21. Eric

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È notte fonda, ho da poco messo Julie nella culla. Saranno le due di notte, sono tornato poco fa da lavoro e sono esausto. Mia figlia riesce a raggiungere il mondo dei sogni solo tra le mie braccia, sembra quasi io sia il suo Morfeo.
Tolgo i pantaloni e la maglia per poi scivolare nel letto accanto a Candice. È ancora sveglia e mi fissa maliziosa sotto le coperte. In un attimo è sopra di me ed è già nuda. Mi sorride per poi fiondarsi sul mio collo lasciandomi una scia di baci. Afferra una mia mano e la posa sul suo seno nudo, sento l'eccitazione al tatto, i suoi capezzoli sono così turgidi, mentre l'altra mano scivola sotto i miei boxer. La ragazza sa cosa vuole ed è capace di ottenerlo.
Di certo non porrò resistenza, sa esattamente cosa mi piace e sa mettermi a mio agio. Da quando abbiamo deciso di riprovarci, Candice mi ha sempre regalato ogni notte del gran sesso e ovviamente non mi dispiace affatto.
Sfila i miei boxer iniziando a baciarmi dal ventre in giù. Gemo. Sono così eccitato che mi si annebbia la vista.
Nota l'effetto che mi fa e sorride maliziosa ritornando al mio collo.
Non riesco a resisterle più, in un batter d'occhio è sotto di me. Le bacio i seni, mentre con una mano le afferro i capelli e con l'altra la accarezzo tra le gambe. Geme e chiama il mio nome più volte supplicandomi di non smettere.
Le tappo immediatamente la bocca con bacio, non voglio che i suoi urletti sveglino Julie.
Un cellulare inizia a squillare e solo quando capisco che è il mio tento di alzarmi, ma Candice me lo impedisce.
«Finisci quello che hai iniziato!» mi ordina.
Obbedisco. Sono dentro di lei e spingo con violenza il mio ventre contro il suo. Geme ancora più forte.
Tra noi non c'è altro che sesso, almeno per quanto mi riguarda. È completamente diverso fare sesso anziché l'amore, potrebbe sembrare un discorso da checche, ma puoi fare quanto sesso vuoi e divertiti, ma l'amore è altro: passione, complicità, sguardi... non è facile provare queste sensazioni con chiunque ed io sono riuscito a provarlo solo con una persona ed è qui, nella camera a fianco.
Con Candice mi diverto, e molto aggiungerei, ma non è amore, anzi, semplice bisogno fisico.
Il cellulare continua a squillare, credo sia la terza chiamata di fila. Chi mai mi chiamerebbe a quest'ora e con così tanta insistenza?
Una volta compiuto il mio lavoro, mi alzo dal letto per raggiungere i miei pantaloni e afferrare il cellulare. Dieci chiamate perse da Emile. È di nuovo ubriaco? Nelle due ultime settimane non ho fatto altro che andare a pescarlo in qualche squallido bar in periferia per poi riportarlo a casa. Spesso era la stessa Céline, preoccupata, a chiedermi di andarlo a cercare.
Lo richiamo. «In quale bettola ti trovi?» gli chiedo non appena mi risponde.
«Eric, devi correre...» sta ansimando, la sua voce è roca e sembra reduce da un pianto. Emile che piange? Credo di non averlo mai visto in tutta la mia vita. Deve essere messo male davvero.
Quanto avrà bevuto questa volta? Non oso immaginarlo.
Continua a dire frasi sconnesse e parole senza senso, è più agitato del solito e non so come fare per calmarlo.
«Ospedale... Céline...», esclama non appena riesce a fare un sospiro profondo.
«Arrivo!» lo rassicuro prima di riagganciare.
Candice mi prega di tornare a letto, ma la ignoro completamente rivestendomi.
«Dove credi di andare?»
«Devo correre in ospedale, sto per diventare zio», esclamo euforico.
«Aspetta. Vengo con te.»
«No. resta qui con la bambina. Non c'è nemmeno mia madre, a chi dovremmo lasciarla? Non vorrai mica portarla in ospedale?»
«Certo che no. Magari potrebbe restare con Alice?» chiede alzandosi dal letto per raggiungermi.
«Alice verrà con me. È la sorella, ha tutto il diritto di vedere sua nipote.»
Candice annuisce delusa e torna verso il letto.
«Ci vediamo dopo», esclamò prima di balzare fuori la porta.
Entro in camera di Alice senza nemmeno bussare, ma lei è già sveglia.
«Eric», dice sorpresa. «Che ci fai qui? Se cerchi precauzioni, credo sia un tantino tardi.»
«Aspetta. Riesci a sentire noi che...», sono così imbarazzato da non riuscire a terminare la frase.
«Certo, ogni singola notte. Non riesco a dormire con tutti quei gemiti e quei rumori», confessa disgustata.
«Ah.»
«Va beh. Comunque perché sei qui?»
Ah, giusto!
«Stiamo per diventare zii!» annuncio euforico.

