Sono nell'aula studio dell'Università, dovrei prepararmi per gli esami, ma mi rendo conto che il tempo è sempre di meno e che in questi mesi mi sono fatta distrarre da più cose.
Ieri Kate mi ha promesso che avrebbe portare Eric in clinica per fare quel test, ma non ho avuto notizie da nessuno dei due. Sono molto preoccupata e non sono l'unica, anche Emile lo è. Quando ha saputo che suo fratello avrebbe fatto il test del DNA, ha preso la situazione molto seriamente. Tutto il giorno non ha fatto altro che camminare nervoso per casa e di tanto in tanto scambiarsi qualche messaggio con qualcuno che presumo possa essere Kate o lo stesso Eric.
So quanto Emile si sia comportato male nei nostri confronti, ma sembra ce la stia mettendo tutta per farsi perdonare.
Nonostante mi abbia detto che mi ama, non ha mai provato ad allungare le mani verso me. Mentre per quanto mi riguarda, ho subito chiarito la situazione spiegandogli che ormai non ricambio più i suoi stessi sentimenti. Non l'ha presa molto bene, ma ha accettato la mia decisione.
Come salva schermo del mio pc ho la foto di Angéline e chiunque passi avanti a me, si congratula per quanto possa essere bella. Mi rattrista che Céline si stia perdendo i giorni migliori della piccola, questi momenti non tornano più indietro, sono unici. Ma se ci penso, sto ancora più male ripensando ai miei genitori. «È in coma e la nostra presenza non cambierebbe le cose», mi hanno detto ieri per telefono. Come si può essere così... così... c'è un termina che possa sostituire la parola stronzi? Se c'è non mi sovviene.
Mentre navigo su internet in cerca di dispense e riassunti per il prossimo esame che devo dare, il quale non ho iniziato ancora a studiare, mi arriva una videochiamata su Skype da parte di Zoe.
«Ehi, ciao. Sapevo di trovarti sveglia a quest'ora», bisbiglia.
«Zoe. Tu piuttosto, che ci fai già sveglia? È sabato mattina. Non sei uscita a far baldoria ieri sera?» chiedo con un'alzata di sopracciglio.
«Certo che si, ma è l'unico momento sicuro in cui posso parlare con te, da sola.»
«È successo qualcosa?»
«Volevo tranquillizzarti e dirti che Eric è con me. Ha passato la notte qui, dopo essere andati a una delle feste di Tristan ed essersi ubriacato come non mai. Sta davvero male, Alice.»
«Hai novità sul test di paternità?» le chiedo senza troppi giri di parole.
«Beh, si. È il motivo per cui sta male.»
«Ti prego, Zoe. Non tenermi sulle spine.»
Mi si secca la gola al pensiero di un esito positivo del test.
«Non è sua figlia, Alice.»
Mi rilasso appoggiandomi allo schienale della sedia con un gran sorriso e noto che anche Zoe, che ha sempre tifato per noi, sorride a trentadue denti.Sono passati già due giorni dalla notizia che mi è stata data, ma mi aspettavo che Eric si facesse vivo e mi raccontasse precisamente come fossero andate le cose, e invece quasi sembri mi stia evitando come la peste. So che è tornato a casa e che ha raccontato anche tutto alla madre e che quest'ultima l'abbia aiutato a sgombrare la sua stanza da tutto ciò che le ricordasse Julie.
È incredibile quanto Eric si sia affezionato a quella bambina in così poco tempo, eppure non dimentico i discorsi fatti pochi mesi fa sul fatto che non volesse cambiare il suo stile di vita e abbandonare la sua fama da playboy.
Ne hai fatta di strada caro mio!
Se Maumetto non va dalla montagna, è la montagna che va da lui, e così è stato.
Sono avanti alla porta Morel e quasi non ho il coraggio di bussare. Egoisticamente sono terrorizzata all'idea di non sapere quale versione di Eric mi troverò d'avanti.
È Kate a venirmi ad aprire la porta. Non appena mi vede mi stringe tra le sue braccia, quasi mi stesse ringraziando della mia presenza.
Il soggiorno è pieno di scatoloni. Ne sono così tanti che non riesco più a vedere i mobili.
