CAPITOLO 4 - VOCI NEL BUIO

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<<Chrys, cos'hai? Sembra che tu abbia appena visto un fantasma!>>, disse Edward appena mi vide rientrare in reparto. <<Tutto bene di là?>>, aggiunse preoccupato, vedendo che non sorridevo.

<<Non... mi sento molto bene>>, fu l'unica cosa che riuscii a dire con un filo di voce.

<<Allora va fuori a prendere una boccata d'aria. Qui possiamo cavarcela da soli ancora per un po'>>.

Lo ringraziai e mi precipitai verso l'uscita di emergenza che dava sulla scala antincendio. L'aria fredda dei primi di febbraio effettivamente mi fece bene e ne approfittai per fumare e schiarirmi le idee. In fondo che male c'era a provare interesse per quel ragazzo? Perché, che sia ben inteso, di puro e semplice interesse professionale si trattava. Non c'entrava assolutamente nulla l'attrazione verso i suoi tatuaggi, o verso i suoi muscoli sodi e definiti, la pelle che sembrava di porcellana o i morbidissimi ricci...

O no?

Ma a che pensavo, diamine? Non avevo mai notato tanti dettagli in un uomo prima di allora. Non ci capivo più niente. Forse la mia era semplice curiosità verso una persona completamente diversa da quelle che avevo sempre conosciuto e frequentato. Ad ogni modo feci un bel respiro prima di rientrare e imporre a me stessa di tranquillizzarmi e di riprendere il lavoro.

Il resto della serata proseguì tranquilla e senza intoppi e ripresi a chiacchierare allegra con pazienti e colleghi mentre svolgevo le solite routinarie mansioni.

Finalmente arrivarono le 22:30 e timbrai esausta l'uscita dirigendomi poi con calma verso gli spogliatoi femminili in compagnia delle colleghe, silenziosa più del solito.

Nel tragitto non la smettevano più di spettegolare di cose a mio avviso futili, ma io a malapena le stavo a sentire. Continuavo a pensare al ragazzo con una fitta d'ansia costante, e la cosa mi disturbava non poco.

Perché non potevo semplicemente togliermi quell'immagine dalla testa?

"Una doccia bollente e una bella dormita, ecco cosa mi ci vuole", pensai, e l'indomani sarei stata la solita spensierata Christine di sempre.

Salutai le ragazze e con questi buoni propositi mi incamminai verso il parcheggio che a quell'ora purtroppo era sempre buio e desolato.

Solo allora mi ricordai che non avevo messo la macchina al solito posto.

"Maledizione! Perché ho parcheggiato così lontano?", pensai rabbrividendo, mentre tiravo fuori dalla borsa le chiavi della macchina. Prima di svoltare l'angolo della piccola costruzione che si ergeva sul limitare del parcheggio però sentii delle voci.

In un primo momento non seppi dire quante fossero. Erano voci maschili poco più che sussurrate. Giudicai che potevano essere in tre o in quattro. Normalmente non ci avrei badato, ma ciò che sentii a mano a mano che mi avvicinavo a loro mi fece rallentare fino a fermarmi con le orecchie ben tese ad ascoltare.

O forse sarebbe più corretto dire origliare.

<<Ti dico che dobbiamo entrare e chiedere di lui. Non ce la faccio più a non sapere niente>>, disse uno di loro.

<<Vuoi stare calmo ed ascoltarmi?>>, rispose un altro. <<Se ora entriamo a chiedere informazioni su di lui capiranno che lo conosciamo e ci chiederanno i nostri e i suoi documenti, e noi cosa gli diciamo? Non capisci? Potremmo essere scoperti e manderemmo tutto all'aria... >>.

<<Io continuo a dire che dobbiamo mandare qualcuno in incognito per informarsi e farci sapere qualcosa>>, disse poi una terza voce.

<<Non dire idiozie. Chi mai potremmo mandare di insospettabile, Biancaneve?>>, sentii sussurrare ad una quarta voce.

A quel punto successe una cosa che mai e poi mai sarebbe dovuta succedere.

Mi caddero le chiavi dalle mani.

Io rimasi pietrificata. Il tonfo metallico risuonò chiaro e limpido nel silenzio del parcheggio.

Pregai con tutte le mie forze che lo avessi sentito solo io, ma quando udii i passi dei quattro uomini avvicinarsi sempre di più capii che le mie preghiere non erano state esaudite.

Poachers || H.S. Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora