26. Eric

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Io e mia madre siamo in attesa dei risultati del test di paternità. Mi ci ha portato con l'inganno dicendomi che era preoccupata per Julie sostenendo la vedesse un po' troppo pallida, così allarmato ho accettato di portarla con lei dal "pediatra". Ovviamente è stata così furba da approfittare del fatto che Candice non fosse a casa.
Ormai ci vediamo solo di notte nel mio letto, durante il giorno è difficile beccarci, ma non ne soffro poi così tanto la mancanza a dirla tutta. Devo ricordare spesso a me stesso che, se sto con lei, è perché voglio che Julie abbia anche una figura paterna durante la sua crescita.
Julie dorme beata tra le mie braccia, la sento ogni giorno più mia, la vedo sempre più somigliante a me nei piccoli atteggiamenti , come per esempio la posizione in cui dorme o il modo di stiracchiarsi. Non può non essere mia figlia.
Ma se sono così sicuro allora perché ho accettato di fare questo test? Perché sono così nervoso all'idea di avere una qualsiasi risposta? Non capisco perché in tal caso Candice mi abbia mentito così spudoratamente. Cosa c'è di così divertente da far credere al primo mal capitato che quella che porta in braccio è sua figlia? Perché però ha deciso di farsi trovare dopo così tanto tempo? Mille dubbi si fanno strada dentro me e non so più quale risposta dare.
Mia madre accanto a me sembra invece insolitamente tranquilla. Messaggio da ore con qualcuno e quando gli ho chiesto chi fosse, mi ha liquidato dicendo che non fossero affar miei. Non è molto equo il nostro rapporto visto che noi siamo qui perché lei ha deciso di impicciarsi nella mie di cose.
«Il signor Morel?» chiama una giovane infermiera dal camice verde.
Alzo una mano, come per rispondere all'appello. La donna si avvicina e, senza dirmi nulla, mi porge una busta bianca sigillata. Mi tremano le mani e non ne capisco il perché. Non ho bisogno di un pezzo di carta che mi confermi che Julie è mia figlia, perché lo è. Lo percepisco da come mi guarda e da come accarezza ogni giorno la mia guancia, che tutte le sere rado accuratamente per far sì che la pelle di mia figlia non si irriti. Sono due mesi che ormai è entrata nella mia quotidianità e voglio che ne sia parte ancora per molto.
Sono sicuro che sia stata Alice a mettere la pulce nell'orecchio a mia madre con quella sua storiella sul fatto che ha origliato alla porta, mentre Candice era a telefono. Tralasciando il fatto che quando mi ha informato di questa cosa era ubriaca marcia, ma come inventarsi una storia simile. Conosco Candice da molti anni, nonostante abbiamo perso i contatti dopo quell'incidente, e non mi farebbe mai una cosa del genere.
Stringo forte la busta tra le mani, mentre mia madre continua ad incitarmi ordinandomi di aprirla.
«Ho bisogno che tu tenga Julie. L'aprirò quando lo riterrò opportuno e non lo è sicuramente avanti ai tuoi occhi indagatori», dichiaro freddamente dandole la mia bambina in braccio.
Mia madre non si ribella, comprende la mia esigenza e dopo aver accolto tra le sue braccia Julie mi lascia andare.
Afferro il cellulare e chiamo la prima persona con cui vorrei parlare della mia paternità.
«Tesoro, dove sei. Sono tornata a casa e non c'è nessuno. Julie è con te?» risponde tutto d'un fiato con voce tremante.
«Candice, dobbiamo parlare. Ci vediamo avanti al casinò.»
Riattacco subito e, dopo aver avvertito il mio capo che non sarei andato a lavoro stasera, mi reco al casinò.
Con mia sorpresa Candice è già lì.
«Eric!» esclamo venendomi in conto. Se dovessi dare un nome alla sua espressione, alla sua voce e al suo linguaggio del corpo, direi che paura è il nome adatto.
