Dopo una dura e movimentata nottata di lavoro, sono già sveglia alle sei del mattino per reggere la fronte a mia sorella, la quale è chinata sul bordo del water intenta a vomitare. Cerco in tutti i modi di distrarmi guardando altrove per non fare la sua stessa fine.
«Quanto hai bevuto? Emile sa che tu non reggi l'alcol», mormoro. «Che ingiustizia la vita. Io sono a lavoro quasi tutte le sere e tu te la spassi con il tuo futuro marito, le mie amiche vanno a delle feste stratosferiche, il mio ipotetico fidanzato sarà costretto a venirmi a trovare al locale, quando invece potremmo stare in giro tutte le notti e spassarcela come fate tu ed Emile», continuo lamentandomi.
«Alice. Sta zitta!» ordina prima di piegarsi ancora verso il water.
Dopo circa un'oretta, quando finalmente mia sorella torna a letto, ne approfitto per accedere il mio pc e mettermi alla ricerca di un nuovo appartamento. Molto presto Céline convolerà a nozze e il miglior regalo che posso farle è lasciarle casa. I miei genitori mi hanno proposto di andare a vivere con loro. C'è un piccolo problema che non hanno preso in considerazione: vivono in Belgio. Raggiungerli, significherebbe abbandonare la mia università, i miei amici, il mio lavoro, il mio ragazzo... Ah, no, io non ho un ragazzo. Io sono la "noiosa ragazza tutta dedita allo studio e al lavoro". È vero, non sono una ragazza da festini universitari, come la mia migliore amica, ma non nascondo che mi piacerebbe partecipare ad una festa del genere almeno una volta nella vita, ma purtroppo il lavoro e lo studio hanno la priorità e mi tolgono parecchio tempo.
«Alice!» urla di nuovo mia sorella.
«Arrivo!»
La raggiungo nella sua stanza da letto. Céline è piegata per terra, lo sguardo perso nel vuoto e uno strano oggetto tra le mani, il quale stringe così forte che è impossibile capire di che si tratta.
«Ehi, che succede?» chiedo avvicinandomi spaventata. «Céline, va tutto bene?»
Le lacrime le solcano il viso. «No, non va per nulla bene!» grida ancora.
«Alzati. Siediti sul letto. È semplice vomito, ti passerà», le faccio notare.
«Non capisci. Non puoi capire. Non me lo perdonerà mai.»
«Cosa non capisco? Chi non ti perdonerà?»
«Emile, la madre, tutti.»
«Céline, cosa non ti perdoneranno?» le chiedo sedendomi accanto a lei.
Le sue mani sono posate sul suo grembo. Stringe ancora a se questo piccolo oggetto sconosciuto.
«Sono incinta, Alice. Aspetto un bambino.»
«Ma è...»
«Una tragedia, lo so.»
«Stavo per dire "fantastico"», la correggo immediatamente.
«Come puoi dire una cosa del genere?»
«Tralasciando il fatto che non vedo l'ora di diventare zia, ma pensa a quanto sia bella la sensazione di un bimbo che scalcia nel tuo grembo.»
«O le nausee mattutine.»
«Non dureranno mica nove mesi», puntualizzo.
«La madre di Emile è molto religiosa, se solo scoprisse la mia gravidanza, troverebbe il modo di annullare il matrimonio. Ne sono convinta.»
«Emile ti ama, non permetterebbe mai una cosa del genere.»
«Ho i miei dubbi. Si lascia influenzare molto dalle scelte della madre; non so fin quanto metterebbe me al primo posto.»
«Non dire sciocchezze. Non appena saprà che porti in grembo suo figlio e che presto sarà padre, piangerà dalla gioia.»
«Ma lui non lo saprà. D'altronde manca un solo mese alle nozze. Posso benissimo nascondere la pancia in qualche modo.»
«Smettila di dire sciocchezze simili, stai diventando ridicola. E non per fare la pignola, ma in realtà mancano cinque mesi al matrimonio.»
«Non se anticipo il tutto.»
«Riposa. Ti renderai conto, al tuo risveglio, delle stupidaggini che stanno uscendo dalla tua bocca.»