In meno di venti minuti siamo in ospedale correndo per i corridoi alla ricerca del reparto giusto.
Finalmente incontriamo Emile. La sua faccia la dice lunga. Non sembra felice di diventare padre. Ha il viso segnato dalle lacrime e non credo fossero lacrime di gioia guardando bene la sua espressione.
«Dove è la mia nipotina?» grida Alice, accecata forse dall'entusiasmo.
«È con le infermiere, dovrà restare sotto osservazione per un po'. Forse la metteranno in una incubatrice. È nata di otto mesi, è un miracolo che stia bene, almeno lei...», mormora piano prima di iniziare a singhiozzare.
C'è qualcosa che davvero non va, non ho mai visto mio fratello ridursi in questo stato. Mi sta preoccupando.
«Che significa "almeno lei"?» chiede Alice spaventata. «Dove è mia sorella?»
Emile non riesce a rispondere a causa dei forti singhiozzi, mentre Alice inizia ad urlare chiedendogli spiegazioni.
«Aveva la febbre alta da giorni, oggi più del solito, mi aveva pregato di restare a casa questa sera, ma io non le ho dato ascolto...», confessa tra le lacrime.
«Mi stai spaventando. Ti ho chiesto dov'è Céline?» ringhia Alice.
«È in coma.»
«Cosa stai dicendo? Voglio vederla. Dove è?» grida mentre i suoi occhi lucidi iniziano a far sgorgare un fiume di lacrime.
«Non possiamo avvicinarci. Ci chiameranno loro.»

Sono ore che siamo in ospedale, saranno almeno le otto del mattino, e di Céline o della bambina ancora nessuna notizia. Alice si è addormentata sulle mie ginocchia o almeno credo che dorma, è ferma da ore rannicchiata accanto a me, mentre riceve le mie carezze.
Emile, invece, è seduto fuori al balcone con una sigaretta in mano che non ha mai acceso con lo sguardo perso totalmente nel vuoto.
Mi fa male vederli in questo stato.
«Petit?» chiama un giovane medico dal camice bianca latte.
Balziamo tutti in piedi ed Emile ci raggiunge a gran passo.
«Immagino voi siete i familiari.»
Annuiamo.
«Purtroppo, ho una cattiva e una buona notizia. La buona è che la bambina, di cui dovete comunicarci ancora il nome, gode di buona salute e credo che domani potrà già uscire di qui. La cattiva è che... la madre, ha subito gravi danni e non credo uscirà facilmente dal coma, e nel caso ci riuscisse non posso assicurarvi che ne esca completamente sana. Ci sono molti danni a livello neurologico, i quali potrebbero portare problemi di vario tipo: da quelli motori a quelli cognitivi.»
Alice quasi sviene tra le mie braccia, mentre Emile sferra un pugno nel muro creando una vistosa crepa.
Siamo tutti distrutti dalla notizia, compreso me.
Céline non merita tutto questo.
«So che sembra un momento abbastanza inopportuno, ma ho bisogno che mi comunichiate ora il nome della bambina.»
Siamo tutti in lacrime, ma nessuno si aspetta che sia proprio Alice a parlare.
«Angéline. Angéline Morel.»

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