1. Eric

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«Eric. Dai, svegliati. Devi assolutamente darmi un passaggio», grida mio fratello Gerald alzando violentemente le coperte che mi tengono caldo durante le fredde mattinate di novembre.
Le mie giornate iniziano su per giù tutte così.
«Non puoi chiedere ad Emile?» sbotto nervoso riavvolgendomi nelle coperte.
«Eric!» mi ammonisce mia madre irrompendo nella stanza. «Accompagna subito tuo fratello, prima che faccia ulteriore ritardo», ordina a gran voce prima di sparire di nuovo.
«E comunque Emile lavora, a differenza tua», aggiunge Gerald con arroganza.
Ed ecco la mia vita riassunta in una mattinata.
Emile è il più grande dei tre e, come sottolinea di continuo mia madre o Gerald, è un noto avvocato di Nizza. Si è laureato nei tempi prestabiliti ed ha avuto subito la cosiddetta "fortuna" di riuscire ad aprire uno suo studio legale, nel quale non poteva non mancare una sexy ed intelligente segretaria, Céline Petit, nonché sua futura sposa. Non conosco molte informazioni riguardanti la sua vita, se non che vive insieme a sua sorella, la quale non ho mai conosciuto nonostante frequenta lo stesso corso di ingegneria con mio fratello Gerald, nella casa  lasciata dai suoi genitori che vivono attualmente in Belgio. Presto diventerà il loro nido d'amore. Ma non so altro, poiché non mi è dato saperlo, né tantomeno mi interessa.
Anche io diventerò un avvocato come Emile e il vantaggio di poter far praticantato nel suo studio è una grossa opportunità per me.
Questo dovrebbe essere il mio ultimo anno di università, nonché l'anno della laurea, ma non sarà così. Ho moltissimi esami ancora da dare e solo un miracolo mi aiuterebbe a darli tutti in pochissimi mesi. La colpa, ovviamente, non può non essere che mia; in questi anni mi sono un po' adagiato sugli allori. Ma la cruda e nuda verità è che in realtà fare l'avvocato non è mai stata una mia grande aspirazione. Se avessi potuto scegliere, avrei scelto sicuramente tutt'altro, anche se non so precisamente cosa. Iscrivermi a giurisprudenza è stata una specie di imposizione da parte di mia madre, proprio perché non avevo le idee molto chiare sul mio futuro, a differenza di Emile e Gerald che hanno trovato subito la loro strada. Sono la cosiddetta "pecora nera" della famiglia; non sono ben visto da nessuno dei tre. Non fanno altro che sottolineare il mio mancato aiuto economico in casa e quant'altro. Ma non è questo il motivo per il quale non sono ben visto in famiglia: mi addossano la colpa dell'allontanamento di mio padre da casa nostra.
Mi alzo furioso dal letto e afferro le prime cose che trovo sulla sedia. Affondo il naso nei miei vestiti per accertarmi che non puzzino della calda nottata trascorsa poche ore fa a base di alcol e sesso casuale.
«Dovresti farti una doccia», mi canzona mia madre.
«Non posso. Devo accompagnare mio fratello a lezione, perché non è intenzionato a prendere la patente come fanno tutti i ragazzi della sua età», borbotto infilandomi la felpa.
«Fa un po' come ti pare. Non troverai mai una ragazza se non badi alla tua igiene.»
«Oh, mamma», interviene Gerald, «se solo tu sapessi dove trascorre tutte le sue serata il nostro caro Eric. Possiamo dire tutto di lui: scansafatiche, riservato, introverso... Ma credimi le donne non gli mancano. Ne ha ogni sera una diversa.»
«Parlavo di una ragazza seria, non quelle sgualdrine con cui fa chissà cosa ogni notte.»
«Ti aspetto di sotto, Gerald. Porta il casco», mormoro noncurante del loro battibecco sulla mia vita privata.
Salgo sulla mia moto e comincio a scaldare il motore. Nell'attesa afferro il mio cellulare e contatto la ragazza con cui sono stato stanotte di cui non ricordo nemmeno il nome, l'ho salvata sotto il nome di "9 Novembre", ovvero ieri. È così che salvo il numero delle ragazze con cui passo una sola notte. Devo richiamarle e scaricarle il giorno dopo con un semplice messaggio o una telefonata se ne ho proprio voglia.
