8. Alice

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È mattina, non ho idea di che ore siano, ma un piccolo spiraglio di luce mi arriva dritto sul viso. Sposto il viso e, mettendo a fuoco la mia vista, guardo l'orologio. Sono appena le sei, saranno ancora tutti a letto. Dopo essermi stiracchiata per bene, mi alzo e in punta di piedi salgo le scale. Sono avanti alla porta di Eric, vorrei sapere come sta, ma starà sicuramente dormendo. Decido di tornare in camera di Emile e dormire almeno altre tre ore prima di andare a lavoro. Afferro la maniglia e l'abbasso piano provando a non fare nessun tipo di rumore. Esito un attimo sulla soglia della porta. E se fosse sveglio? Come dovrei comportarmi?
Mi faccio coraggio ed entro. Emile non c'è. Il suo letto non è nemmeno disfatto. Dove sarà andato? Quando è uscito? E se fosse con Céline? E se le avesse raccontato tutto? Non mi perdonerebbe mai, spero davvero non faccia una cosa così stupida.
Mi metto a letto, ma le immagini di noi due qui sopra tornano come flashback nella mia mente. Mi sa che il mio piano è saltato, altro che dormire. Mi rialzo e richiudo il mio divano dopo aver sistemato accuratamente le lenzuola. Solo dopo mi accorgo di un bigliettino posato sul tavolino accanto al divano letto. È per me, c'è scritto il mio nome. Afferro il foglio e, non ho dubbi, è da parte di Emile.
"Alice,
Spero tu possa perdonare il mio comportamento. È tutta la notte che ci penso. Provo qualcosa di molto forte per te, ma non posso farlo emergere, qualsiasi cosa essa sia. Sto per diventare padre, non voglio rovinare la famiglia che sto costruendo. Spero tu possa capire. Possiamo iniziare d'accapo? Non voglio perderti.
Non dirò nulla a Céline o chiunque altro, spero possa rimanere il nostro piccolo segreto.
Emile."
Non sono sicura di come debba essere il mio stato d'animo o i miei sentimenti dopo aver letto questa lettera, so solo che sto stringendo forte il foglio stropicciandolo. Sono furiosa. Ma cosa potevo mai pretendere? Che lasciasse mia sorella, incinta per lo più, per me? Per uno stupido bacio dato per "sbaglio"? Stupida che sono. Devo smetterla di leggere romanzi rosa.
Avrei preferito un faccia a faccia, piuttosto che leggere le sue scuse su un pezzo di carta.
Dopo aver passato gran parte della mattina a rimuginare il tutto, scendo giù in cucina con l'intenzione di cucinare qualcosa per i fratelli Morel. Con mia sorpresa però Eric è già ai fornelli e un delizioso odorino invade le mie narici.
«Cosa stai cucinando? Ha un odore fantastico», esclamo avvicinandomi.
Quasi salta per lo spavento. «Che ci fai qui?» chiede meravigliato.
«Dove dovrei essere se non qui?!»
«Non hai una vita? Non dovresti lavorare?»
«Si, dopo pranzo inizio il mio turno fino alle nove di sera. Comunque se disturbo vado via, non ci sono problemi. Aspetti qualcuno?»
«Resta se proprio ci tieni.»
«Vedo che sei guarito. Devo ammettere che da malato sei più docile.»
«Sono così, dolcezza. Odiami pure se vuoi.»
«Sei assurdo. Che ti ho fatto? Perché sei così stronzo nei miei confronti?»
Eric non risponde ed io comincio ad innervosirmi. Mi posiziono a braccia conserte tra lui e i fornelli e lo fisso in attesa di una valida risposta. «Allora?!»
Sento un calore risalirmi per tutta la schiena, dopodiché lo sguardo impaurito di Eric punta alle mie spalle.
«Spostati!» urla.
Obbedisco immediatamente mentre Eric mi aiuta a sfilare la maglia.
Sono andata letteralmente a fuoco. Il mio maglioncino preferito si è bruciato e quasi piango per il dispiacere.
«Stai bene?»
«Credo di sì.»
Eric diventa rosso e ci metto un attimo a capire il perché: sono in reggiseno avanti a lui. Complimenti, Alice. Questa è proprio una figura da ricordare.
Sfila la felpa e me la lancia. «Metti qualcosa che fa freddo.»
Infilo la sua felpa e mi avvicino al bidone della spazzatura per buttare il maglioncino.
Sono così dispiaciuta e imbarazzata per poco fa che resto a fissare il vuoto in silenzio seduta al tavolo della cucina.
«Dai, è una stupida maglia.»
«Era la mia preferita», mormoro.
Mi posa un piatto con varie fritture di mare per poi sedersi al mio fianco. «Mangia.»
«Non aspettiamo Gerald o...», il nome di Emile mi muore in gola non appena lo vedo varcare la soglia. È bello come non mai, nonostante le occhiaie. Non è solo, con lui c'è anche una ragazza. Chi è questa? Perché è qui? Sembra spaesata, il suo sguardo si sposta velocemente da me ad Eric restando fisso su quest'ultimo. Eric nemmeno si accorge della presenza di questa donna, che continua a fissarlo rossa in volto, mentre io ed Emile ci scambiamo qualche occhiata imbarazzata.
«Potresti indossare qualcosa? Non vedi che abbiamo ospiti?» chiede nervoso ad Eric.
Ero così impegnata a rivivere mentalmente quei pochi attimi di felicità vissuti stanotte con Emile, che non mi sono nemmeno accorta di quell'adone di Eric a petto nudo. Si vede che è un tipo sportivo, il suo corpo grida "muscoli" ovunque. Solo ora mi accorgo che sul suo petto c'è un piccolo tatuaggio tribale che sembri rappresentare il sole. Sarei curiosa di chiedergli come mai ha scelto proprio quello e perché proprio sul petto, ma non mi sembra il momento adatto.
Eric ignora completamente la presenza del fratello e della sua "amichetta".
«Eric, mi accompagni di sopra? Così ti restituisco la felpa che mi hai appena prestato», esclamo con un ghigno guardando con la coda dell'occhio Emile.
«Puoi tenerla, ne hai più bisogno tu ora che io», borbotta continuando a mangiare.
Ennesima figura della cretina. Complimenti a me.
Emile è visivamente nervoso e non riesce a staccarmi gli occhi di dosso. Si avvicina quasi minaccioso e afferrandomi per un polso mi trascina con se su verso la sua stanza, lasciando soli in cucina Eric e la sconosciuta.
Una volta chiusa la porta della sua camera, Emile si avvicina sempre più, quasi minaccioso. Afferra la zip della felpa che indosso e la abbassa con violenza. Resto di stucco per questo suo gesto, non so perché ma glielo lascio fare.
«Sei nuda!»
«In realtà indosso il reggiseno», gli faccio notare, ma la frase mi esce quasi sussurrando che non sono sicura mi abbia sentito davvero. Si scansa da me e sferra un pugno nel muro, dopodiché esce furioso dalla stanza, raggiunge il piano di sotto ed esce di casa sbattendo violentemente la porta, mentre io sono ancora ferma dove lui mi ha lasciata. Non riesco a muovermi, tremo come una foglia e le lacrime solcano il viso senza il mio permesso. Non riesco a respirare e solo quando Eric è avanti a me che cerca di calmarmi ed io non riesco ad udire nessun suono che esce dalla sua bocca capisco che sto avendo un attacco di panico.
Mi stringe forte a se e mi accarezza il capo con dolcezza. «Va tutto bene. Ci sono io. Va tutto bene. Ascolta la mia voce, concentrati su di essa. È andato via. Sei qui con me. Non sei sola, ci sono io a proteggerti», sussurra piano al mio orecchio.
Finalmente riesco a controllare gli arti, mi avvicino più a lui e lo stringo forte a mia volta schiacciando il viso sul suo petto. Continuo a piangere, ma questa volta è un pianto liberatorio.