«Eric è di sopra?» le chiedo bisbigliando.
«Si, in camera tua. Ha detto che è l'unica camera che non gli faccia ricordare Julie.»
Annuisco e mi reco al piano di sopra.
Entro in camera mia ed Eric è sul mio letto che dorme. Mi avvicino silenziosamente e, sedendomi accanto a lui, inizio ad accarezzargli la testa.
«Eric», sussurro piano.
Quando apre i suoi occhi stanchi in piccole fessure, mi stendo quasi su di lui posandogli la testa sul petto e lo abbraccio.
«Mi dispiace», mormoro.
Eric non risponde, né tanto meno ricambia l'abbraccio.
«Eric, ti prego, parlami.»
Sento solo il suo petto alzarsi e abbassarsi in modo irregolare, il cuore battere velocissimo e infine il rumore dei singhiozzi che cerca di trattenere.
Mi stendo completamente sopra di lui e gli bacio la fronte.
«Devi sfogarti. Non puoi tenerti tutto dentro. Ci sono io qui con te.»
Eric non riesce a sostenere il mio sguardo e alla fine il suo corpo, che prima era rigido, si scioglie in un pianto. Mi abbraccia forte a se e posiziona la sua testa nell'incavo del mio collo.
«Ci sono io», continuo a dirgli stringendolo più forte.
«Sono davvero un cretino. Ci ho creduto davvero. Ho creduto di Julie fosse mia figlia. Alice, pensavo di essere padre già da un po' e invece... sono stato preso in giro per tutto questo tempo. Su una cosa aveva ragione Candice: se fossi rimasto con lei quella sera dopo l'incidente, avrei saputo oggi se quella bambina fosse mia figlia ancor prima che Emile riuscisse ad architettare tutto...»
«Emile? Cosa c'entra Emile? Aspetta, vuoi dirmi che...»
Oh. Mio. Dio. Quanta cattiveria ed egoismo può esserci in un solo uomo.
«Perché? Perché ha voluto farti questo?», chiedo staccandomi da lui per guardarlo negli occhi.
Eric evita il contatto visivo.
«Perché vuole tenerti lontano da me.»
Non posso credere che tutto questo sia successo perché... Emile ha problemi mentali molto seri, sarebbe ora che incontrasse qualche specialista.
Mi stacco da Eric e balzo in piedi uscendo dalla stanza come una furia.
«Dove vai?» chiede raggiungendomi per fermarmi trattenendomi per un polso.
«Non lascerò che Angéline cresca con un pazzo malato di mente. Vado a prendermi mia nipote.»
«Ah, e come farai? Sai, vero, che è il miglior avvocato che c'è in circolo, saprà difendersi molto bene.»
«Non se gli sto appiccicata osservando ogni minima mossa che fa. Dovrà prima o poi fare un passo falso ed io sarò lì per incastrarlo.»
«È troppo furbo. Quello che mi ha fatto non è affatto punibile penalmente o comunque non riuscirà a perdere la custodia della bambina per così poco.»
«Troverò il modo», esclamo prima di uscire dalla stanza, ma mi blocco sul ciglio della porta e mi volto nuovamente verso lui. «Per quanto riguarda te, stasera hai un appuntamento.»
Eric mi guarda con quel suo sguardo perplesso e curioso.
«Con me», affermo accarezzandogli la guancia. «Cominciamo tutto d'accapo. Anche tu devi avere un primo appuntamento, e stasera lo avrai.»
Un sorriso si allarga sul viso di Eric e, prendendomi il viso tra le mani, mi bacia dolcemente. Inutile dire che le farfalle nel mio stomaco sono di nuovo libere di svolazzare dove vogliono e il cuore sta improvvisando un ritmo tutto suo. Aspettavo da tanto questo momento.
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Million Reasons
Teen FictionJuan-les-Pins, 2016. Eric Morel è un ragazzo di ventitré anni dal carattere molto chiuso e introverso. Non ha un ricordo nitido di suo padre, il quale ha lasciato lui, sua madre e i suoi due fratelli quando Eric aveva solo tre anni. La causa probabi...