15. Eric

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Dopo il concerto, percorrendo la strada verso il nostro albergo, cerco di tenermi il più lontano possibile da Alice e dal suo sguardo indagatore. Non ho voglia di sollevare certi argomenti delicati o di rispondere ai suoi quesiti.
Ci imbattiamo in una pioggia torrenziale che viene giù senza timore inondando le strade parigine. Proviamo a ripararci presso qualche palazzo, ma i portoni sono tutti chiusi, mentre le arcate non ci proteggono nemmeno un po'.
Iniziamo a correre, ma la pioggia è così forte da limitare tanto la nostra vista che non riusciamo a vedere cosa c'è avanti a noi.
Siamo completamente bagnati dalla testa ai piedi. Alice ha anche difficoltà a correre con i tacchi che si ritrova. Abbiamo provato a chiamare un taxi, ma ovviamente non ce ne sono liberi.
«Salta su!» le ordino indicando la mia schiena.
«No, ce la faccio. Grazie.»
«Non fare storie. Di' di sì una volta tanto. I tuoi tacchi ci rallentano e potresti farti molto male prendendo una storta o non so che.»
Alice alza gli occhi al cielo, ma alla fine obbedisce e mi salta sulla schiena incrociando le braccia al collo e le gambe alla mia vita.
Arriviamo in hotel e i receptionists e altri dipendenti ci guardano inorriditi, ma non capisco se lo fanno perché ho lei in braccio, perché siamo ridotti in questo stato o entrambe le cose.
Con nonchalance faccio scendere Alice dalla mia schiena e mi avvicino al bancone per chiedere le chiavi. Il receptionist me le porge evitando un qualsiasi contatto con la mia pelle, nemmeno avessi la malaria.
«Grazie, vecchio mio», esclamo dandogli una pacca sulla spalla.
«Sacrebleu!» borbotta infastidito.
Alice scoppia a ridere, non riesce più a fermarsi, tanto da riecheggiare in tutta la hall. Attiriamo così nuovi sguardi su di noi e capisco che è il momento di calare il sipario e andare via prima che ci facciano dormire sotto la pioggia.
Trascino Alice in ascensore e una volta chiusesi le porte scoppiamo all'unisono in una fragorosa risata.
«Come ti ha guardato. Ma tu hai visto il suo sguardo?! E tu, tu sei un genio. Quando gli hai dato la pacca sulla spalla, non sono riuscita a trattenermi», esclama ridendo tra le lacrime.
L'ascensore si riempie ad ogni piano, tutti ci fissano curiosi e quasi infastiditi dalle risate. Ogni persona che entra è un passo sempre più vicino ad Alice. Le sono praticamente addosso e quasi arrossisce quando i nostri corpi si sfiorano.
Al decimo piano, l'ascensore si svuota lasciando me ad Alice completamente soli. Non mi sposto dalla posizione che avevo assunto prima e la fisso negli occhi, mentre lei, evidentemente imbarazzata, prova a distogliere lo sguardo.
Le porte si riaprono, ma questa volta non è nessuno ad entrare, siamo noi a dover uscire. Alice si libera dal mio corpo con delicatezza e mi supera facendomi strada verso la nostra porta.
Entriamo nella nostra camera ed io inizio a togliermi i vestiti inzuppati. Alice arrossisce di nuovo e in un attimo è chiusa in bagno. Il rumore dell'acqua mi fa pensare che abbia deciso di fare una doccia. Tolti i vestiti fradici indosso un pantaloncino e mi infilo sotto le coperte.
Spero davvero non mi cacci da questo morbido letto, non ho intenzione di dormire sulla poltrona.
Alice esce dal bagno avvolta in un asciugamano, mentre io mi alzo su di un gomito per osservarla. Ancora una volta, imbarazzata, distoglie lo sguardo e si precipita verso la sua borsa per prendere, purtroppo, qualcosa da indossare. Ritorna in bagno e dopo poco riesce con indosso un leggins e una maglietta nera. Viene a stendersi vicino a me, dopo aver spento le luci. Il buio avvolge la stanza insieme al silenzio. Si possono udire addirittura i nostri battiti del cuore, e sembra che non sia solo il mio ad essere così agitato.
Mi giro su un fianco, mentre lei fissa il soffitto cercando di calmarsi, ma non glielo permetto. Inizio ad accarezzarle il braccio, poi la gamba per poi risalire fino alla guancia. In un attimo sono sopra di lei e la fisso dolcemente negli occhi. Sembra ipnotizzata perché questa volta sostiene il nostro gioco di sguardi. Mi avvicino sempre più alla sua bocca e il suo respiro caldo mi fa andare in estasi.
«No, non voglio», sussurra convincendosi di quello che ha detto.
Non le do ascolto e inizio baciandole il collo.
«No», ripete più forte. «Non so nulla di te...», confessa, mentre scendo dal suo corpo.
Mi giro sull'altro fianco dandole le spalle.
«Parlami di te», propone.
«È tardi.»
«Non sembrava tardi poco fa.»