«Pronto?»
«Buongiorno.»
«Eric. Non mi aspettavo una tua chiamata stamattina. Senti già la mia mancanza?»
Ricorda il mio nome? Perché deve rendere le cose difficili.
«No. Ti ho chiamato per ringraziarti del sesso che mi hai regalato e per dirti che non ci vedremo più perché... Dai, scegli tu la motivazione che trovi meno ridicola.» So di sembrare un vero stronzo e forse è proprio così, ma se una donna si concede dopo nemmeno un'ora di futili chiacchiere e menzogne con lo scopo di far semplicemente colpo sull'altro, di certo non può aspettarsi il principe azzurro.
Attendo per un attimo la sua risposta, ma dopo pochi secondi resto in ascolto del fastidioso effetto acustico del telefono occupato e capisco immediatamente che ha riagganciato. Missione compiuta! Ottenuto ciò che volevo, cancello il suo numero e infilo il telefono nella tasca anteriore dei miei jeans.
«Eccomi», esclama mio fratello alle mie spalle.
«Non andavi di fretta? Sophia-Antipolis non è certo dietro l'angolo.»
«Metti in moto», ordina con arroganza.
Non ho assolutamente voglia di fare alcuna discussione di prima mattina, dopo pochissime ore di sonno, così lo accompagno silenziosamente all'università.
Arrivati a destinazione, Gerald sfila il casco e me lo porge, senza nemmeno salutarmi o quantomeno ringraziarmi. Mi volta le spalle e si incammina verso il suo gruppo di amici. Lo osservo con la speranza che possa voltarsi e salutarmi con un gesto della mano, ma è troppo impegnato ad ammiccare alle ragazze per ricordarsi di suo fratello.
«Ehi, amico. Che ci fai da queste parti? Hai finalmente deciso di cambiare facoltà?»
«Ehi, Tristan. No, sono venuto ad accompagnare Gerald. E Poi preferisco di gran lunga Nizza a questo posto.»
«Già, ti capisco. Qui siamo in mezzo al nulla più totale.»
«Sei di turno stasera?»
«Martinez! Eccoti», esclama una ragazza avvicinandosi di corsa al mio migliore amico. «Mi serve assolutamente un favore.»
«E buongiorno anche a te, Alice», la canzona Tristan.
«Ti prego, puoi sostituirmi oggi a lavoro? Per favore, forse sono riuscita a trovare casa, devo assolutamente andare a vederla e nel caso saldare la prima parte dell'affitto se non voglio perderla.»
«Non puoi chiedere a Yvette?»
«Già fatto. E' malata. Dai, Tristan. Per favore.»
«Ho già preso impegni con il mio amico qua presente. Mi dispiace», esclama poggiando una mano sulla mia spalla.
«Grazie tante», borbotta prima di voltarci le spalle e raggiungere il gruppo di Gerald.
I miei occhi sono incollati su di lei e sembra accorgersene perché alza un dito medio prima di sussurrare qualcosa a una delle sue amiche.
«Ha proprio un bel caratterino. Chi è?»
«Ed ecco a voi la prossima preda del nostro caro spezza-cuori Eric.»
«Si, carina. Potrei metterla nella lista», esclamo malizioso.
«No, lasciala perdere. È una ragazza tutta studio e lavoro, ovvero una noia mortale. Piuttosto guarda la sorella gemella di Helene, la fidanzata di tuo fratello. È veramente sexy. So che si chiama Margaux ed è single.»
«Si, ma non è il mio genere», confesso.
«Ma tu non hai un "genere". Esci ogni sera con una ragazza diversa. Non sai quanto ti invidio; vorrei essere anche io così sfacciato come te.»
«Anni di duro allenamento, amico mio.»
Qualcuno mi sorprende alle spalle e mi abbraccia scoccandomi un bacio sulla guancia. «Che bello vederti alla luce del sole. Come è andata ieri sera? Sei sparito, ti ho cercato ovunque.»