Le faccio cenno di seguirmi con il capo, poi le volto le spalle e mi allontano. Mi segue.
Non è loquace come sempre, anzi non ha aperto bocca dal nostro incontro, è chiaro che qualcosa la turba. La tensione si taglia con un coltello, è impossibile non sentirla.
Siamo seduti sul muretto del lungomare con le gambe penzoloni verso il tramonto. Nessuno due due ha il coraggio di guardare negli occhi l'altro, teniamo lo sguardo puntato sui colori pastello che ci offre il cielo, mentre il sole sembri cadere nell'acqua.
Una mia mano scivola nel cappotto, afferro la busta e la tiro fuori attirando subito l'attenzione di Candice.
«Devi dirmi qualcosa prima che io apra questa busta?» chiedo quasi in un sussurro.
«Si, ho una domanda: Perché mi hai lasciata lì in ospedale?»
Resto sorpreso dalla sua domanda, perché proprio ora? Vuole raggirarmi? Vuole farmi venire i sensi di colpa? Grazie, Candice, ma credo di averne già abbastanza.
«Non siamo qui per parlare di questo», sottolineo nervoso.
«Invece sì. È un test del DNA quello?»
Annuisco stringendo la busta sempre più forte tra le mani rischiando di stracciarla.
«Se quella notte fossi rimasto, di sicuro oggi non avresti avuto tutti questi dubbi, e non avresti avuto bisogno di fare uno stupido test del DNA», cerca ancora di far appello ai miei sensi di colpa, e ci sta riuscendo anche molto bene.
«Che dovrei fare allora? Crederti sulla parola e strappare questa lettera?» urlo esasperato.
«È solo colpa tua se sei in questo pasticcio ora. Puoi continuare ad occuparti di Julie e consegnarmi la busta, o dubitare di me e aprirla avanti ai miei occhi.»
Sono così combattuto. Voglio crederle, voglio davvero.
Le consegno la lettera e lei quasi me la strappa dalle mani per poi farne tanti coriandoli.
La fisso sorpreso dal suo gesto. Ora non ho più dubbi.
«Peccato, ti ho dato la mia busta paga per sbaglio. La mia mensilità è ridotta in piccoli brandelli.»
Resta di stucco guardandomi con gli occhi sgranati come se io fossi il pazzo tra i due.
«Ti avevo dato una chance, volevo fidarmi di te e darti l'opportunità di essere sincera con me e tu l'hai ridotta come hai ridotto quella busta. Quei soldi erano per te e la bambina. La tua bambina. Quella cifra ti avrebbe permesso di pagarti la prima mensilità in un nuovo appartamento, mentre magari avresti potuto cercarti un lavoro e farti una vera vita», la informo con un sorrisetto sghembo.
È sconvolta e la cosa mi diverte più di quanto pensassi. Estraggo la vera busta contenente l'esito del test. La apro sotto i suoi occhi e, dopo aver letto la risposta, rido.
«Ho solo una domanda da porti: chi ti ha costretto a fare tutto ciò? Non puoi essere stata tu, la Candice che conobbi anni fa non avrebbe mai fatto una cosa così cattiva.»
Abbassa lo sguardo ed evita di rispondermi, ma quando le afferro il braccio, quasi si spaventa e mi fissa con uno sguardo pieno di tristezza e vergogna. Non mi lascio coinvolgere dai suoi sentimenti e la intimo di rispondermi.
«Non posso dirtelo, Eric. Vorrei, davvero. Ma se lui sapesse che ne ho parlato con qualcuno, non mi darebbe più un soldo ed io...»
«Hai fatto tutto questo per soldi?» la interrompo bruscamente.
«Si», risponde in un lamento.
«Mi fai schifo», sentenzio. «Voglio sapere chi ti sta dando questi soldi. Ora!» ordino strattonandola per le spalle.
Si lascia sfuggire una lacrima e abbassando di nuovo lo sguardo.
«Dimmelo!» grido ancora più forte.
«Emile», confessa in un sussurro.

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