Dopo aver messo a letto mia sorella, afferro il telefono e scorro la rubrica. Non so se dare la notizia ad Emile o darla ai miei genitori, ma so che non spetterebbe a me farlo. Non possiamo affrontare una situazione del genere da sole, io non so nemmeno cosa cucinare ad una donna incinta, ho bisogno di aiuto, e subito.
«Pronto?»
«Ciao, mamma.»
«Alice, tesoro mio. Che bello sentire la tua voce.»
«Come stai? Papà è lì con te?»
«Tutto bene. Papà è qui che ti saluta. Ci mancate tanto.»
«Anche voi.»
«Sai vero che la nostra proposta di averti a casa con noi è sempre valida?»
«Lo so, mamma», non mancava occasione per ricordarmi di dover lasciare casa a Céline.
«A proposito, come sta tua sorella? Non chiama mai.»
«È proprio di questo che vorrei parlarti...»
Céline sbuca alle mie spalle e con un agile scatto afferra il telefono.
«Mamma, ciao. Scusami se non sono stata molto presente in questo periodo, il lavoro e i preparativi per il matrimonio mi hanno tenuta molto occupata», esclama Céline, mentre mi lancia delle occhiatacce assassine.
La loro conversazione è alquanto breve. Mia sorella posa violentemente il telefono sul tavolo ed esclama: «cosa credevi di fare?»
«Volevo solo aiutarti», confesso quasi sussurrando.
«No», ribatte. «Sei la solita egoista. Volevi solo aiutare te stessa. Non vuoi che ti rovino la tua spassosa vita universitaria.»
«Non pensi davvero quello che stai dicendo. Sei solo stanca e confusa.»
«No, lo penso eccome. Trovati al più presto un posto dove stare, devi lasciare questa casa.»
Sento i miei occhi velarsi per le lacrime, ma le ricaccio indietro prima che possano fuoriuscire.
Céline torna nella sua stanza da letto mormorando qualcosa di incomprensibile, per poi chiudersi all'interno.
A passo svelto raggiungo la mia stanza, afferro le mie cose e corro in bagno a vestirmi. Non provo nemmeno a truccarmi o a pettinarmi i capelli. Afferro la borsa ed esco di casa sbattendo violentemente la porta.
Una volta trovatami sul pianerottolo, do sfogo al mio pianto, che si trasforma in una serie di singhiozzi.
«Ehi.» Una calda mano si posa sulla mia spalla. «Vieni qui», esclama prima di portarmi al suo petto e stringermi forte a sé.
Ho sempre avuto un gran bel rapporto con Emile, si può dire quasi fraterno. Ho avuto più attenzione da lui che da chiunque altro membro della mia famiglia. Non nascondo che sono invidiosa che mia sorella abbia un ragazzo, futuro marito, come lui. È il ragazzo ideale che vorrei nell'immediato futuro.
«Avete litigato?»
Non rispondo, continuo a singhiozzare e a stringermi al suo petto.
«Sai che con me puoi parlare. Tua sorella ultimamente è molto stressata, forse a causa dei preparativi delle nozze. Non la sto giustificando, semplicemente vorrei che non le dessi retta in questo periodo, non pensa davvero quello che dice.»
«Sono stanca, Emile.»
«Lo so. Sai che non c'è nessuna fretta di andar via, vero? Puoi restare con noi quanto vuoi, è pur sempre casa tua.»
«Lo so e ti ringrazio, ma devo andare via. Non voglio invadere i vostri spazi.»
«In realtà sono io ad invadere i vostri.»
Mi scappa un sorriso e con il dorso della mano mi asciugo le lacrime.
«Grazie», mormoro.
«Dai ti accompagno. Devi seguire i corsi, no?!»
«Non preoccuparti, mi farà bene camminare.»
«Insisto.»
Saliamo in macchina ed Emile mi accompagna in facoltà. Durante il tragitto non faccio altro che lamentarmi della mia vita non vissuta appieno, di quanto io senta la mancanza di affetto e tanto altro. Emile è stato così gentile e paziente ascoltandomi senza mai interrompermi se non per darmi consigli.
Una volta arrivati, lo ringrazio e mi allungo per scoccargli un bacio sulla guancia.