Non sono andata a lavoro, non ne avevo le forze. Ho detto al mio capo che sono malata. Dopotutto non ho poi detto una bugia così grossa. L'amore non è forse una malattia? Ti fa stare male fisicamente e mentalmente, ti risucchia l'energia e ti fa venire mal di stomaco e quant'altro. È peggio di una influenza.
Sono seduta sul divano e fisso il vuoto. Non ho proferito parola da quando Emile è uscito da questa stanza, mentre con mia sorpresa Eric è seduto al mio fianco da quando mi ha beccata con una crisi respiratoria. Non so cosa lo costringa a fare questo o cosa pensa di ottenere, ma è qui.
«Perché lasci che ti faccia questo?» chiede interrompendo quel lungo silenzio che avvolgeva questa casa.
Continuo a fissare il vuoto e ignoro la sua domanda, non perché non volessi rispondergli, ma perché in realtà una risposta non ce l'ho. Esasperato, fa per andarsene, ma poso la mia mano sulla sua e lo fisso con occhi lucidi. «Non lasciarmi da sola.»
«Basta che la smetti di piangere, odio vedere una donna piangere, soprattutto se la causa è mio fratello.»
«Sei un pessimo "consolatore", lo sai?» esclamo con il primo sorrisetto sghembo dopo ore di agonia.

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