26.

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Il ticchettio dell'orologio appeso in cucina la fa da padrone. Scandisce i secondi, riecheggia nella stanza, fa battere il mio cuore più velocemente, mi fa contorcere lo stomaco.
Odio quell'orologio, odio questa situazione.

« Daisy, sono passati ben due minuti.» mi ammonisce mia mamma. Ha le braccia incrociate, mi osserva a qualche passo di distanza con uno sguardo gelido e, in qualche strano modo, triste.

« Ci sto provando.» sussurro sconsolata, mentre la mia attenzione è tutta concentrata sul piatto posato sul bancone, di fronte a me.

In breve, questo è quello che è successo nelle ultime ore: Alex ha seguito il mio consiglio e mi ha lasciata in pace, poco dopo mia madre è piombata a scuola ed ha parlato con l'infermiera e, mio malgrado, con il preside. Si sono consultati di fronte a me, ignorandomi per almeno un quarto d'ora, mentre io cercavo di respirare e di non andare nel panico. Quando mi sono state poste delle domande dirette, però, la paura è esplosa.
"Da quanto va avanti questa storia?"
"Esattamente, fino a che punto ti sei spinta?"
"Puoi salire sulla bilancia?"
"Perché non parli, Daisy?"
"Puoi confidarti con noi, che cosa sta succedendo?"
"Qualcuno è a conoscenza della situazione?"
"Hai freddo, Daisy? Stai tremando."
"Daisy, ti senti bene?"
"Daisy?"

Daisy, Daisy, Daisy. Era palese che si trattasse di un interrogatorio, così com'era palese che io non volessi rispondere. Alla fine, mandando giù il groppo che avevo in gola e cercando lo sguardo della mamma, ho detto la prima cosa che mi è venuta in mente: "Non mi sento molto bene, possiamo andare a casa?".

Ho impietosito tutti, e mi ha spaventato il fatto che ne fossi tanto soddisfatta ed orgogliosa: come sono passata dal non voler far preoccupare nessuno, all'approfittarmi della loro preoccupazione per scappare?
La mamma ha assicurato al preside e all'infermiera che si sarebbe occupata della questione, cioè me, e che li avrebbe tenuti al corrente delle sue decisioni.
Per cui mi sono ritrovata in auto con lei e con la sua ramanzina, la quale, sorprendentemente, non era rivolta alla sottoscritta.

« Mi rendo conto di essere stata spesso fuori casa ultimamente.» ha cominciato, tenendo gli occhi fissi davanti a sè. « Ma non mi è passato neanche per la testa che tu ti trovassi in questa situazione, tesoro, davvero. Se lo avessi saputo...»

« Mamma, non c'è niente di cui preoccuparsi.» ho cercato di interromperla, sentendo il senso di colpa invadermi. Lei non mi ha ascoltata.

« Eppure c'erano tutti i segnali: il fatto che uscissi per correre così presto, o così tardi, il tuo saltare la colazione... non mangiavi con Chad più tardi, non è vero? E poi quei gruppi di studio con Tanisha esistevano davvero?»

« Mamma...»

« Avrei dovuto accorgermene, Daisy. È evidente che tu sia dimagrita, ma non capisco che cosa ti abbia spinta a farlo, sei bellissima.» ha sussurrato scuotendo la testa. Simultaneamente io ho pensato che si sbagliasse, che se fossi stata "bellissima", se fossi stata "giusta", non avrei dovuto impegnarmi tanto per accettare la mia immagine riflessa allo specchio.
Le altre sono bellissime, io sono solo sbagliata.

Una volta tornata a casa ho seguito la mamma in cucina, dove lei ha cominciato a prepararmi un toast senza nemmeno chiedermi se lo volessi. Mentre era intenta a cucinare, mi ha informata del fatto che poteva immaginare quello che stessi passando, il mondo dei concorsi di bellezza era duro ai suoi tempi come lo è ora, molte sue "amiche" in passato sono cadute in un vortice pericoloso: quello dell'anoressia.

A quel punto avrei voluto interromperla, avrei voluto dirle che io non sono malata, che si tratta solo di una dieta, che il mio peso non si avvicina neanche lontanamente a quello che vorrei che fosse, ma non sono riuscita a pronunciare una sola parola, mentre lei parlava di psicologi, di quanto fosse importante sfogarsi, del fatto che probabilmente sarebbe stato utile consultare anche Trevor.
Poi mi ha messo davanti il piatto, ed io l'ho guardato spaventata, lo sto ancora guardando spaventata.

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