Corro a più non posso per raggiungere la mia festa a sorpresa. Se Emile non mi avesse chiamato, sarei restata tutta la sera con quel deficiente. Inizialmente accettare la sua proposta di fare una passeggiata era un modo per attuare una specie di vendetta per il modo in cui tratta le ragazze in generale, a detta della mia migliore amica, consegnandogli, nel caso in cui ci avesse provato, un bel due di picche.
Dopo aver preso la maggior parte dei semafori rossi, ovviamente, non poteva essere altrimenti, arrivo finalmente a casa. Parcheggio la moto e, cercando le chiavi nella borsa, mi avvio verso il portone del palazzo. Le mani mi tremano per l'eccitazione, non riesco a far entrare la chiave nella serratura, così decido di bussare.
«Chi è?»
«La festeggiata!» squittisco con enfasi.
Una volta aperto, corro per le scale, senza nemmeno preoccuparmi di accompagnare il portone in modo che non si chiuda con violenza.
Sono fuori la porta, la quale è socchiusa, ho timore ad entrare. Le luci sono soffuse, la casa silenziosa. Raggiungo il salotto ed è tutto completamente buio, come mi aspettavo. A tastoni cerco l'interruttore della luce e, una volta premuto, Emile, Gerald, Gisèle e Samuel spuntano da dietro il divano urlando un caloroso «Auguri».
La stanza è colma di addobbi: festoni a forma triangolare sono appesi da una parete all'altra, palloncini gonfiati ad elio volano per la camera avendo un lungo filo rosso su cui, all'estremità, ci sono foto che ritraggono me e la mia famiglia o i miei amici.
«Abbiamo finito questa pagliacciata?!» esclama Céline entrando nervosa in salotto, mentre gli altri sono intenti a farmi gli auguri essendo passata già la mezzanotte.
«Céline!» la rimprovera Emile. «Non è di certo colpa sua se è arrivata solo ora. Mio fratello è una mente malata e cattiva.»
«È stupida lei», afferma Céline indicandomi. «Si fida di chiunque. Pensa solo agli affari suoi. Dopo tutto quello che abbiamo organizzato e tutte le persone che abbiamo invitato, le quali sono ormai dovute andare via, Alice ha la faccia tosta di...»
«Ma smettila!» la interrompo ormai seccata del suo stupido atteggiamento di prima donna.
«Forse è meglio che noi andiamo via», annuncia Samuel guardando Gisèle, la quale annuisce. Si avvicinano per salutarmi e scappano via per non incappare in una discussione di famiglia alquanto stupida.
«Forse è meglio che vada anche io, prendo la tua auto, così tu puoi riportare la moto di Eric a casa.»
Emile gli lancia le chiavi e poi riporta il suo sguardo su Céline. «Non ti sembra di essere troppo dura con Alice?» chiede nervoso tenendo le braccia conserte.
«Non è mica colpa mia se lei è una sciagurata, ingenua ed egoista ragazzina?!» esclama Céline con superbia.
«Me ne vado in camera mia», sbotto. Mi avvicino ad Emile e gli do un dolce bacio sulla guancia prima di mimargli un grazie con le labbra.
«Non ho ancora finito!» urla mia sorella mentre mi allontano.
«Io sì», esclamo rivolgendole un'ultima occhiata.
Chiudo la porta della mia stanza. Per fortuna avevo portato con me una Bottiglia di vino e un calice. È il mio compleanno e potrei festeggiarlo come mi pare, eppure sono qui, chiusa nella mia stanza, seduta su di un letto che fra un po' non sarà più il mio. Questa stanza, queste mura non saranno più mie, ma solo dei ricordi. A volte penso che dovendo cambiare casa e quant'altro, perché non vado davvero via da questo posto, magari andare nella capitale, oppure raggiungere i miei genitori, o viaggiare, mi piacerebbe visitare l'Italia. Ma no, sono sempre inchiodata qui, per chi sa quale ragione.
Nel frattempo, Emile e Céline ricominciano, sento le loro urla attraverso i muri. Mia sorella sa che in realtà io posso sentirli ed è per questo che continua a dire solo cose cattive su di me: «Non vedo l'ora che si trovi un posto dove stare. Non posso più pensare lei, ho altri problemi da affrontare. È una palla al piede. È abbastanza grande da cavarsela da sola.»
Vorrei gridare che sono lì, che li sento, ma a cosa serve? Insomma, tanti auguri a me. Bevo un sorso di vino dal mio calice e mi avvicino al balcone. L'aria è fresca, il vento soffia tra i miei capelli e l'odore del pane appena sfornato del panettiere sotto casa invade le mie narici. Mi mancherà la mia camera. Mi mancherà il panettiere che sforna cornetti, pane e pizzette a qualsiasi orario, anche ora che ormai è già passata la mezzanotte da un bel po'.
Parlo come se fossi costretta a lasciare questa città, ma, se fosse così? Se qui non ci fosse in realtà più nulla per me?
Ogni singola parola del loro litigio arriva al mio orecchio, e probabilmente non solo al mio, ma anche a tutto il vicinato, forte e chiara. Céline esprime tutto il suo odio nei miei confronti, mentre Emile è lì a proteggermi a spada tratta. Perché mia sorella mi odia? È gelosa che il suo futuro marito sia così premuroso con me? Non dovrebbe essere felice invece che noi due abbiamo davvero un bel rapporto?
