, quando sono atterrata a New York, ero talmente stanca, scossa e priva di forze da riconoscere a malapena mio fratello. Jordan mi ha stretta tra le sue braccia, cullandomi e dicendomi di stare tranquilla, senza capire che non ero turbata, solo sfinita.
Poi è stato il turno della sua ragazza, Peggy, la quale, con un lieve sorriso e un po' di imbarazzo, mi ha salutata abbracciandomi a sua volta. Solo sul taxi mi sono finalmente "rilassata" e, senza poter controllare le mie palpebre, ho chiuso gli occhi e mi sono addormentata. Jordan mi ha svegliata una volta arrivati a casa; mentre lui trasportava il mio trolley, Peggy si preoccupava di farmi salire le scale senza che inciampassi sui gradini. Infine ho un ricordo confuso del tragitto fino alla camera e non ho la minima idea di come io abbia raggiunto il letto. Ho dormito vestita e truccata tanto ero stanca, ma ora... ora tutto quello che il sonno mi aveva fatto dimenticare sta tornando a galla.

Alex.
La festa al lago.
Le sue bugie.

Sento l'ennesimo conato al solo pensiero, la paura che Tanisha possa essere con lui in questo momento e nuove lacrime cercare una via d'uscita. Tuttavia, nonostante abbia un mal di testa epico e mi senta come se tutte le forze avessero abbandonato il mio corpo, un pensiero si fa spazio tra tutti gli altri.
Comincio a tastare le lenzuola e le coperte alla ricerca di uno strumento indispensabile, dopodiché, senza nemmeno rifletterci, recupero il cellulare e dopo averlo acceso ed aver velocemente nascosto le notifiche compongo un numero che conosco a memoria. Accosto lo schermo all'orecchio, prima di stringere gli occhi e pregare che risponda.
Ma non lo fa.

Sconsolata, abbandono il telefono e prendo la coraggiosa decisione di alzarmi. Sul comodino che affianca il letto trovo un biglietto di Jordan.

La stanza degli ospiti è collegata al bagno di servizio, fai una doccia calda e cerca di rilassarti, eri ridotta uno straccio ieri sera e non so cosa sia successo, ma non mi piace, Daisy.
Ci vediamo più tardi,
Jordan.

Vorrei sorridere nel notare quanto mio fratello sia premuroso, ma l'unica cosa che riesco a fare è sentirmi in colpa per averlo fatto preoccupare tanto. Nonostante ciò so di aver preso la decisione giusta: New York è la mia via di fuga.

Sospiro, abbandono il biglietto dove l'ho trovato ed individuo subito la porta che conduce al bagno di servizio. Mi avvicino di soppiatto e ne controllo l'interno: non c'è nessuno. Prima di perdere questa preziosa occasione recupero il necessario dal trolley e seguo il consiglio di Jordan.
La doccia si dimostra miracolosa, mi permette di rilassarmi e, per un po', di non pensare. Tuttavia, non appena asciugo i capelli, mi vesto e torno in camera, il mio cellulare che squilla fa ripartire l'estenuante lavoro della mia mente. Mi avvento sul telefono e rispondo all'istante. « Chad?»

« Daisy, mi dispiace di non aver risposto prima, ero agli allenamenti e...»

« Non importa.» lo interrompo scuotendo la testa. Il suono della sua voce mi fa sentire un vuoto allo stomaco talmente grande, che per un attimo temo di scoppiare di nuovo a piangere.

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