«Grazie, grazie di tutto», esclamo dolcemente.
«Non ho fatto nulla», risponde imbarazzato.
Esco dall'auto e mi avvicino al mio gruppo di amici. Tutti guardano verso di me mormorando, ma non appena mi avvicino a loro smettono di spettegolare. Perché è questo che fanno: spettegolano. Non capisco il motivo che hanno di spettegolare proprio su me, che non accade mai nulla di interessante nella mia vita.
Cala il silenzio nel gruppo subito dopo aver mormorato in coro un «buongiorno.»
Continuo ad essere confusa, mi guardo attorno, ma nulla, tutti continuano ad avere lo sguardo posato su me.
«Cosa ho di così interessante che tutti siete qui a fissarmi?» sbotto nervosa.
Qualcuno si lascia sfuggire qualche risatina, altri riprendono a bisbigliare tra di loro.
«Non passi di certo inosservato», afferma un ragazzo avvicinandosi.
«Tu sei?»
«Ma come? Presto saremo imparentati.»
«Ah, si?! E come? Spiegami.»
«Eric, smettila», lo ammonisce Gerald prima di avvicinarsi a me per salutarmi.
«Conosci questo squilibrato?»
«È mio fratello.»
«Ah. Ehm, scusa», mormoro guardando il fratello di Gerald.
«Tranquilla, non ci siamo mai presentati. Sono Eric, piacere.»
«Alice, ma questo già lo sai. Come mai non ti ho mai visto?»
«Non ti sei persa un granché, i Morel buoni già li hai conosciuti, lui è solo quello difettoso», risponde Gerald prima di raggiungere la sua ragazza.
Eric si irrigidisce e fa per andarsene.
«Ehi, aspetta. Ti ho fatto una domanda!»
«Che importanza ha? Ci si vede, Alice», esclama continuando a darmi le spalle.
Come di routine aspetto il mio migliore amico seduta sulle scale dell'Università.
«Eccomi, scusa il ritardo», mormora Samuel non appena mi raggiunge correndo.
«Sono abituata ai tuoi ritardi.»
«Ho qualcosa per te. Ma te la darò solo quando saremo su in terrazza», mormora misterioso.
«Dai, sono curiosa», borbotto.
Mi spinge verso l'entrata dell'università e cominciamo a salire i gradini a due a due. Arrivati in terrazza, ci sediamo sul parapetto con i piedi penzoloni verso l'esterno. Samuel infila la mano destra dentro una tasca del giubbotto e tira fuori una busta di una lettera.
Quella busta non mi piace. Ho paura che sia la lettera di trasferimento che chiese qualche tempo fa Samuel a causa degli atti di razzismo che ha subito in questi anni. Ha origini africane, ma è nato a Cannes, quindi è francese a tutti gli effetti. Anche i suoi genitori sono francesi. Ma, anche se non fosse stato così, non capisco il bisogno altrui di discriminare una persone a causa del colore della sua pelle, per il suo orientamento sessuale o, nel mio caso, per non essere uguale alla massa della nostra generazione.
«Dai, aprila.», ordina rendendomi la busta.
«Dimmi che non è quel che penso.»
«Aprila e basta!»
Afferro la busta e sfilo delicatamente il contenuto senza guardarlo. Appena poso i miei occhi su ciò che ho in mano, un sorriso mi spunta in viso e quasi un urlo di gioia fuoriesce dalla mia gola.
«Ma sono i biglietti di Lady Gaga!»
«Auguri, tesoro.»
Auguri? E per cosa? Lo fisso confusa come a chiedergli spiegazioni.
«Non dirmi che hai dimenticato che domani è il tuo compleanno?!»
Il mio compleanno? Sono così indaffarata ultimamente, che ho dimenticato anche il giorno della mia nascita.
«Quanto sei stupido! Certo che no!» mento dandogli un colpetto con la spalla.
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Million Reasons
Teen FictionJuan-les-Pins, 2016. Eric Morel è un ragazzo di ventitré anni dal carattere molto chiuso e introverso. Non ha un ricordo nitido di suo padre, il quale ha lasciato lui, sua madre e i suoi due fratelli quando Eric aveva solo tre anni. La causa probabi...