«Buona notte, Alice.»
«Stronzo», mormora così piano pensando che io non la possa sentire.
«Non sono io a dormire nel letto con il fratello del ragazzo di cui sono innamorata, nonché futuro marito di mia sorella», sbotto nervoso senza pensare realmente a quelli che stessi dicendo.
«Questo è un colpo basso. Gisèle mi aveva avvertita di starti lontano, ma io non le ho voluto dare ascolto.»
Non le rispondo, ma mi volto di scatto verso di lei e, dal suo sguardo impaurito, capisco di avere un'aria abbastanza minacciosa. Provo a calmarmi e mi stendo a pancia in su sbuffando e fissando il soffitto.
Sento i suoi occhi addosso, quasi mi trafiggono.
«Cosa vuoi sapere? Ti concedo una domanda.»
«Non mi basta. Ne ho almeno due.»
«Una. Non si discute», ribatto secco.
«Ok. Voglio sapere il significato del tuo tatuaggio», conferma decisa.
«No. tutto tranne quello», rispondo allarmato.
«Non mi avevi detto che c'erano cose che non potevo chiederti.»
Non le rispondo.
«Ok, ok. Allora perché durante il concerto sei scappato via?»
«Avevo da fare.»
«Flirtare con quella tipa?» borbotta.
«Gelosa?»
«Perché dovrei?!»
«Questo lo sai tu.»
«Non era questa la risposta che volevo comunque. Voglio sapere perché sei fuggito via.»
«Notte, Alice», mormoro in risposta alle sue curiosità.
«Non puoi fare così. È stata tua l'idea di fare questo stupido gioco, sono stata anche alle tue stupide idee e ora ti tiri indietro. Sei proprio un idiota!» esclama a voce alta per poi girarsi dall'altro lato del letto.
Mi volto anche io dandole le spalle.
Restiamo in silenzio per un po', nessuno dei due ha più nulla da dire.
«Il tatuaggio è un disegno che mi fece Candice», inizio prendendo un po' di coraggio. «Lei è sempre stata una ragazza speciale, mi piaceva. Ci frequentavamo di nascosto, nessuno doveva sapere di noi due, tantomeno le nostre famiglie. Lei viene da una famiglia benestante. Non vivono qui, vengono solo durante il periodo estivo», continuo tutto d'un fiato.
Alice si volta verso di me e mi accarezza la schiena come per incitarmi a proseguire.
«Un giorno, eravamo in macchina e...», non riesco a continuare, se solo ci penso, ci sto male.
«Ci sono io qui. Puoi fidarti di me», mi rassicura.
«Lei mi confessa di essere incinta, io ero spaventato, comincio a fissarla e non presto attenzione alla strada. Improvvisamente ci scontriamo con una macchina, quest'ultima scappa via, mentre noi andiamo a sbattere nel guardrail. Io ne esco illeso fortunatamente, ma non posso dire lo stesso di lei, che ha sbattuto la testa nel finestrino perdendo i sensi. L'accompagno immediatamente in ospedale, ma non resto con lei. Scappo via. Da quella notte non ci siamo mai più sentiti.»
«Quando è successo?»
«Un anno fa, settembre.»
«Perché non sei rimasto con lei?» chiede, ma il suo non è un tono di rimprovero.
«Non lo so, ero spaventato. Corsi a casa e raccontai tutto ad Emile. Volevo tornare in ospedale e sapere come stava, ma mio fratello me lo impedì.»
«Perché mai?»
Mi volto verso lei e accarezzandole la guancia esclamo: «Tu non lo conosci, Alice. Emile è un grande egoista. Ha pensato che se fossero risaliti a me per quanto riguarda l'incidente, la famiglia di Candice mi avrebbe fatto causa e la notizia sarebbe uscita su tutti i giornali rovinando la reputazione di Emile.»
Alice è senza parole. Non crede alle mie parole.
«Non sai se Candice ha perso il bambino o meno?» farfuglia.
«No, non voglio saperlo», ribatto sicuro.
«Eric, potresti essere padre, potresti avere un bambino. Non puoi abbandonarlo come ha fatto vostro padre con voi.»
Resto scioccato alla sua affermazione. Dimentico sempre che lei sa più cose di me di quanto io sappia di lei.
«L'ho vista quest'estate, era con una bambina, ma non ho avuto il coraggio di avvicinarmi a loro.»
«Chiamala.»
«Cosa?!»
«Chiamala, ora.»
«Non ho più il suo numero.»
«Dobbiamo trovarla. Ti prometto che la troveremo. Tu devi conoscere tua figlia.»
«Alice. Io... non voglio.»
Non voglio tornare da Candice, non voglio essere padre, non voglio questa vita, non ancora.
«Ora dormiamoci su. Con calma ne riparleremo e affronteremo le cose insieme. Promesso.»
Si sporge in avanti e posa le sue morbide labbra sulla mia guancia con dolcezza.
«Notte, Eric» esclama prima di posare la sua testa sul mio petto e cingermi con le sue braccia.
«Notte.»

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