Improvvisamente la porta della mia stanza si apre con violenza, mentre mia sorella come una furia entra e si avvicina con sguardo assassino.
«Devi andartene! Ora! Devi sparire!» mi urla contro. Si avvicina al mio armadio e comincia a buttarmi tutto fuori continuando a sbraitare cosa incomprensibili. Sono troppo scioccata per ascoltare ciò che dice. Poco dopo Emile entra in stanza e prendendomi per un braccio mi trascina fuori casa.
«Come stai?»
«Non lo so. Non provo più nulla, sono solo scioccata dal suo comportamento. Ma per il resto non so spiegarti il mio stato d'animo.»
«Vieni con me. Dormirai a casa mia.»
«No, non voglio assolutamente disturbare.»
Nel frattempo Céline dava di matto continuando a buttare le mie cose per aria.
«Lo sai che è una battaglia persa. Prendi l'essenziale e vieni con me.»
Obbedisco, prendo velocemente una maglia e un leggins e corro in bagno per prendere lo spazzolino.
«Sono pronta.»
«Se esci da questa casa ora, non tornare mai più!» urla ancora isterica.
Io ed Emile ci guardiamo non capendo in realtà a chi si riferisse di noi due, ma probabilmente nemmeno lei lo sa.
La maternità può far impazzire le persone?
«Forza, andiamo!» mi ordina Emile guardando con astio Céline.
Annuisco e lo seguo fuori casa.
«Mi dispiace! È colpa mia», dico interrompendo il silenzio, mentre saltiamo in moto. La moto che ho preso in "prestito" poco fa da suo fratello.
«Non dirlo nemmeno. Tu non c'entri nulla con il nostro litigio. Céline ultimamente da di matto e non ne capisco il motivo.»
Volevo dirglielo. Volevo avvertirlo che presto sarebbe diventato padre, ma non spetta a me.
Arrivati a casa, sua madre mi accoglie a braccia aperte.
«Cara, come stai? Ti ho preparato il letto. Sarai molto stanca. Purtroppo non abbiamo una stanza per gli ospiti, così ho pensato di sistemarti nella stanza di Eric per il momento. Tanto non tornerà in nottata, e se nel caso lo facesse, abbiamo un bel divano su cui dormire», esclama la donna tutto di un fiato senza darmi occasione di ribattere.
Le sorrido come per ringraziarla e la seguo mentre mi fa strada verso la camera dove dormirò stanotte.
«Il bagno è da questa parte, se hai bisogno di fare una doccia o altro», si intromette Emile.
La madre decide di lasciarci soli ed esce dalla stanza dando un bacio sulla guancia del figlio e poi una pacca amorosa sulla spalla.
«Come stai?» chiede Emile avvicinandosi e stringendomi in un abbraccio.
«Ora bene», affermo stringendolo forte.
È così intimo il rapporto che abbiamo. Non so se definirlo fraterno, ma è davvero strano.
«Va a farti una doccia e a metterti qualcosa di comodo. Hai bisogno di dormire.»
Annuisco, così prendo le mie cose e mi dirigo verso il bagno. Faccio una doccia veloce evitando di bagnare i capelli che ho raccolto accuratamente in una crocchia. Per quanto sia veloce la doccia, sembra sempre che dura un eternità per quanti pensieri riescono ad affiorare ogni secondo passato sotto l'acqua calda. Uscita dalla doccia mi accorgo di non aver preso l'asciugamano. Mi guardo intorno e afferro il primo accappatoio. Esco furtiva dal bagno e raggiungo la camera di Eric. Emile è lì che mi aspetta, è seduto sul letto con la testa tra le mani. Resto lì a guardarlo, sembra a pezzi. Mi fa male vederlo così.
«Ehi!» esclamo entrando.
Emile alza il capo ed arrossisce. Inizialmente non capisco il motivo, ma poi dandomi un'occhiata ricordo di essere quasi nuda. Arrossisco anche io e mi stringo nell'enorme accappatoio blu.
«Ti sta bene il mio accappatoio», sorride timidamente.
«Grazie», rispondo chiudendo la porta alle mie spalle. «Emile, non so come ringraziarti per tutto quello che fai per me», affermo sedendomi a fianco a lui sul letto.
«Non devi nemmeno dirlo. Ci tengo a te. Lo sai», dichiara accarezzandomi una guancia con dolcezza. Il cuore mi batte all'impazzata. Cosa mi succede?
Abbasso lo sguardo.
La sua mano si sofferma sul mio mento e, tenendolo con l'indice e il pollice, lo alza. «Ehi, guardami! Non è colpa tua. Ok?»
Il suo viso è troppo vicino al mio, mentre il mio stomaco è popolato da mille farfalle che svolazzano senza sosta.
«Ho interrotto qualcosa?» chiede Eric appoggiandosi allo stipite della porta. Come è possibile che non ci siamo accorti della presenza di qualcun altro nella stanza? Come abbiamo fatto a non accorgerci della porta che si apriva?
Emile scatta in piede e, dopo avermi dato un bacio sulla guancia, quasi all'angolo della bocca, esce fuori dalla stanza trascinando con se Eric.
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Million Reasons
Teen FictionJuan-les-Pins, 2016. Eric Morel è un ragazzo di ventitré anni dal carattere molto chiuso e introverso. Non ha un ricordo nitido di suo padre, il quale ha lasciato lui, sua madre e i suoi due fratelli quando Eric aveva solo tre anni. La causa probabi...