17. Eric

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Al mio risveglio mi aspetto di trovare Alice al mio fianco, magari ancora sul mio petto, mentre invece sono solo in stanza e di lei non c'è nemmeno l'ombra. So dov'è e la cosa mi terrorizza. Le urla, che provengono dalla camera a fianco, cioè quella di Emile, mi hanno strappato da un piacevole sonno riportandomi ad una realtà poco desiderata. Quei due stanno litigando di nuovo. Non capisco perché Alice si ostini a dargli tanto corda e importanza, pensavo avesse capito quanto sia uno stronzo egoista mio fratello.
Emile è capace di rendere tutto marcio al suo passaggio e ora sta rovinando l'unica cosa piacevole che sia successa quest'anno. Cosa ho fatto per meritare così tanto astio da parte sua? Ancora non ne sono a conoscenza. Non credo di meritarlo.
Mi avvicino silenziosamente alla porta della camera dove i due stanno discutendo e cominciò ad origliare. Vorrei intervenire, spiegare la mia, ma sono completamente bloccato.
Alice apre improvvisamente la porta, ci fissiamo per quell'istante che sembra una eternità. I suoi occhi sono sgranati, forse sorpresa che io sia proprio lì avanti a lei in questo momento.
«Alice», tento di andargli incontro, ma lei distoglie lo sguardo portandolo sul pavimento e, urlandomi la spalla, mi supera andando a chiudersi in bagno.
Guardo Emile con fare minaccioso, mentre lui sembra alquanto divertito dalla situazione. Della serie: "non posso averla io, non puoi averla nemmeno tu". Grande maturità, fratellone.
«Contento?» chiede con fare di sfida.
Non gli rispondo e sbatto la porta della sua camera.
Mi avvicino al bagno e sento Alice singhiozzare.
«Alice, vieni fuori», le dico dolcemente.
«Va' via», mi ordina.
«Mi dispiace.»
«Ti odio.»
Quelle sue parole fanno più male di una pugnalata nel petto. Non era mia intenzione farle del male, anzi, avrei voluto aiutarla. Avrei voluto stesse lontana da Emile. Avrei voluto pensasse a me come pensa a lui, o solamente essere guardato come guarda mio fratello.
«Per favore, Alice, apri questa porta», la imploro.
«Altrimenti? Chiami mia sorella?»
Colpito e affondato!
«Mi dispiace, te lo ripeto. Non volevo farti un torto, volevo solo esserti d'aiuto», confesso.
«Mi hai mentito e usato.»
«Puoi uscire da questo bagno così ne parliamo?!» ritento per l'ultima volta.
Alice apre la porta finalmente. Ha il viso rigato dalle lacrime e lo sguardo deluso. È in attesa che io dica qualcosa, ma non so da dove partire.
«Allora?»
«Io... non...cioè...», farfuglio.
Alza gli occhi al cielo e va in camera "nostra". La seguo. Non appena siamo all'interno, chiudo la porta e provo ad essere più sincero possibile.
«È vero, è stata un'idea mia, io ho organizzato la cena e sempre io ho messo in testa a tua sorella la convivenza. Ma l'ho fatto per te», le spiego, ma non credo mi stia ascoltando, è indaffarata a fare chissà cosa avanti e indietro per la camera. «Quello che voglio dire è che: se tu stai lontana da lui, ti è più facile dimenticarlo.»
«Chi ti ha detto che voglio farlo?»
«Alice, è il marito di tua sorella e padre di tuo nipote, non hai speranze», sbotto esausto per i suoi capricci.
«Non ancora. E poi non sono affari tuoi, smettila di prendere decisioni per me. Non sei nessuno», mormora cinica.
Solo ora noto che sta facendo la valigia, ha svuotato tutto il suo spazio nel mio armadio.
«Cosa stai facendo?» chiedo fermandola per un polso.
«A te cosa sembra?» ribatte liberandosi dalla presa.
«Cosa credi di fare? Dove vuoi andare?» domando allarmato. È troppo impulsiva, non puoi mai sapere cosa le frulla nella mente e cosa è capace di fare.