«Zoe, lo sai che il nostro Eric è un latin lover», esclama divertito Tristan.
«Troppe donne, Eric.»
«La smettete? Io almeno me la spasso a differenza vostra. E comunque, ora che ci sei anche tu, ho una proposta da farvi che non potrete rifiutare.»
«Sentiamo», esclama Zoe.
«Robert sta organizzando per stasera una festa a casa sua a base di alcol...»
«Non aggiungere altro. Ci sarò» esclama entusiasta Tristan.
«D'accordo, ci sarò anche io.»
«Bene. Ora torno a casa, ho bisogno di recuperare le ore di sonno che "nove novembre" mi ha fatto perdere stanotte», sottolineo con un ghigno.
«Non vogliamo sapere i dettagli, grazie», sbotta Zoe.
«Parla per te», sogghigna Tristan.
Infilo il casco e saluto i miei amici. Rivolgo un ultimo sguardo verso mio fratello e i suoi amici. Alice è ancora lì e mi sta fissando, le alzo a mia volta un dito medio in risposta a quello fatto da lei poco prima, dopodiché le volto le spalle e mi avvio verso casa.
Dopo aver dormito quasi tutto il giorno, tanto da aver dimenticato di pranzare, fattosi le nove di sera, chiamo Tristan per assicurarmi che sia pronto.
«Pronto?» risponde con voce roca.
«No, non può essere. Dimmi che non sei malato anche tu!»
«Ho la febbre alta, amico. Stasera ti do buca. Mi dispiace.»
«E io con chi dovrei andare alla festa?»
«C'è sempre Zoe.»
«Ok, ora la chiamo. Guarisci in fretta, non vorrei andarci da solo alla partita.»
«Guarirò, tranquillo. Divertiti stasera e lascia qualche ragazza per Zoe o quantomeno rendila partecipe nel caso», esclama ridendo tra un colpo di tosse e un altro.
«Ci sentiamo domani. Riposati.»
«A domani.»
Mi avvicino all'armadio e indosso i miei soliti jeans e una felpa con la zip. Afferro le chiavi della moto ed esco dalla stanza. Attraverso il salone dove, come una famigliola perfetta e felice, i miei due fratelli e mia madre conversavano amabilmente con Céline.
«Ciao, Eric. È da molto che non ci vediamo. Come stai?» esclama non appena si accorge della mia presenza.
Non ci vediamo un due mesi circa; cercavo di tenermi alla larga il più possibile da lei in modo da evitare pensieri poco casti e puri nei suoi confronti. Non è certo colpa mia se mette in mostra la sua mercanzia.
«Tutto bene.»
«Resti con noi?» chiede sbattendo le sue folti ciglia.
«Mi piacerebbe», mento, «ma ho già preso un impegno.»
«Mi raccomando, non fare troppo tardi», esclama Emile.
«Adesso ti sei messo a fare il padre di famiglia. Sono adulto non ho bisogno delle tue raccomandazioni», sogghigno.
«Vattene, Eric», ordina mia madre.
«È proprio quello che sto facendo. È stato un piacere rivederti, Céline», affermo ammiccando.
Esco sbattendo la porta e salgo in sella alla mia moto per raggiungere Zoe.
È lì che mi aspetta avvolta nel cappotto con le sue gambe nude coperte solo da un sottilissimo strato di calze a reti e un pezzo minuscolo di stoffa che dovrebbe fungere da minigonna.
«Wow!» esclamo meravigliato dinanzi a tanta bellezza.
«Buona sera, Eric», saluta facendo un inchino.
«Se non sapessi che non sono il tuo genere, saresti già nel mio letto.»
«Questo dovrei prenderlo come un complimento, giusto?»
«Naturalmente.»
Si avvicina e posa delicatamente le sue labbra sulle mie.
«Ti ricordo che nel tuo letto ci sono già entrata e da lì che ho capito di essere lesbica, caro mio.»
«Dovrei sentirmi offeso. Lo sai, vero?»
«Dai, andiamo. Ci sono delle ragazze che aspettano solo noi.»
«Volevi dire: me.»

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