«Ho il treno tra due ore, devo sbrigarmi.»
Treno? «Dove vai?»
«Passerò le vacanze di Natale lontano da Emile, lontano da te, lontano dalla famiglia Morell. L'hai detto tu che potrebbe farmi solo bene stare lontano da tutto, no?», dice sarcastica chiudendo la zip della valigia.
Non ho mai detto che sarebbe stato un bene allontanarti anche da me!
«Dove? Dimmi dove vai», le ordino afferrando la sua valigia.
«Che ti importa? Tanto hai ottenuto già ciò che volevi.»
«È di questo che stiamo parlando? Vuoi sollevare proprio ora l'argomento? Non ti ho costretto a venire a letto con me, l'hai voluto tu, come l'ho voluto anche io.»
Alice resta per un attimo in silenzio.
«Dammi la valigia, Eric», intima.
«Dimmi dove vai prima. Me lo devi.»
«Io non ti devo proprio nulla», ribatte secca.
«Dove vai?» ripeto ringhiando.
«Lontano.»
«Cazzo, Alice», sbotto esausto. «Non mi va più di giocare. Non vuoi dirmelo? Bene. Verrò con te, ovunque tu sia diretta.»
«Sei impazzito?»
«No, sono serissimo. Non mi importa dove vai, verrò con te», le ripeto deciso.
Non ho intenzione di lasciarla sola in un momento così delicato per lei. Siamo o non siamo "amici"? Una specie, insomma.
«Vado dai miei genitori, in Belgio. Non credo sia il caso tu venga.»
Non ha tutti i torti, ma non ho intenzione di tirarmi indietro proprio ora. «Avranno una stanza degli ospiti e, qualora non l'avessero, dormirò sul divano, o, qualora non avessero nemmeno quello, dormirò accanto a te, ma se non mi vorrai, dormirò per terra. Insomma, non ti liberi di me così. Verrò con te, costi quel che costi.»
«Cosa dovrei spiegare ai miei? Come giustifico la tua presenza?»
«Semplice! Dirai che ho litigato con l'intera famiglia e che, essendo tu mia amica, hai deciso di ricambiare il favore ospitandomi per tutto il tempo che soggiornerai lì.»
La mia più grande paura è che lei possa trovarsi così bene lì in Belgio da non voler più fare ritorno a Juan Les Pins. Sarà sicuramente imbarazzante la convivenza in casa Petit. Non conosco nemmeno i suoi genitori, non riesco nemmeno ad immaginare che tipi siano. L'importante è che mi diano l'occasione di stare con la loro figlia minore.
Dopo vari battibecchi e tira e molla con la valigia, andiamo in stazione.
«Resta qui, vado a fare il biglietto», esclamo accarezzandole la spalla.
Alice annuisce.
Mi avvicino alla macchinetta per prenotare e stampare il mio biglietto e, una volta selezionato il tutto, mi informa che non ci sono più posti disponibili per oggi. Provo a selezionare il giorno dopo, poi quello dopo ancora, ma non c'è un posto disponibile fino alla fine del mese. Do un pugno alla macchinetta frustrato.
Sono disperatamente in cerca di qualcuno che possa rinunciare al suo biglietto pagandogli anche gli interessi ovviamente, ma nulla, sembra che tutti siano decisi a partire. Quanto posso essere sfigato?
Il telefono vibra incessantemente, ma lo ignoro. Poi il suono di un messaggio.
ALICE: Dove sei? Il treno è in partenza.
Mi affretto a raggiungere il suo treno e a cercare la sua carrozza.
«Eric, sono qui», grida Alice dal finestrino del treno. «Cosa aspetti? Sali!»
Faccio segno di no con la testa e un'espressione di delusione si evince sul suo viso. Non è la prima volta che oggi mi guarda in questo modo è ogni volta è un tuffo al cuore.
«Buon viaggio», mimo con le labbra, mentre il treno si allontana dalla stazione.

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